
Per una proposta di Dio a partire dalla bellezza.
Il percorso complesso e articolato condotto nel corso dei vari contributi dedicati a questo tema ci ha mostrato come sia proprio della bellezza evocare le dimensioni più profonde e suggestive dell’essere. L’uomo del nostro tempo ne ha riconosciuto l’importanza, soprattutto in negativo, nella nostalgia sofferta di averle smarrite, e insieme ad esse anche sé stesso e la sua vita, o nella tristezza di non poterla avere sempre a propria disposizione: «Forse proprio in questo sta il mistero più grande dell’opera d’arte: nel fatto che l’immagine della bellezza creata dall’uomo diventa subito per lui un idolo da adorare incondizionatamente […],il naturale desiderio di un mondo armonico e sereno e nella bellezza c’è appunto l’armonia e la serenità»[1].
In questa polarità è racchiusa anche la caratteristica contestatrice della bellezza nei confronti delle sue derive, riportando l’attenzione a una fedeltà originaria caduta nell’oblio: «Il nostro è il secolo della più profonda infedeltà; infedele è colui che dimentica. Uscire dal Novecento significa uscire dall’infedeltà e ricordare»[2].
Non è possibile semplicemente arrendersi alla mancanza della bellezza, perché essa è strettamente legata all’attrattiva verso la vita, verso i suoi aspetti meno programmabili e misteriosi. Per questo la strada verso il suo recupero può tradursi anche in una possibile proposta orientata al vivere bene, contestando un approccio tecnocratico e possessivo, per scegliere ciò che è importante e decisivo: «Nel tempo del disincanto e della ragione debole […] solo la bellezza può offrirsi come via di incontro con ciò per cui valga la pena di vivere e di vivere insieme, con ciò che sia capace di vincere il dolore e la morte e di dare speranza alla vita»[3]. Lasciarsi catturare dalla bellezza rivela nello stesso tempo qualcosa di decisivo della presenza di Dio nel mondo, del giusto rapporto che l’uomo può avere con lui e, di conseguenza, con sé stesso e con gli altri.
Von Balthasar, riflettendo sulla bellezza artistica, notava una connaturalità tra essa e la dimensione religiosa, come un richiamo all’Assoluto, al punto che diventa arduo porre una separazione tra dimensione religiosa e non religiosa di essa[4]. L’opera d’arte, che non a caso frequentemente ha per oggetto il sacro, esprime bene questo carattere di ineffabilità, di rimando costitutivo a una totalità di senso che rimane sempre sfuggente, «oltre» quanto si può cogliere, al punto da essere considerata, come è stato osservato con un
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