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¡Él vive y te quiere vivo! Egli è vivo e ti vuole vivo! Così si apre la nuova Esortazione apostolica di papa Francesco, firmata il 25 marzo 2019. L’esclamazione riassume il senso profondo del testo bergogliano che ha il titolo latino di Christus vivit. «Vita», «vivo», «vivere» sono termini che ricorrono nel documento ben 280 volte, esattamente quanto la parola «giovani», che è la parola chiave dell’Esortazione. Una vita vissuta pienamente: questo è il perno attorno al quale ruota tutto il discorso di Francesco sui giovani. Le pagine scorrono con un ritmo sostenuto, pieno di energia, come a voler scuotere, a voler letteralmente «esortare» a una vita piena.
La giovinezza non esiste: esistono i giovani
In un libro-intervista dal titolo Dio è giovane[1] Francesco ha tenuto a precisare che «la giovinezza non esiste. Quando parliamo di giovinezza, inconsciamente, facciamo spesso riferimento ai miti di giovinezza. Mi piace pensare che la giovinezza quindi non esiste, e che al suo posto esistono i giovani»[2]. I giovani non possono essere categorizzati come una «casta» a parte.
Certo, possiamo dire con san Paolo VI che l’età giovanile «non dev’essere considerata l’età delle libere passioni, delle inevitabili cadute, delle crisi invincibili, dei pessimismi decadenti, degli egoismi dannosi; l’essere giovani è una grazia, è una fortuna»[3]. Ed è una grazia e una fortuna riservata a tutti, dato che tutti siamo o siamo stati giovani. Parlare di giovani dunque significa parlare dell’essere umano. Al di là di ogni altra considerazione, la Chiesa avverte l’istinto di felicità e di pienezza di chi si apre alla vita.
Christus vivit è l’anello di una catena. Certamente si può leggere come testo a sé stante, ma bisogna avere la chiara consapevolezza che il Papa ha fatto proprio un processo redazionale complesso e ricco che ha coinvolto anche centinaia di giovani. Si tratta della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», che si è svolta a Roma dal 3 al 28 ottobre 2018 e che ha prodotto un Documento finale[4]. Parlare dei giovani significa parlare di promesse: ogni giovane ha qualcosa del profeta. Il Sinodo, dunque, è stato chiamato a cogliere e interpretare tale profezia. Christus vivit è parte di questo lavoro ermeneutico. L’Esortazione si compone di nove capitoli. Vediamo di cogliere le chiavi del discorso di Francesco secondo la loro scansione nel testo.
«¡Él vive y te quiere vivo!»
Il capitolo di apertura consiste in una rapida carrellata di primi piani su figure bibliche di giovani sia dell’Antico sia del Nuovo Testamento. Si legge con gusto proprio perché il Papa non intende fare grandi discorsi, ma cogliere in estrema sintesi un tratto, un gesto, un atto… schizzi utili per comporre un ritratto corale. Ne emerge un Dio che ispira i giovani nei loro sogni (Giuseppe) e che va a scovare i suoi eletti tra coloro che gli altri non considerano (Davide). E così appaiono giovani sinceri che non addolciscono la realtà (Gedeone), giovani insicuri che sanno essere coraggiosi (Samuele), giovani che si sentono «persi» davanti alle loro responsabilità ma che sanno agire con saggezza (Salomone) o che sanno risvegliare la coscienza del loro popolo (Geremia), giovani esempi di generosità nella disgrazia (Rut) o una ragazza anonima, finita al servizio della moglie di Naamàn, comandante dell’esercito del re di Aram, che sa soccorrere in maniera intelligente il suo «padrone».
La stessa tecnica per bozzetti è adoperata per il Nuovo Testamento, dove appaiono giovani disposti a imprimere un profondo cambiamento alla loro vita, ad apprendere. Perché – scrive Francesco – «un giovane non può essere scoraggiato, la sua caratteristica è sognare grandi cose, cercare orizzonti ampi, osare di più, aver voglia di conquistare il mondo, saper accettare proposte impegnative e voler dare il meglio di sé per costruire qualcosa di migliore» (n. 15).
