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Questo intervento, tenuto in inglese al Convegno organizzato dai dipartimenti di italiano e francese della Columbia University il 25 aprile del 1995, fu pubblicato in Italia nel 1997, in un volumetto dal titolo Cinque scritti morali, che raccoglieva alcune considerazioni dell’autore su temi quali la guerra, il rapporto fra la stampa italiana e il potere, il confronto tra la fede e l’etica, il problema dell’intolleranza in relazione alle migrazioni.
Lo studioso osserva anzitutto come il fascismo abbia certamente instaurato una dittatura, ma non sia mai riuscito a diventare un regime compiutamente totalitario: uno stato di cose che egli attribuisce anche alla debolezza filosofica della sua ideologia, perché – al contrario di quanto si ritiene comunemente – il fascismo italiano non aveva elaborato una concezione teorica vera e propria. La celebre voce omonima presente nell’Enciclopedia Treccani, firmata da Mussolini nel 1932, fu ispirata o addirittura scritta da Giovanni Gentile, ma rifletteva una nozione tardo-hegeliana dello «Stato etico e assoluto» che non trovò mai la propria realizzazione completa. Insomma, conclude l’autore, Mussolini non poteva fare affidamento su alcuna filosofia, ma solo su una retorica.
Occorre notare come l’ideologia del fascismo fosse costituita da una miscela di elementi di diversa natura che si trovavano in aperto contrasto tra loro, perché nel regime convivevano istanze monarchiche e rivoluzionarie, un esercito regio e la milizia personale del duce, il ruolo privilegiato riconosciuto alla Chiesa cattolica e un modello pedagogico statale che spronava all’eroismo e alla violenza, il libero mercato e l’ordinamento corporativo, una bonaria tolleranza nell’ambito culturale e la reclusione per i dissidenti.
Il termine «fascismo» è stato pertanto utilizzato nei contesti più vari, perché è possibile eliminare da un regime fascista uno o più aspetti, ma esso sarà sempre riconoscibile in quanto tale.
Malgrado questo scarso rigore teorico, Eco ritiene che sia possibile indicare alcune caratteristiche di quello che egli chiama il «fascismo eterno». Dal culto della tradizione a quello dell’azione per l’azione, dalla paura della differenza all’ossessione del complotto, dall’esortazione all’eroismo alla necessità di una neolingua, l’autore indica dunque le numerose, possibili caratteristiche del «fascismo eterno», osservando inoltre come esso «sia ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili» (p. 49) e che vi sia sempre la possibilità di un suo ritorno, magari nelle vesti più candide e inaspettate. Eco conclude affermando: «Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo» (p. 50).
UMBERTO ECO
Il fascismo eterno
Milano, La nave di Teseo, 2018, 52, € 5,00.