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Di Giacomo Leopardi si ricordano spesso i versi – «La donzelletta vien dalla campagna», «Silvia, rimembri ancora» ecc. –, ma quasi mai i bei titoli con cui nomina i canti o gli argomenti di idilli: Il pensiero dominante, Le fanciulle nella tempesta, A quella di cui parla questa canzone, Del fingere poetando un sogno, Aspasia.
A leggerli di fila, sembra quasi che il poeta sia ossessionato da un’unica visione: la fanciulla che transita nella bufera, che è insidiata dal male e lo vince. In questa immagine non può non scorgersi una reminiscenza biblica della donna vittoriosa sul tentatore (cfr Gen 3,15; Ap 12,1-12), dal sapore nettamente mariologico. In effetti, che il poeta di Recanati sia tutto fuorché un autore disperato e nichilista è acquisizione critica ormai consolidata. Nondimeno, un Leopardi implicitamente mariologo sembra un’ipotesi difficile.
Eppure la sua poesia più famosa di cui si celebrano oggi i 200 anni dalla stesura – L’infinito – è un inno all’«immensità» e un invito a perdersi in essa (il «naufragar»), una sorta di cantico agli «interminati spazi» e ai «sovrumani silenzi». L’attenzione che si registra sempre più fitta attorno alla figura del poeta e, in parte, la riscoperta del suo pensiero e della sua forza vitale – inversamente proporzionale alle sfortune da cui fu bersagliato durante il «limitare di gioventù» – ci ripresentano un Leopardi non certo redento, ma almeno dischiuso, disponibile all’ascolto. È un aspetto che si trova nelle pieghe di questo libro di Davide Rondoni, concepito come un omaggio all’autore dell’Infinito e anche come un’incessante meditazione in itinere sulla letteratura e sul suo ruolo nella società contemporanea.
Il testo è diviso in due parti – «L’infinito è possibile? Riflessioni viaggianti» e «Lettura dell’“Infinito”» –, nelle quali le divagazioni sul tema si alternano a un’appassionata analisi, verso per verso, del celebre componimento. Il saggio dell’autore non vuole essere, dunque, un nuovo contributo scientifico al vasto campo della filologia leopardiana, quanto piuttosto un’interrogazione sul concetto di poesia e di (r)esistenza, sul senso delle parole di Leopardi «per noi», al di là del loro peso specifico.
«L’infinito è diventato il mio tesoro – osserva Rondoni –, la mia carta di credito con la vita. La fontana che guardo sempre con la coda dell’occhio quando le giornate e il cuore induriscono. Sto forse dicendo che l’infinito esiste? Sì. Ma esiste in un luogo che da ora in poi chiamerò: “non altrove dalla poesia”. […] Il luogo è vicino a ognuno di noi, a volte basta girare lo sguardo un attimo per esserci, per ritrovarsi lì. Dipende da cosa si fissa… Credo ci sia una paradossale e quasi divertente indicazione da cogliere nel fatto che, per scrivere una cosa ispirata all’infinito, Leopardi sia andato poco lontano da casa sua» (p. 17).
Lo scrittore recanatese funge da presenza insostituibile, fedele compagno di un cammino fisico e spirituale, calato nelle acerbe contraddizioni del vivere e sempre armato del desiderio di un’illuminazione intellettuale, volta a comprendere il significato dell’universo oltre l’indefinitezza. «A volte dicono: era una cosa giovanile. Poi il pensiero di Leopardi virò lontano dallo strano incanto di quei versi, verso una negazione assoluta […]. Dicono così, semplificando e spesso mentendo, poiché l’animo e il pensiero del conte Giacomo furono contraddittori fino alla fine, come ogni vero poeta. E poi […] ricordò queste onde e l’infinito fino agli estremi suoi anni. E non abiurò questa poesia» (p. 18).
E qui possiamo scorgere anche una nota mariologica: pensare l’infinito sull’orlo di una concezione pura, di una conoscenza immacolata. Non va dimenticato che Leopardi scrisse gli abbozzi di Inni cristiani – anch’essi risalgono all’estate-autunno 1819 –, tra i quali figurano alcune righe molto sintomatiche A Maria. E occorre anche ricordare quei passi dello Zibaldone in cui si fa riferimento alla purezza e all’innocenza delle fanciulle ammirate.
L’autore ha il merito di far riemergere questa tensione leopardiana verso una prospettiva escatologica, sottolineandone la prossimità con molti autori dell’Otto-Novecento.
Non solo fornire plausibili studi sulle opere del recanatese, ma anche entrare nella sua psicologia, ricreandone le parole e ricevendo lo «strano bacio», significa avvicinare il mondo di Leopardi al nostro, osservare il suo Infinito con i nostri occhi deboli, per farlo vedere, come seppe dire Montale di Dante, a chi è più cieco di noi.
DAVIDE RONDONI
E come il vento. L’infinito, lo strano bacio del poeta al mondo
Roma, Fazi, 2019, 166, € 15,00.