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Antonio Rosmini (1797-1855) non si considerava un filosofo o un teologo, ma solo un semplice prete, chiamato da Dio a scrivere di filosofia, di teologia, di spiritualità e altro. «È volontà di Dio che ella attenda a scrivere libri: tale è la sua vocazione»: queste le parole rivolte da papa Pio VIII al Roveretano nel maggio 1829, durante un’udienza. E proprio nello stesso periodo, segnato dagli sconvolgenti postumi della Rivoluzione francese, Rosmini scrisse due saggi critici, pubblicati nel 1834, riguardo alle posizioni di Benjamin Constant (1767-1830) nell’opera De la religion considerée dans sa source, ses formes et ses développements, e di Claude-Henri de Rouvroy, conte di Saint-Simon (1760-1825) nel testo Nouveau Christianisme.
Ora è innegabile che il bonapartismo del dopo Rivoluzione abbia favorito la dilagante molteplicità «d’opinione in campo religioso» (p. 11), come fa notare nell’introduzione Samuele Francesco Tadini, curatore di questo volume. Che la sua epoca non fosse priva di scadimenti politico-sociali lo faceva notare lo stesso Roveretano, quando parlava di una «società gravemente ammalata» (p. 25). Egli infatti temeva che alla religione si potessero sovrapporre «seducenti e apparentemente nuove dottrine religiose, anticattoliche» (p. 10). Per il bene dell’umanità Rosmini allora concepì, con estremo coraggio, il Sistema della Verità.
In questo volume egli rileva che «l’opera sulla religione del Constant non è un sistema religioso, ma una specie di empietà raffinata e profonda» (p. 109). Questa problematica è giunta fino ai nostri giorni, e ha assunto il nome di «soggettivismo»: si tratta del volersi sentire come Dio, rinunziando a Lui. Ma cosa sono in fondo l’illuminismo, il sensismo e l’idealismo, se non l’odierno tentativo dell’uomo di fare da sé, escludendo il trascendente e plasmando un mondo affrancato da Dio? Del resto, questo indirizzo culturale è stato illustrato dallo stesso Constant, attraverso quanto viene riferito da Rosmini: «Un temerario tentativo che l’uomo fa di rendersi indipendente da Dio, con una orgogliosa speranza di potersi ingrandire e felicitare da se medesimo» (ivi).
Ecco il nocciolo della questione, già presente nel libro della Genesi e che si ripresenta puntualmente nella storia dell’uomo, l’errore che si perpetua da oltre due millenni. Così negli ultimi due secoli le visioni culturali come quelle di Constant e dei sansimoniani hanno interessato ampie fasce della società – quella europea in primis –, catalizzando e condizionando la vera formazione della coscienza.
«La vera forza temporale risiede ora negli industriali e la forza spirituale negli scienziati», sostenne Saint-Simon nell’opera Il sistema industriale (1820-22). L’esclusivo raggiungimento dei beni temporali tende quindi a sostituire l’opera degli uomini a quella di Dio, opprimendo i deboli e le minoranze: «Si vedranno la nobiltà e il clero sottomettersi senza resistenza, i nobili e i preti divenire coltivatori, negozianti» (ivi).
Secondo Rosmini, la risposta all’errore, al decadimento e allo sviamento dev’essere quella di rendere visibili – attraverso la testimonianza, il servizio, la professione di fede e la costanza nel frequentare i sacramenti – i bisogni supremi dell’uomo: verità, realtà e moralità. Infatti, come ricorda il Roveretano, «l’uomo è intelligenza, e l’alimento dell’intelligenza non è che la Verità» (p. 133).
ANTONIO ROSMINI
Frammenti di una storia dell’empietà
a cura di SAMUELE FRANCESCO TADINI
Roma, Città Nuova, 2019, 200, € 40,00.