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Il passaggio dal Welfare State al Welfare Community ha comportato il riconoscimento della possibilità, da parte di soggetti non facenti parte delle pubbliche istituzioni, di concorrere al perseguimento di beni comuni. I vari Stati nazionali, sulla base di questo approccio più propriamente sussidiario di individuazione e gestione del bene comune, vanno variamente regolando la materia che segna equilibri, ruoli e metodi attraverso i quali i vari attori del Welfare Community operano.
In Italia, la normativa che costituisce un punto di riferimento in subiecta materia è il D. Lgs. 3 luglio 2017, n. 117, ossia il Codice del Terzo Settore (CTS), che si pone quale fondamento per l’agire di quanti rientrano sotto la denominazione di Enti del Terzo Settore (ETS). Questi ultimi vengono identificati in base alla loro mission, ossia «elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, favorendo la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona, valorizzare il potenziale di crescita e di occupazione lavorativa».
L’Osservatorio giuridico dell’arcidiocesi di Siracusa, in una giornata di studi tenutasi nel maggio 2024, si è interrogato su quale sia la possibilità per gli Enti ecclesiastici di dialogare con la nuova normativa, atteso che l’ambito operativo della medesima interessa alcuni tradizionali campi d’azione della Chiesa, che già l’art. 16 della Legge 222 del 1985 racchiudeva sotto l’ampia denominazione di attività di «assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura».
Il volume degli Atti che presentiamo si apre con il contributo di don Gianluca Belfiore, direttore dell’Osservatorio, il quale esamina la questione da un punto di vista dell’utrumque ius e pone delle premesse fondamentali per inquadrare le problematiche che poi vengono sviluppate negli scritti successivi. In particolare, con sguardo ecclesiologico, mira a chiarire, alla luce della missio Ecclesiæ (l’annuncio del Vangelo), l’irriducibilità dell’Ente ecclesiastico alla mission degli ETS, sebbene tutta l’opera apostolica della Chiesa che rientra nella diakonia della carità integri attività che sono intimamente connesse alla missio Ecclesiæ e che certamente sono comprese nell’ambito di quelle d’interesse generale, per le quali si applica il principio di sussidiarietà. L’A., dunque, con un attento esame del Magistero, della normativa canonica e secolare in materia, conclude affermando che gli Enti ecclesiastici non potranno mai trasformarsi in ETS, ma che quelli di essi che svolgono attività ritenute dal CTS di interesse generale, qualora valutassero l’opportunità di accedere al Terzo Settore (TS), potranno alternativamente costituire un ramo ETS dell’Ente ecclesiastico, oppure potranno dotarsi di un Ente civile strumentale. L’A. pone in rilievo le necessarie cautele che l’una e l’altra scelta impongono e afferma: «Se […] il fine della Chiesa è la predicazione del Vangelo, dovremo utilizzare di questi nuovi strumenti normativi in quanto e nella misura in cui questi ci aiutino nel conseguire il fine per cui la Chiesa è stata fondata, altrimenti ci asterremo dall’utilizzarne».
Di alto profilo sono i successivi contributi di Giovanni Di Rosa, sulle ragioni e opportunità della riforma del TS; di Francesco Marcellino, sull’Ente ecclesiastico nella riforma del TS; di Marco Procida, sugli aspetti giuridici, contabili e fiscali della questione; di Giuseppe Vecchio, sulla co-programmazione quale occasione per riflettere sul rapporto fra partecipazione e democrazia; di Mariano Fioretto, sul regime del volontariato negli ETS; di Lucia Antonella Bongiorno, sul regime della responsabilità nell’amministrazione degli ETS.
La lettura del volume può essere utile per tutti quei soggetti ecclesiali le cui attività intercettano il TS, al fine di lasciarsi aiutare nelle scelte istituzionali da intraprendere alla luce delle norme correnti.