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Questo libro di Vincenzo Vitiello costituisce per davvero un «dialogo diretto con Kant» (p. 11) e nasce, insieme, da un disagio e da un’esigenza dell’autore. Il disagio è quello da lui provato nel confrontarsi con altre interpretazioni del pensiero kantiano.
L’esigenza è quella di giungere a una comprensione più autentica della filosofia kantiana nel suo complesso, in particolare grazie a una lettura più attenta delle «contraddizioni» che è dato trovare nei testi del filosofo. Tali contraddizioni, infatti, appartengono al concreto strutturarsi del pensiero di Kant, stante che proprio nella loro presenza è da ravvisarsi la ragione ultima del «primato della ragion pratica» che è stato «operato» – nel senso letterale del termine – dal filosofo.
L’autore provvede a enunciare fin dal principio la tesi che presiede al libro: «La “svolta” della “logica trascendentale” – la dislocazione dello sguardo filosofico dal contenuto logico, l’enunciazione dell’esatta visione dell’essere del mondo, all’operare logico […] – ha come immanente conseguenza il passaggio dal primato della teoria al primato della pratica» (ivi).
Questa tesi implica una conseguenza di grande rilievo, con la quale Vitiello viene a mettere in luce anche la differenza che sussiste tra la prospettiva della filosofia di matrice aristotelica e quella kantiana: «All’origine del mondo umano non è il desiderio di sapere, ma il sentimento del dovere, non la scienza, ma la morale, se anche la necessità delle leggi scientifiche è fondata sull’esercizio della libertà» (ivi), secondo quanto Kant aveva affermato all’inizio della Critica della ragion pratica.
Rivolgendoci, ora, all’Introduzione alla prima parte del volume, avremo modo di comprendere il significato del primo dei due sottotitoli del libro. In che senso, per Vitiello, Kant è «architetto» della modernità (Neuzeit)? Egli chiarisce preliminarmente che «il nuovo del tempo nuovo non sta nel fatto banale d’essere l’ultimo, quello che segue l’“età media”, bensì nell’evento […] d’essere una “nuova” apertura di tempo» (p. 17), e che tale «evento» rompe la continuità con l’età media, in quanto costituisce un orizzonte di pensiero non più governato dalla «speculazione teologica» incentrata in Dio e nella sua onnipotenza.
L’età nuova, perciò, sorge in un’atmosfera analoga a quella dell’evo antico, caratterizzata dall’«assenza di certezza nel e del mondo» (ivi); ed è proprio per questo che essa ha stabilito un rapporto diretto con l’antico e si è posta alla ricerca dell’«archè capace di dare “nuova” certezza al mondo», movendo anch’essa dal terreno dell’«esperienza» (ivi). Tenendo conto di questo, la risposta alla domanda emerge allorquando si considera che il filosofo moderno, a differenza dell’antico, procedendo nel suo interrogare l’esperienza, non si avvicina al toglimento della «problematicità» di quella, non perviene cioè al suo archè, ma anzi se ne allontana (cfr pp. 17 s). L’esito ultimo di questa vicenda è costituito dalla nuova dislocazione della filosofia operato da Kant, ed è in questo senso che egli può essere indicato come l’architetto della Neuzeit.
Veniamo, ora, al secondo sottotitolo, non meno importante del primo. Esso emerge dall’intero sviluppo del libro – la cui seconda parte è dedicata specificamente al dialogo con il Kant «precritico» (cfr pp. 141-201) e «critico» (cfr pp. 203-351) – e intende indicare non soltanto il punto di arrivo di Kant riguardo alla fondazione della morale e della religione, ma anche quale sia l’orientamento teoretico di Vitiello riguardo al medesimo tema.
Stando a Kant, il fondamento della morale non risiede nella metafisica quale vertice speculativo della ragione, ma «nell’abisso della ragione», che egli ha sapientemente mostrato. E questo perché, secondo quanto rileva Vitiello, nel mondo noumenico dell’essere tutto è già compiuto nella «pienezza dell’essere» (p. 308), mentre il «dovere» e la «libertà», ossia ciò che rende possibile la moralità, «appartengono all’accadere e al tempo», al «mondo dell’imperfezione».
Quanto poi alla fondazione della religione, essa viene a manifestarsi, per Vitiello, in modo analogo, allorquando la «possibilità» del rapporto del finito con l’infinito è orientata nella direzione del «mistero». È in virtù di quest’ultimo, infatti, che tale rapporto può sussistere effettivamente, stante che esso è reso possibile dalla separazione (o alterità) dell’infinito dal mondo dell’uomo, com’è testimoniato esemplarmente nel racconto biblico di Giobbe, commentato da Kant nel suo scritto Sull’insuccesso di ogni tentativo filosofico in teodicea (cfr pp. 345-351).
VINCENZO VITIELLO
Immanuel Kant. L’architetto della «Neuzeit».
Dall’abisso della ragione il fondamento
della morale e della religione
Roma, inSchibboleth, 2021, 416, € 26,00.