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Una delle tesi portanti del libro di Santiago Zabala, ordinario di filosofia contemporanea presso l’Università Pompeu Fabra di Barcellona, è che la forma caratteristica dell’epoca presente è data dal convergere di istanze diverse verso un «globale ritorno all’ordine», il quale si esprime determinatamente in un «globale inquadramento tecnologico, sociale e politico» che non ha precedenti. Sotto questo aspetto, il «nuovo realismo» che è stato proposto in questi ultimi anni è ritenuto dall’A. come una ripresa delle «aspirazioni universalistiche della modernità». In tale riferimento a dei valori universali egli vede contenuto un restringimento, per l’uomo, degli spazi di libertà. Peraltro, l’affermazione incontrovertibile della realtà così com’è in sé stessa, della cosiddetta «realtà dei “fatti”», tralascia di considerare che i «dati» sono tali in «un certo orizzonte di comprensione», nel quale accade che alcuni di essi siano privilegiati e altri siano omessi. In tale «ritorno all’ordine» è da ravvisare un allontanamento dalla «società aperta» teorizzata da Karl Popper.
L’ermeneutica che è stata coltivata nella postmodernità ha prodotto una ridefinizione della «verità» e del modo di rapportarci a essa, che il nuovo realismo ha inteso invece mettere da parte o, almeno, relativizzare. La postmodernità filosofica, per l’A., è costituita paradigmaticamente dalla fenomenologia di Husserl, dall’ermeneutica di Heidegger e di Gadamer e dal decostruzionismo di Derrida. A queste posizioni, unitariamente considerate, il nuovo realismo oppone la sottomissione della filosofia al metodo scientifico, secondo il programma, ad esempio, del filosofo statunitense John Searle. In tal modo si confonde la «realtà vigente» con la realtà, e così, paradossalmente, si lascia tra l’altro spazio alla «post-verità», alle fake news, ai «fatti alternativi» di cui ebbe a parlare nel 2017 la consigliera di Donald Trump, Kellyanne Conway, difendendo una falsa dichiarazione del portavoce della Casa Bianca.
Sulla base di tali considerazioni Zabala sollecita ad assumere, in relazione alla vita sociale e politica, una «posizione postmoderna», in virtù della quale, invece di limitarsi a far fronte a ciò che, volta per volta, è considerato un’«emergenza», si ponga attenzione piuttosto alle «emergenze più grandi» e che non combattiamo, pur essendo esse da tempo presenti, come la disuguaglianza economica, la crisi dei rifugiati e il cambiamento climatico. Anzi, andando ancora più a fondo, si tratta di considerare che l’emergenza più grande è l’«assenza di emergenza» di cui parlava Heidegger, dove con «emergenza» si deve intendere l’emergere di qualche cosa che «comincia a diventare visibile dopo essere stata nascosta, ignorata, dimenticata» (p. 149). L’ordine globale bloccato e l’assenza di emergenza si corrispondono l’uno con l’altra. E l’«essere dispersi» al quale invita Zabala viene a identificarsi con la «libertà», a cui non si deve rinunciare nell’epoca dei «fatti alternativi».
Le tesi su cui ci siamo soffermati costituiscono il milieu più politico e militante del volume. Esse hanno la loro base filosofica nell’approfondimento di tre concetti che sono svolti in modo articolato dall’A. e che conferiscono al libro la sua forma sistematica: essere (pp. 35-70); interpretazione (pp. 71-122); emergenza (pp. 123-167). Riguardo al concetto di essere, il filosofo di riferimento maggiore è Heidegger, il cui pensiero è studiato in rapporto a quello di Gadamer, Derrida e Vattimo, ma essendo coinvolti anche altri autori, come Rorty e Tugendhat. In merito al concetto di interpretazione, dopo i necessari riferimenti di nuovo a Gadamer, l’attenzione è ancora puntata su Rorty e Vattimo, riservando uno spazio anche per le posizioni dei filosofi analitici.
Un elemento ulteriore da segnalare concerne l’esame che viene fatto, alla luce del problema dell’ermeneutica, da una parte, di pensatori come Freud e Nietzsche e, dall’altra, di autori come Lutero e Agostino, avendo presenti le trattazioni che furono eseguite per questi ultimi da Heidegger.
Infine, l’analisi relativa al concetto di emergenza è svolta attraverso una discussione con Agamben, il cui pensiero in ordine alla politica, e propriamente all’idea dello «stato di eccezione», viene preso in considerazione unitamente a quello di Carl Schmitt e Walter Benjamin.
Il significato di fondo del libro, la cui lettura risulta accattivante, è ribadito nelle parole conclusive: «essere dispersi è il senso della libertà nell’epoca dei fatti alternativi» (p. 172).