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L’insistenza di papa Francesco sul discernimento ha suscitato un crescente interesse, intercettando peraltro un’esigenza di discernere che si avverte nella cultura odierna. Siamo infatti esposti a un sapere scientifico che solleva domande di senso, a cui tuttavia non offre risposte; a un’enfasi sulle emozioni, sprovvista però di criteri di interpretazione e orientamento; al proliferare di alternative possibili, alimentato dalle nuove tecnologie, fra cui occorre scegliere.
È pertanto benvenuto questo volume, frutto di un corso tenuto alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale dal prof. Chiodi, che firma quattro degli otto contributi. L’approfondimento teorico del tema si articola in tre sezioni: rapporti tra teologia morale e spirituale; testimonianza della Scrittura; nesso tra filosofia e teologia (morale). Qui mettiamo in evidenza tre snodi fondamentali che ci sembrano consentire una navigazione sintetica del testo.
Iniziamo dalla nozione di «esperienza», che nella storia della teologia morale è progressivamente scivolata nell’ombra. Sulla falsariga dell’intelletto speculativo, la ragione (pratica) venne ridotta a facoltà che conosce i princìpi generali riguardanti il bene e il male. «Così l’antropologia e l’etica teologica finirono per distanziarsi dall’esperienza personale, affettiva e culturale, a tutto vantaggio dell’idea di una natura immutabile e universale, […] definita a prescindere dalla storicità delle forme dell’esperienza effettiva» (p. 58). L’esperienza è così divenuta appannaggio della teologia spirituale.
Oggi, però, diversi fattori concorrono al suo recupero. Già nella Bibbia, sia nell’Antico Testamento (P. Rota Scalabrini) sia nel Nuovo (S. Romanello), emerge come l’istanza morale ecceda l’osservanza di una norma conosciuta dall’intelletto: essa rinvia al discernimento, a partire dall’esperienza pratica e spirituale del credente, al contempo intrinsecamente collegata al profilo teologico-cristologico. Ma a un’analoga prospettiva è aperta anche la sensibilità contemporanea, che enfatizza, da una parte, emozioni e affetti e, dall’altra, la diversità delle culture come mediazioni pratiche particolari per accedere all’esperienza umana universale.
Un secondo asse portante è rinvenibile nel superamento del dualismo fra elementi che in passato erano separati: avvalendosi dell’approccio fenomenologico-ermeneutico, il volume mostra la loro costitutiva connessione. Anzitutto si ricuce lo scollamento tra moralità e spiritualità: esse connotano due forme di un’unica esperienza, che si specifica come cristiana in quanto corrisponde «al dono dello Spirito Santo, che agisce nei credenti, modellandoci […] secondo la forma umana di Cristo» (p. 33).
Anche filosofia e teologia non vanno né contrapposte né subordinate, altrimenti si riproduce una scissione tra ratio e fides speculare a quella tra «natura» e «soprannatura», sancendo l’incomunicabilità tra «laici» e «credenti». La svolta fondamentale, ben sintetizzata dal card. Marcello Semeraro nella prefazione, «consiste nel rivalutare non tanto il ruolo della ragione nella fede, quanto l’importanza della presenza della seconda nella prima, riabilitandole entrambe» (p. XIX).
Il terzo snodo riguarda la phrónēsis e la prudenza. Dopo una rilettura del tema in Aristotele e Kant (A. Da Re), si esamina il concetto di prudentia nel pensiero di Tommaso. Nella sua analisi dell’atto umano, Chiodi evidenzia istanze che rinviano, al di là di un’antropologia basata sulle facoltà, alla storicità: un terreno su cui convergono anche teologia biblica e filosofia.
I tre fili rossi menzionati si intrecciano nel modo di intendere la coscienza: non una tra le facoltà del soggetto, né atto puntuale di giudizio, ma espressione della forma radicalmente libera di ogni persona, in quanto affidata a sé stessa. Nel suo decidersi, patire e agire, ingiunzione e iniziativa sono originariamente collegate. La coscienza è quindi costitutivamente relazionale, invalidando ogni visione individualistica dell’identità: il sé è inseparabile dall’altro. Il discernimento si presenta allora come virtù e non come atto puntuale.
Una menzione particolare merita il contributo su Ignazio di Loyola e Francesco di Sales (E. Bolis). La loro comprensione del discernimento, egregiamente sintetizzata, richiederebbe però una rivisitazione alla luce dei nodi teorici sviluppati. Nella cultura teologica del loro tempo, infatti, vigevano i dualismi e la tendenza intellettualista sopra criticati: sarebbero da approfondire il rapporto della ragione che delibera con la volontà che esegue e il ruolo della mediazione pratica e storica. Inoltre, riguardo a sant’Ignazio, il solo riferimento agli Esercizi spirituali restringe il campo al discernimento personale, trascurando quella fondamentale esperienza comunitaria da cui nasce la Compagnia di Gesù (Deliberazione dei primi padri), ricca di spunti anche per il cammino del Sinodo.
Discernimento e «phrónēsis».
Tradizione spirituale, Scrittura e teoria morale
a cura di MAURIZIO CHIODI
Milano, Glossa, 2021, XXI-400, € 37,00.