Appare anche un ragazzo che ha «rinunciato alla sua giovinezza» (n. 18). L’espressione è forte e riguarda una persona che si avvicina a Gesù alla ricerca di un «di più», ma che poi se ne va via triste. Così pure rinunciare alla gioventù è vivere in maniera distratta, addormentata, «volando per la superficie della vita» (n. 19).
Nel secondo capitolo questa «giovinezza» prende corpo e figura. Non abbiamo solamente intuizioni sulla fenomenologia del giovane. Essa prende il volto di Gesù, nel quale il Papa riconosce la giovinezza. Anche di Cristo si presenta qualche tratto, senza rinunciare a una certa immaginazione nel dipingerlo.
Gesù appare un giovane immerso nelle relazioni. Leggiamo il ritratto che ne fa Francesco: «Gesù stava lì, andava e veniva in mezzo agli altri, scherzava con quelli della sua età, ascoltava i racconti degli adulti e condivideva le gioie e le tristezze della carovana. Il termine greco usato da Luca per la carovana dei pellegrini – synodía – indica precisamente questa “comunità in cammino” di cui la Santa Famiglia è parte. Grazie alla fiducia dei suoi genitori, Gesù si muove con libertà e impara a camminare con tutti gli altri» (n. 29).
Emerge questo tratto specifico dell’essere in «carovana», che il Papa non esita a collegare col termine «sinodo», cioè proprio l’evento ecclesiale che ha generato questa Esortazione. Una Chiesa sinodale è una Chiesa che sa essere giovane e sa mischiarsi nel mondo e col mondo delle relazioni, senza ritirarsi in un luogo elitario e separato. È una carovana: qui si discerne un’immagine della Chiesa, ma anche un modo di vivere in maniera progettuale nel mondo: «non creare progetti che isolino i giovani dalla famiglia e dal mondo, o che li trasformino in una minoranza selezionata e preservata da ogni contagio. Abbiamo bisogno, piuttosto, di progetti che li rafforzino, li accompagnino e li proiettino verso l’incontro con gli altri, il servizio generoso, la missione» (n. 30).
L’inquietudine, chiave della santità e della missione della Chiesa
Così è chiamata a essere la Chiesa (cfr nn. 34-42): libera dalla sclerosi e dall’immobilismo, capace di lottare per la giustizia, di essere umile. Ma Francesco sa bene che tanti giovani non la considerano significativa per la loro esistenza. Addirittura a volte la sentono molesta e irritante (cfr n. 40). Se la Chiesa si mette in difensiva e non ascolta, allora si trasforma in un «museo» (n. 41). Ecco, dunque, la domanda: come la Chiesa potrà accogliere i sogni dei giovani?
Il Papa non resta astratto, e fornisce altri bozzetti, piccoli ritratti di 12 giovani santi che sono la naturale prosecuzione degli schizzi delle figure bibliche: da san Sebastiano del III secolo fino alla beata Chiara Badano, morta nel 1990. Guardando ai sogni e alle istanze dei giovani, la Chiesa comprende la propria identità profondamente legata al suo compito, alla sua missione.
In Maria il Papa trova compiutamente l’immagine della Chiesa. Ma è interessante notare come egli la definisca «quella inquieta» (n. 46). L’inquietudine è, in definitiva, la chiave della santità e della missione della Chiesa.
Il terzo capitolo dell’Esortazione si concentra sulla lettura della situazione giovanile oggi, e dunque sulle inquietudini, appunto. Lettura che non intende affatto essere esaustiva, ma fa ampio riferimento al Documento finale del Sinodo. Francesco scrive proprio all’inizio di Christus vivit: «In questo modo, la mia parola sarà arricchita da migliaia di voci di credenti di tutto il mondo che hanno fatto arrivare le loro opinioni al Sinodo. Anche i giovani non credenti, che hanno voluto partecipare con le loro riflessioni, hanno proposto questioni che hanno fatto nascere in me nuove domande» (n. 4).
