Una prima osservazione evidente è che il diritto nasce quando la pace non c’è: ossia, durante la guerra. Così è necessario che ci siano delle parti in lite perché il processo, che è un tempo di guerra, di lite, seppure stilizzata e simbolica perché animata da reciproche contestazioni, dica quale è il diritto da osservare, ossia la regola da seguire per ricomporre la pace. Se è vero, con l’avvento dei Codici, che una regola esiste prima della contestazione del fatto, è anche vero che questa affermazione è fin troppo superficiale, e in ampia parte costituisce una vera e propria fictio iuris. Infatti, la regola preesiste, certamente nel senso che c’è un corpus normativo, civile o canonico, ma la ricostruzione in iure e in facto della causa, la sua definizione, è coestesa all’intero processo, così che la regola scritta – l’articolo o canone invocato – non è essa stessa la sola regola, come vorrebbe lo schema interpretativo del sillogismo giuridico, ma si inserisce all’interno di una topica complessa, più nota come interpretazione.
Perché, ad esempio, riteniamo rilevante un articolo, o canone, e non un altro? Perché la ricostruzione della verità processuale, inevitabilmente differente dalla verità fattuale, prende in considerazione alcune cose, e altre no? Quale posto ha la convinzione del giudice, nell’impulso d’ufficio come nella conduzione della causa? Tutte cose che non sono scritte in un Codice, ma che costituiscono altrettante premesse che, in combinato disposto con la normativa scritta, condurranno all’elaborazione della regola da seguire nel caso concreto, ossia della razionalizzazione a posteriori di quel caos estremamente complesso che è la realtà empirica, la guerra, dalla quale si parte per costruire il diritto, il tempo della pace.
Occorre notare, d’altra parte, che quanto detto non vale solamente all’interno di un processo, ma può ritenersi proprio dell’intera esperienza giuridica, a tutti i livelli. Così l’emanazione di un atto amministrativo non si risolve nella pura applicazione di una norma formale o procedurale, sebbene ovviamente non si dia senza tutto questo. Anche se essa rientra all’interno di una discrezionalità concessa alla pubblica autorità, di nuovo richiede un contesto, che qui è il bene pubblico, che riplasma e ridefinisce in concreto l’azione dell’amministrazione, modulandola in quel particolare frangente. Possiamo quindi domandarci: perché adottiamo quel provvedimento, e non un altro? Perché gli interessi in gioco vengono valutati in quel modo, e non diversamente?
Al di fuori dell’azione amministrativa, lo stesso avviene per l’osservanza di una disposizione normativa da
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