
«Giona, vomitato dalla balena, raffigurato in uno scorcio straordinario,con il torso parzialmente girato verso destra, le braccia ripiegate,la testa rovesciata, la bocca spalancata a gridare» (Émile Zola)[1].
Lo sguardo di chi entra nella Cappella Sistina attraverso la porta cerimoniale – la porta est dell’edificio, quella da cui hanno fatto sempre il loro ingresso i papi, i cardinali e il loro seguito, e nella cui prospettiva Michelangelo ha concepito il suo capolavoro – è immediatamente attirato dall’affresco del Giudizio Universale, che si trova di fronte, dominato dalla figura imponente di Cristo, giudice della storia[2]. Lo spettatore però si sorprende a guardare ancora più in alto. Man mano che avanza nella cappella, il suo sguardo si innalza, incuriosito da una figura umana sovradimensionata, in una posa strana, con le gambe muscolose che penzolano nel vuoto. È Giona (Ionas, come è scritto, in latino, sotto i suoi piedi).
È proprio di questo Giona che le pagine seguenti vorrebbero chiarire il ruolo chiave nell’«economia» della Sistina. Come scrive Agnes Crawford, la figura di questo profeta è il «cardine» del grandioso affresco realizzato da Michelangelo[3]. La «drammaturgia visiva»[4] della Sistina produce il suo effetto proprio a partire da Giona e dai sentimenti che esprime. «Come personaggio – scrive a sua volta Timothy Verdon –, Giona funge da “eroe” nella retorica visiva della cappella»[5].
Come è noto, il Giona della volta e l’affresco del Giudizio Universale sulla parete verticale dell’altare appartengono a due fasi della creazione di Michelangelo. L’artista, infatti, realizzò l’affresco della volta tra il 1508 e il 1512 su richiesta di Giulio II (1443-1513), mentre fu Clemente VII (1478-1534) a commissionare quello del Giudizio Universale (1536-1541), eseguito in gran parte al tempo di Paolo III Farnese (1468-1549). Quasi 25 anni separano quindi i due interventi di Michelangelo. Nelle pagine che seguono si rispetterà questo dato diacronico, distinguendo il ruolo di Giona nel dramma del soffitto da quello che egli svolge nell’insieme finale. Tuttavia, è l’unità dell’opera complessiva a fornire l’orizzonte di questo saggio. «Nella Cappella, la Genesi e il Giudizio Universale – scrive Michel Masson – non sono semplicemente giustapposti, ma, contrariamente a quanto si dice di solito, formano un tutto organico, non solo tra loro, ma anche con il resto dell’edificio, comprese le ali, l’iconostasi e persino il mosaico»[6].
L’approccio di questo saggio sarà essenzialmente biblico. È certamente legittimo e fruttuoso accostarsi al duplice
Contenuto riservato agli abbonati
Vuoi continuare a leggere questo contenuto?
Clicca quioppure
Acquista il quaderno cartaceoAbbonati
Per leggere questo contenuto devi essere abbonato a La Civiltà Cattolica. Scegli subito tra i nostri abbonamenti quello che fa al caso tuo.
Scegli l'abbonamento