La parola del Papa, dunque, si fa carico e pure si «carica» – quasi elettricamente – delle voci di credenti e non credenti. E lo fa con un rispetto sacrale. Egli scrive infatti: «Il cuore di ogni giovane deve pertanto essere considerato “terra sacra”, portatore di semi di vita divina e davanti al quale dobbiamo “toglierci i sandali” per poterci avvicinare e approfondire il Mistero» (n. 67).
Dalla dinamica sinodale è emerso con forza un metodo confermato dall’Esortazione apostolica di Francesco: prima di interpretare o fare delle scelte bisogna ascoltare, occorre riconoscere la realtà. Bisogna essere «inquietati» dalla realtà. Non è possibile ascoltare i giovani se non si cammina con loro per le strade del mondo. I pastori della Chiesa, raccolti nell’aula sinodale, hanno preso consapevolezza che il messaggio del Vangelo che la Chiesa custodisce non può essere trasmesso se non ci si mette per strada con i giovani, che anzi all’interno del popolo di Dio essi possono pure precederci. Nel Sinodo l’icona che ha accompagnato la riflessione è stata quella dei discepoli di Emmaus, ripresa anche da Francesco nella sua Esortazione (cfr nn. 156, 236, 292, 296). L’intero terzo capitolo dell’Esortazione conferma questo metodo del cammino.
La prima constatazione che emerge dall’ascolto è che le voci sono troppo diverse per rimanere confuse in una sola. La polifonia è indispensabile: non si può fare di ogni erba un fascio. Lo dicevamo all’inizio: non si può parlare di «giovani» in generale. Se si ascolta e ci si mette in cammino, emergono tutte le differenze e la diversità delle voci.
Giovani di un mondo in crisi
Eppure, nonostante le differenze, il Papa non esita, nel titolo di un paragrafo, a parlare di «Giovani di un mondo in crisi». E la crisi è frutto di violenza, persecuzioni, abusi, dipendenze, esclusioni di ogni genere. La cosa peggiore davanti a tutto questo sarebbe l’«anestesia»: abituarsi a questa colonizzazione della mente e dell’anima, perdendo la sensibilità, fermandosi all’apparenza e chiudendo gli occhi davanti a ciò che è disprezzato, povero, brutto, scartato.
L’antidoto c’è: consiste nel vedere la realtà attraverso occhi pieni di lacrime. Ecco le domande di Francesco: «Io ho imparato a piangere? Quando vedo un bambino affamato, un bambino drogato per la strada, un bambino senza casa, un bambino abbandonato, un bambino abusato, un bambino usato come schiavo per la società? O il mio è il pianto capriccioso di chi piange perché vorrebbe avere qualcosa di più?» (n. 76).
Il Papa riconosce nei giovani «desideri, ferite e ricerche» e ricorda che il Sinodo ha individuato tre temi di grande importanza (cfr Documento finale nn. 21-31 e nell’Esortazione nn. 86-102). Egli li assume così come sono e ne cita ampiamente la trattazione. Essi sono: l’ambiente digitale, le migrazioni e il dramma degli abusi.
L’ ambiente digitale è inteso non solamente come uno strumento di comunicazione, ma come il contesto di una cultura ampiamente digitalizzata. Francesco è molto chiaro nell’identificare il digitale come «un contesto di partecipazione sociopolitica e di cittadinanza attiva» (n. 87). In questo senso tocca un tema caldissimo nelle nostre società: un problema, ma anche una sfida da accogliere. Non possiamo far finta che la rete non esista e dobbiamo prendere atto che il consenso si forma anche nell’ambiente digitale. Il disagio si esprime soprattutto lì. Come fare a vivere la rete quale forma di partecipazione democratica senza cadere in scorciatoie demagogiche?
