
Il 16 aprile 2016 papa Francesco visita l’isola di Lesbo in Grecia, punto di ingresso di migliaia di rifugiati in Europa. Al suo ritorno, porta con sé tre famiglie di profughi siriani. Simbolo estremamente forte del costante appello del Papa all’Europa, e in particolare ai fedeli della sua Chiesa: accogliere quanti fuggono dalla morte nel loro Paese in guerra, non rimanere indifferenti di fronte a questa catastrofe umanitaria senza precedenti. Durante l’intervista in aereo, alla domanda sul perché siano state scelte queste famiglie musulmane piuttosto che altre cristiane, il Papa risponde: «Queste tre famiglie avevano le carte in regola, i documenti in regola e si poteva fare. C’erano, per esempio, due famiglie cristiane nella prima lista che non avevano le carte in regola. Non è un privilegio. Tutti e dodici sono figli di Dio. Il “privilegio” è essere figli di Dio»[1]. Nell’accoglienza, ci sono quindi questioni di documenti, ci sono delle regole, e il Papa ci tiene a sottolineare che tali regole sono state rispettate.
Queste immagini e queste poche parole ben riassumono la tensione che esiste nel discorso della Chiesa sul tema dei migranti e dei rifugiati. Da un lato, essa ribadisce il dovere di accogliere i rifugiati e, più in generale, un costante richiamo a un diritto umano, che è il diritto di migrare. Dall’altro, in nome del bene comune, riconosce la facoltà degli Stati di controllare tale accoglienza e di legiferare sulla migrazione in generale. Per dirla con le parole di Enzo Bianchi, da un lato «i cristiani hanno sempre avuto al centro della loro etica l’accoglienza dello straniero, del pellegrino, del viandante, secondo l’identificazione annunciata dal loro Signore: “Ero straniero e mi avete ospitato” (Mt 25,35)»; ma, dall’altro, «occorre riconoscere che esistono dei limiti nell’accoglienza: non i limiti dettati dall’egoismo di chi si asserraglia nel proprio benessere e chiude gli occhi e il cuore davanti al proprio simile che soffre, ma i limiti imposti da una reale capacità di “fare spazio” agli altri, limiti oggettivi, magari dilatabili con un serio impegno e una precisa volontà, ma pur sempre limiti»[2].
Questa tensione tra diritto di migrare e dovere di accogliere, da un lato, e limiti e diritto di regolamentare, dall’altro, potrebbe essere paralizzante per intraprendere il cammino dell’ospitalità. Paralizzante, perché renderebbe il discorso della Chiesa contraddittorio, affermando allo stesso tempo che abbiamo il dovere di accogliere, ma anche il diritto di non farlo. Ora, se
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