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Pur avendo costituito uno dei fenomeni più rilevanti della nostra storia postunitaria, si tende spesso a trascurare o, ancora peggio, a dimenticare quanto la vicenda dell’emigrazione italiana verso gli Stati Uniti abbia contribuito a plasmare sia l’esistenza di intere generazioni sia l’effettiva realtà di due nazioni. E quanto abbia inciso sulla società, sulla demografia, sulla cultura e sull’economia del nostro Paese, dal momento che, nel corso di poco più di un secolo, dal 1876 al 1988, hanno lasciato l’Italia quasi 27 milioni di persone e vi hanno fatto ritorno tra gli 11 e i 13 milioni, tanto da indurre alcuni studiosi a parlare in proposito di una vera e propria «diaspora».
Avagliano e Palmieri analizzano il fenomeno, la cui ampiezza è stata in qualche periodo davvero notevole, concentrando la propria attenzione sul lasso temporale che va dal 1870 al 1940. Mettono così in rilievo come le partenze dalla Penisola abbiano assunto connotati di massa tra l’ultimo ventennio dell’Ottocento e il Primo conflitto mondiale, quando a emigrare furono quasi 8 milioni di individui, per riprendere in misura minore nel dopoguerra. Gli AA. si avvalgono di una ricca varietà di fonti – dalle lettere ai diari, dalle singole testimonianze ai documenti ufficiali, dai giornali ai film, fino alle canzoni dell’epoca –, cercando di fornire un quadro d’insieme, una descrizione e una disamina che diano conto di tutti gli aspetti di una simile, complessa epopea.
I due storici non trascurano, pertanto, di indagare le motivazioni che hanno spinto milioni di italiani a stabilirsi oltreoceano, le loro aspirazioni e speranze, i loro propositi e progetti. Riguardo alle prime, gli AA. osservano: «Alle opportunità economiche e lavorative si aggiungono spinte politiche (i governi che promuovono o limitano il processo di entrata e uscita) e sociali (amici e parenti che emigrano per primi e alimentano la cosiddetta chain migration). E c’è anche una componente di muta protesta sociale, quella di chi si vede negato un posto nella società e perfino il diritto di voto e decide di votare “con i piedi”, lasciando il paese» (p. 9).
Gli AA. provvedono inoltre a delineare le diverse fasi storiche dei movimenti migratori, ricostruiscono le condizioni materiali dei viaggi, valutano le reti sociali e la loro efficacia, esaminano le sfide imposte dall’integrazione e dai pregiudizi, le condizioni delle Little Italies, i mutamenti intervenuti nel tessuto della comunità nazionale, il problematico dualismo fascismo-antifascismo, gli espatri nel Nuovo Mondo di oppositori del regime, intellettuali ed ebrei, il ruolo svolto dalle donne in assenza dei mariti e il processo di emancipazione che ne è conseguito sia nell’ambito della collettività sia in quello del matrimonio.
Appare infatti importante sottolineare, a quest’ultimo riguardo, come in casi simili siano state le mogli a ricevere le rimesse e a prendere in mano la gestione delle proprietà, degli affari, nonché delle somme risparmiate. Si è trattato quindi dell’acquisizione di un compito che esse si sono rivelate in grado di eseguire, del quale non sarebbero state più private e che va indubbiamente considerato il primo passo verso una sempre maggiore loro responsabilizzazione e indipendenza.
Avagliano e Palmieri, insomma, analizzano in maniera lucida e circostanziata sia la Storia che le storie di quanti hanno raggiunto il Nuovo Mondo e hanno fatto il grande balzo, intenzionati a realizzare il proprio sogno americano: a passare cioè dalla miseria e dalla disperazione all’affermazione sociale e al successo, alla conquista del prestigio e della ricchezza, al conseguimento della notorietà e dell’autorevolezza.