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Nel corso della sua lunga esistenza, la filosofa ungherese di origine ebraica Ágnes Heller (1929-2019) non ha mai cessato di riflettere soprattutto sull’etica, l’estetica e la filosofia politica. Per quanto riguarda quest’ultima, è interessante notare come, quasi alla fine del 2019, sia stata data alle stampe questa raccolta di saggi brevi, che si impongono all’attenzione del lettore per la loro acutezza e incisività. Cercheremo qui di prendere in esame i vari aspetti che, secondo la studiosa, caratterizzano il cosiddetto «male radicale».
L’autrice afferma che esso non risulta affatto presente nella quotidianità e – a differenza di quanto sosteneva Hannah Arendt – non è mai banale. È radicale soltanto il male al suo culmine, quando ha luogo la simultanea mobilitazione di ragione, passioni e desideri: elementi la cui unione è in grado di dare vita a un’apparente grandezza, che rende la malvagità seducente e contagiosa.
Con l’aiuto di alcuni grandi autori – da Shakespeare a Fielding, da Thomas Mann a Dostoevskij, da La Fontaine a Balzac – e con il contributo che le viene fornito dalla ricerca storiografica relativa all’età contemporanea, la Heller riesce ad analizzare i diversi gradi del «male» fino a raggiungerne l’«abisso», vale a dire la sua estremità più profonda e oscura. Scrive al riguardo la filosofa: «Hitler e Stalin non erano mostri, non erano delle belve assetate di sangue. […] Agivano seguendo le loro massime, e queste massime erano il male. Erano motivati da un odio furioso e dalla passione della vendetta. Le loro massime e le loro passioni si sostenevano a vicenda. Erano persone carismatiche a capo di una schiera di seguaci mai vista prima. […] C’erano milioni di piccoli Hitler e piccoli Stalin, e questa specie non si è ancora estinta» (p. 28).
A proposito poi della natura di tali massime, è fondamentale metterne in rilievo l’essenza ideologica e l’estensione planetaria: la prima, contraddistinta dal desiderio di sovvertire l’ordine del mondo; la seconda, da una concezione globale, finalizzata di conseguenza alla soppressione di intere popolazioni che risiedono in ogni angolo della Terra.
Ma come è stato possibile – ci si chiede – che la presenza del «male radicale» abbia caratterizzato in particolare l’età moderna, l’epoca cioè nella quale si è realizzata l’universalizzazione dei valori di libertà e del diritto alla vita? In questo contesto, secondo l’autrice, il genocidio è stato moderno in tutto e per tutto, dal momento che il pensiero, i metodi e le tecnologie della modernità ne hanno costituito i presupposti, anche se non hanno causato il suo verificarsi.
La logica alla base dello sterminio ignora il quinto comandamento e ordina, al contrario, di procedere all’eliminazione fisica dell’individuo. In altre parole, ad Auschwitz sono state cancellate le norme fondamentali della modernità, si è cioè proceduto alla loro sistematica distruzione mediante un’operazione che Hitler considerava più importante della vittoria da riportare sugli Alleati. Nessuno, da allora in poi, avrebbe potuto proclamare che gli uomini sono nati liberi e hanno pari diritto alla vita; nessuno sarebbe più riuscito a vivere autenticamente nella modernità, una volta annientate le fonti culturali che avrebbero dovuto fornire a ogni essere umano le forme e i contenuti della sua emancipazione.
Una sfida al monte Sinai, insomma, che costituisce nel contempo il lato oscuro e irrazionale dell’età contemporanea e apre la strada allo sterminio. Una deriva alla quale sarà possibile opporsi solo difendendo le istituzioni liberal-democratiche, contrastando sul nascere l’affermarsi di ogni regime totalitario e coltivando incessantemente la cosiddetta «memoria culturale», quella che non trae forza soltanto dai ricordi dei sopravvissuti, ma da tutte le opere d’arte che continuano a offrirci una rappresentazione della Shoah.
ÁGNES HELLER
Il male radicale. Genocidio, olocausto e terrore totalitario
Roma, Castelvecchi, 2019, 94, € 13,50.