Le migrazioni sono intese come un «paradigma del nostro tempo». Il fenomeno è descritto anche nei suoi effetti di sofferenza e di abuso, come pure nei sentimenti xenofobi. La Chiesa oggi è chiamata a svolgere un ruolo profetico. Questo è certamente un altro tema scottante.
Il dramma degli abusi viene declinato nelle sue forme legate al potere, all’economia, alla coscienza e alla sessualità. Commenta Francesco: «Questa nuvola nera diventa anche una sfida per i giovani che amano Gesù Cristo e la sua Chiesa, perché possono contribuire molto a guarire questa ferita se mettono in gioco la loro capacità di rinnovare, rivendicare, esigere coerenza e testimonianza, di tornare a sognare e a reinventare» (n. 100).
Un tema trasversale che accompagna l’Esortazione è quello della difesa dei diritti della donna e della necessaria «reciprocità» (nn. 42 e 81) tra uomini e donne. Il Papa ne parla al n. 42: «Una Chiesa viva può reagire prestando attenzione alle legittime rivendicazioni delle donne che chiedono maggiore giustizia e uguaglianza. Può ricordare la storia e riconoscere una lunga trama di autoritarismo da parte degli uomini, di sottomissione, di varie forme di schiavitù, di abusi e di violenza maschilista. Con questo sguardo sarà capace di fare proprie queste rivendicazioni di diritti, e darà il suo contributo con convinzione per una maggiore reciprocità tra uomini e donne, pur non essendo d’accordo con tutto ciò che propongono alcuni gruppi femministi».
Da notare il passaggio dal vocabolario della «complementarità» a quello della «reciprocità». La complementarità appare più statica e dà alle donne un ruolo, e all’uomo un altro. In qualche modo cristallizza i rapporti in un gioco di caratterizzazioni che non afferrano la vita concreta di una coppia uomo-donna. La rivelazione cristiana mette in discussione, quindi, una concezione platonica della natura umana che interpreta la differenza come se fosse destinata a scomparire nell’unità di un amore dal quale, per fusione, sorgerebbe l’essere umano completo. Notiamo infine che al n. 245 Francesco parla della mancanza di esempio di liderazgo femenino, cioè di «figure di riferimento femminili all’interno della Chiesa».
Il «grande annuncio»
Il quarto capitolo è quello centrale dell’Esortazione. Esso è dedicato al «grande annuncio per tutti i giovani» e contiene «tre grandi verità che tutti abbiamo bisogno di ascoltare sempre, più volte» (n. 111).
La prima è «Dio ti ama». Il messaggio è di una semplicità disarmante. Eppure, proprio questo è il punto critico dell’annuncio cristiano. «Se l’hai già sentito, non importa, voglio ricordartelo: Dio ti ama. Non dubitarne mai, qualunque cosa ti accada nella vita. In qualunque circostanza, sei infinitamente amato» (n. 112). Soprattutto Dio non è un hard disk. La sua memoria è «un cuore tenero di compassione» (n. 115). Senza questa verità nel cristianesimo tutto crolla a pezzi. Colpisce molto il lavoro pastorale di Francesco nel correggere un’immagine di Dio falsa, impolverata, pesante. Abbiamo sovraccaricato l’immagine di Dio con idee che lo allontanano dalla sua vera immagine di «amante della vita».
La seconda «grande verità» che Francesco esprime nel quarto capitolo di Christus vivit è che «Cristo, per amore, ha dato sé stesso fino alla fine per salvarti». E la verità diventa appello all’azione: «Guarda la sua Croce, aggrappati a Lui, lasciati salvare» (n. 119). Questo amore che arriva alla croce supera tutte le nostre fragilità e contraddizioni. Anzi: Cristo scrive la sua storia di amore con noi proprio «attraverso le nostre contraddizioni, fragilità e meschinità» (n. 120). Niente e nessuno è scartato dalla croce.
