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In quest’opera, il cardinale Walter Kasper raccoglie le riflessioni elaborate durante il suo incarico di presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo. L’A. guida il lettore verso una conoscenza puntuale degli eventi storici che hanno influito su un difficile rapporto tra ebrei e cristiani, ma sottolinea la differenza tra le conflittualità scaturite da interpretazioni teologiche e l’antisemitismo razzista, fondato su pseudo-affermazioni biologiche sostenute dal nazionalsocialismo nel XX secolo.
Kasper afferma infatti che è da giudicare come vera follia la ricerca del dominio mondiale della razza ariana. In questa delirante ricerca da parte del nazionalsocialismo l’A. vede anche un grave errore di carattere escatologico, in quanto, con la persecuzione degli ebrei, «il nazionalsocialismo negò in definitiva il piano di salvezza di Dio e, con la ristrutturazione e la riorganizzazione pianificata di un’Europa senza ebrei, mise al posto di Dio e del suo piano di salvezza la razza compresa come biologicamente primitiva» (p. 70). In pratica, lo sterminio degli ebrei portava all’annientamento del cristianesimo, che vedeva distruggere le sue radici.
Purtroppo però un antecedente antigiudaismo teologico aveva in qualche modo contribuito a «seccare le radici ebraiche del cristianesimo» (p. 72), e di conseguenza i cristiani non furono forti nel ribellarsi e resistere al crimine della Shoah. Risulta pertanto oggi necessaria una rielaborazione dei rapporti tra ebrei e cristiani, per saper rispondere alle scelte e alle azioni mancate o limitate fatte dai cristiani durante gli eventi della Seconda guerra mondiale: tutto questo in vista di una nuova relazione che qualifichi in meglio il presente e il futuro.
Il primo passo che la Chiesa ha compiuto verso tale fine è stato quello di un cambiamento teologico fondamentale nel rapporto tra ebrei e cristiani. Il Concilio Vaticano II ha gettato le basi per questo nuovo inizio mediante la dichiarazione Nostra aetate (1965), che è stata accompagnata anche da un atteggiamento di riconciliazione da parte dei Papi del dopo Concilio, i quali hanno tutti promosso un consolidamento dell’amicizia con gli ebrei.
Kasper si sofferma più volte sul ruolo centrale che ha ricoperto san Giovanni Paolo II per tale cammino di riconciliazione, e in un passaggio scrive: «Giovanni Paolo II ripeté continuamente che il popolo ebraico è il popolo eletto e amato da Dio, il popolo dell’alleanza (Rm 11,28-29) che Dio non ha mai ritirato per la sua fedeltà e che quindi è ancora valida» (p. 144).
L’insegnamento di Paolo: «I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili» (Rm 11,29) è determinante per il dialogo ebraico-cristiano ed è entrato a far parte dell’insegnamento cristiano mediante il riferimento a esso nel Catechismo della Chiesa cattolica (cfr n. 839). La dottrina della fedeltà di Dio nei confronti del popolo dell’alleanza può essere compresa pienamente, secondo Kasper, se la collochiamo nel contesto più ampio dell’unica storia dell’alleanza di Dio con l’umanità (cfr p. 74). La Nuova Alleanza non cancella i patti precedenti, bensì li porta a compimento.
Riguardo a questo cammino di dialogo, l’A. espone diverse considerazioni personali e propone modelli di studio, come quello della «rappresentanza», che riconosce l’ebraismo contemporaneo e il cristianesimo quali segni reciproci del giudizio e della grazia divini. Inoltre suggerisce la conoscenza di modelli classici della Patristica e della prima Scolastica, con l’intento di recuperare formule adeguate, come, ad esempio, quella di Agostino, per la quale Novum Testamentum in Vetere latet, Vetus in Novo patet («nell’Antico Testamento è nascosto il Nuovo e nel Nuovo è manifesto l’Antico») (p. 102).