
Poco noto sino a qualche anno fa, termine ad usum scientiae degli specialisti della materia, dal momento del suo accesso al mondo dei social media e delle sue declinazioni cinematografiche – dal capostipite Sliding Doors (che quest’anno compie 25 anni) al marvelliano Spiderman-No Way Home, fino al grande vincitore degli Oscar 2023 Everything Everywhere All at Once –, il termine «multiverso» è divenuto riferimento di conio popolare per indicare l’esistenza possibile di più universi paralleli[1].
Oltre a quello che costituisce l’orizzonte della nostra esperienza – se mai sia possibile riconoscerne una percepita come comune, vista la differenza enorme che si dà cambiando latitudini e longitudini sul nostro Pianeta –, la teoria del multiverso è usata dagli scienziati per indicare l’idea che possano esistere altri universi, continuamente emergenti o paralleli. Per i cultori della meccanica quantistica, «multiverso» indica l’esistenza di piani temporali distinti, o di dimensioni in cui le scelte che facciamo producono effetti diversi. «Tutte queste teorie hanno un’unica cosa in comune: suggeriscono che il tempo e lo spazio che possiamo osservare non sono l’unica realtà possibile»[2]. E se la letteratura fosse il modo in cui all’essere umano venga data la possibilità di conoscere una realtà diversa
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