La terza è: «Gesù Cristo vive», ¡Él vive! Non è solamente un bell’esempio del passato. Chiede Bergoglio: «Contempla Gesù felice, traboccante di gioia. Gioisci con il tuo Amico che ha trionfato. Hanno ucciso il santo, il giusto, l’innocente, ma Egli ha vinto. Il male non ha l’ultima parola. Nemmeno nella tua vita il male avrà l’ultima parola, perché il tuo Amico che ti ama vuole trionfare in te. Il tuo Salvatore vive» (n. 126). Si avverte un trionfo, un’esultanza formidabile in queste parole, come fossero il frutto diretto della gioia della risurrezione. Questa converte, e non certo «una decisione etica o una grande idea» (n. 129).
Ecco dunque le tre grandi verità della fede: «Dio ti ama, Cristo è il tuo salvatore, Egli vive» (n. 130).
«Volare con i piedi»
Nel quinto capitolo dell’Esortazione il Papa si interroga su che cosa cambia sulla via della giovinezza quando essa è illuminata dal Vangelo. Quali sono gli elementi di questo cammino?
Francesco procede offrendo spunti di riflessione, come se desse i punti degli Esercizi spirituali. Le articolazioni del suo discorso non sono quelle di un trattato accademico, ma quelle proprie di un testo che deve nutrire il lettore, dandogli indicazioni per la meditazione spirituale ed esistenziale.
Sogni e scelte. La giovinezza è intesa come l’età del sogno. Ma Bergoglio riflette sul fatto che l’incontro con il Signore fa crescere le persone e fa maturare i sogni, che altrimenti resterebbero astratti. La fede apre le persone alla responsabilità: questo è il punto. L’inquietudine viene a essere considerata il motore della crescita perché apre il cuore e lo mantiene aperto (cfr n. 138), ma poi questa condizione non resta indeterminata: deve condurre a fare scelte. Quando Francesco vede un ragazzo o una ragazza che cerca la sua strada, vede una persona che vuole «volare con i piedi». Questa espressione è magnifica e potrebbe bastare. E tuttavia il Papa sente il bisogno di precisare: il giovane cammina con due piedi come gli adulti, ma, a differenza degli adulti, che li hanno in parallelo, li mette uno di fronte all’altro, pronto a partire. Parlare di giovani significa dunque parlare di promesse, che aprono il cammino delle scelte, cioè della vita vissuta. Il giovane è abbastanza «folle» da poter ingannare se stesso, ma ha pure risorse sufficienti per poter essere curato dalla delusione che può derivarne (cfr n. 139) e così andare avanti.
Voglia di vivere e di sperimentare. Quindi il cammino del giovane è molto sbilanciato verso il futuro e ha le energie necessarie per controbilanciare le delusioni della storia. Semmai il problema può essere l’ansia (cfr n. 142), che diventa nemica nel momento in cui si scopre che il risultato della propria azione non è immediato, e allora si ha paura e incertezza e ci si paralizza. Il Papa si immedesima nella situazione di un giovane che vive queste tensioni. Vede anche il rischio che esse possano generare insoddisfazione o atteggiamenti irresponsabilmente sfrenati. Il suo messaggio è una chiara spinta in avanti, sapendo che la Parola di Dio invita a vivere il presente, non solo a preparare il domani (cfr n. 147).
L’ amicizia. Un elemento importante della vita di un giovane è l’amicizia. Scrive il Papa che, grazie agli amici, il Signore ci aiuta a maturare. La presenza degli amici al nostro fianco nei momenti difficili è un riflesso dell’affetto del Signore, della sua consolazione e della sua presenza gentile. Avere amici ci insegna ad aprirci, a lasciare il nostro isolamento, a condividere la nostra vita (cfr n. 151). Ed è questa la forma privilegiata del rapporto di un giovane con Cristo: non l’esteriorità di una adesione intellettuale, ma la preziosa intimità dell’amicizia.
