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«Populismo» è un termine adoperato nell’agone mediatico e politico con significati diversi, contrastanti se non strumentali, un fenomeno tra i più controversi negli stessi studi accademici di politica, per cui è difficile giungere a una definizione che venga accettata da tutti. Nel contempo esiste un’ampia letteratura di studi e ricerche accademiche sulla politica, di quasi esclusiva marca anglosassone, che supporta analisi e interpretazioni, in particolare sul fenomeno globale del «populismo». Qui s’inserisce il libro di Jan-Werner Müller, professore di Politica alla Princeton University, noto anche per i suoi studi sul sistema democratico e il suo decadimento in Europa.
Nel suo intervento iniziale, la politologa Nadia Urbinati sostiene che nell’ambito delle analisi e degli studi recenti che hanno arricchito la conoscenza del fenomeno, il libro di Müller si colloca alla confluenza di tre complesse direttrici: carattere ideologico, meccanismo strategico, contenuto socio-culturale; e che per l’autore il populismo si manifesta nella pretesa di una rappresentanza simbolica legittima del popolo.
L’argomentazione di Müller si sviluppa nel continuo confronto con posizioni ritenute inadeguate, in una visione globale del fenomeno e dell’incarnazione nei suoi leader nelle nazioni di vari continenti.
Nel primo capitolo – «Che cosa dicono i populisti» – l’autore indica i motivi per cui diversi approcci comuni nella comprensione del fenomeno portano a vicoli ciechi: una prospettiva socio-psicologica incentrata sulle percezioni degli elettori (rabbia, risentimento, frustrazione); un’analisi sociologica focalizzata su determinate classi sociali; e una valutazione della qualità delle proposte politiche utili per capire il populismo, ma che non delineano adeguatamente il fenomeno.
L’autore sostiene invece che «il populismo non è nulla di simile a una dottrina codificata, ma un insieme di distinte rivendicazioni, provvisto di ciò che potremmo chiamare una logica interna» (p. 16). Questa logica, secondo Müller, si identifica con una «particolare visione moralistica della politica, un modo di concepire il mondo politico che oppone un popolo moralmente puro e completamente unificato – ma, direi, fondamentalmente immaginario – a delle élite corrotte o in qualche modo inferiori» (pp. 26 s).
Rispetto alla democrazia rappresentativa, di cui costituisce l’ombra, il populismo esprime un’argomentazione pars pro toto del popolo e la rivendicazione di una rappresentanza esclusiva del popolo, entrambe intese in senso morale anziché empirico. Non vi può essere populismo senza un leader che parli a nome del popolo nel suo insieme. Oltre a essere antielitari e antipluralisti, i populisti sostengono di essere gli unici a rappresentare il popolo vero, puro.
A nostro avviso, si tratta di focalizzare le dinamiche da cui si genera non soltanto la pretesa di una rappresentanza esclusiva del popolo in senso morale e di una visione morale della politica stessa, che normalmente si forma nel corso di accese mobilitazioni e che unisce il «popolo» sotto la guida di un leader. Tali dinamiche configurano piuttosto una «legittimazione» politica o a volte identitaria del movimento e delle sue pretese, sebbene simbolica, e dello stesso leader che incarna il popolo. Qual è la logica dei populisti al potere come unici rappresentanti moralmente legittimati del popolo vero nel governo?
Nel secondo capitolo – «Che cosa fanno i populisti, ovvero il populismo al potere» – questa logica viene ricondotta a tre modi distinti: 1) la colonizzazione o occupazione dello Stato (esempi recenti sono i cambiamenti legislativi indotti dai governi di Ungheria e di Polonia); 2) il clientelismo di massa, o «legalismo discriminatorio», secondo alcuni politologi; 3) la repressione sistematica della società civile (per esempio, lo screditamento delle Ong in molti Paesi – Russia, Polonia, Ungheria e anche Italia –, in quanto controllate da poteri esterni).
Nel terzo capitolo – «Come occuparsi dei populisti» – l’autore propone alcuni utili suggerimenti su come relazionarsi meglio con i populisti, senza limitarsi semplicemente a parlarne, cioè a esprimersi come loro, perché, finché essi rispettano la legge e non incitano alla violenza, gli altri soggetti politici hanno in qualche modo l’obbligo di coinvolgerli, senza prendere alla lettera le loro rivendicazioni politiche.
Il volume contribuisce ad arricchire la conoscenza e l’approfondimento non soltanto accademico del fenomeno del populismo nel nostro Paese, perché, come ha scritto il Washington Post, «è una lettura veloce e vale la pena concentrarsi in ogni pagina».
JAN-WERNER MÜLLER
Cos’è il populismo?
Milano, Università Bocconi, 2017, 138, € 16,00.