
La Siria degli Assad è crollata in poco tempo, come un castello di sabbia infranto dalla marea, quando l’esercito degli oppositori, partiti da Idlib e capeggiati dal carismatico al-Jolani, ha occupato, nel giro di due settimane, le sue città più importati e la capitale, senza incontrare un’effettiva resistenza. L’esercito siriano, un tempo potente e temuto, si è semplicemente dissolto, abbandonando le proprie postazioni e le divise militari: malpagato e inviso alla popolazione, non intendeva più combattere per un dittatore che si era screditato davanti al suo popolo e all’opinione pubblica internazionale. Il regime ha mostrato la propria debolezza e inconsistenza quando i suoi sostenitori l’hanno abbandonato, dimostrando a tutti di dipendere dalle decisioni di potenze straniere.
In ogni caso la Siria, anche dopo Assad, rimane un Paese diviso, da ricostruire ed economicamente debole. Il governo di transizione, capeggiato da al-Sharaa (al-Jolani era il suo nome di battaglia), sta cercando di coinvolgere tutte le minoranze etniche e religiose del Paese nel processo di rifondazione dello Stato[1]. Inoltre, si sforza di rassicurare la comunità internazionale sulle sue intenzioni, con l’obiettivo di far revocare le sanzioni. Ha promesso di indire le elezioni politiche, ma solo dopo che sarà stata adottata una Costituzione e avrà avuto luogo un censimento: un processo che richiederà circa quattro anni di tempo[2]. Insomma, tutto è in divenire. Il tempo ci dirà se questa rivoluzione ha imboccato la via democratica o meno.
In questo articolo esamineremo la caduta del regime di Assad e le sue ripercussioni in ambito internazionale.
La caduta di Bashar al-Assad
Dopo anni di sanguinosa guerra civile, iniziata con lo scoppio delle «primavere arabe» nel 2011, Bashar al-Assad era riuscito a vincere e a emarginare, anche con la violenza, l’opposizione. È stato il solo rais rimasto al potere in Medio Oriente dopo quella stagione di lotte, grazie all’appoggio di potenze straniere, in particolare dell’Iran e, in seguito, della Russia. Ma la sua vittoria non ha portato alla ricostruzione o alla modernizzazione della Siria, attraversata da una forte crisi economica, e soprattutto non ha pacificato uno Stato fortemente diviso e frammentato, ridotto a una serie di feudi governati da soggetti politici e religiosi differenti. La presidenza di Assad, in carica dal 2000, invece di favorire un processo di riconciliazione delle diverse componenti settarie della società siriana, ha preferito «adottare metodi repressivi violenti, che nei fatti esacerbavano le divisioni piuttosto che ricomporle»[3].
Inoltre, ha sottovalutato la formazione,
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