Crescita e immaginazione. L’entusiasmo della giovinezza va accompagnato nella crescita e nella maturazione in modo che non si spenga a causa di un bisogno crescente di sicurezza e di comfort. Non si deve perdere l’ampia apertura, il fascino. Il Papa qui cita la sua esperienza personale e fa una confessione: «Quando ho iniziato il mio ministero come Papa, il Signore ha allargato i miei orizzonti e mi ha dato una rinnovata giovinezza» (n. 160). Una frase che è uno splendido insight sulla vita del Pontefice. Questa maturazione che apre e amplia gli orizzonti diventa profezia di stimolo per chi ci sta accanto (cfr n. 162).
Fraternità. La maturazione si esprime nell’apertura agli altri, una vera e propria forma di «estasi», scrive il Papa. È il riconoscimento di una fraternità radicale. Per testimoniarla, cita i vescovi di un Paese che ha vissuto lotte fratricide: il Rwanda.
Impegno. In questo senso il Papa incoraggia l’aggregazione che si apre all’impegno, anche in piccoli gruppi. Parla di «carità sociale» e di «carità politica», «cittadinanza attiva», «solidarietà sociale»: tutte espressioni della dedizione concreta per costruire una società nuova. C’è un’espressione che ricorre di frequente nel linguaggio di Bergoglio e che riassume la forma di impegno per eccellenza: l’«amicizia sociale», molto più intensa del termine «coesione», pur nobile. Questa amicizia è frutto della convergenza della «energia comunitaria» (n. 172).
Missione. Infine Bergoglio tiene a precisare che questo impegno non ha frontiere né limiti. Il Vangelo è per tutti e non solamente per chi è più vicino o più sensibile. Collaborare alla trasformazione del mondo con energia, audacia e creatività è compito di tutti.
Rami al cielo e radici dentro la terra
Il tono dell’Esortazione è decisamente legato all’energia per cambiare il mondo sin da oggi (e non solo da domani o nel futuro). Ma Bergoglio pone un intero capitolo per dichiarare l’importanza delle radici. Il futuro senza passato vola via, la giovinezza senza la storia e la tradizione rischia di essere pura ideologia o mito o manipolazione o superficialità: «Al mondo non è mai servita né servirà mai la rottura tra generazioni» (n. 191).
La Chiesa è una canoa – ha detto uno dei giovani uditori sinodali, proveniente dalle isole Samoa – in cui i vecchi aiutano a tenere la direzione interpretando la posizione delle stelle, e i giovani, in dialogo con loro, remano con forza. Il Papa ha ricordato il suo intervento e lo ha riproposto nell’Esortazione Christus vivit, concludendo che dovremmo salire tutti su una stessa canoa per costruire un mondo migliore (cfr n. 201). Per Francesco, il giovane è un profeta, ma può davvero profetizzare solamente ascoltando i sogni di chi lo precede nel cammino della vita: sogni che costui fa sulla base della sua lunga esperienza.
È significativo che nel contesto del Sinodo sia stato organizzato un evento di presentazione del volume La saggezza del tempo[5] al quale ha partecipato lo stesso Pontefice, che ha accolto domande di anziani e giovani sul tema del rapporto intergenerazionale. Il volume è a sua volta la raccolta di testimonianze di anziani di tutto il mondo con le quali il Pontefice interagisce, commentando o raccontando esperienze personali. Scrive adesso il Papa, riprendendo quel volume: «Nel libro La saggezza del tempo ho espresso alcuni desideri sotto forma di richieste. “Che cosa chiedo agli anziani, tra i quali annovero anche me stesso? Chiedo che siamo custodi della memoria. Noi nonni e nonne abbiamo bisogno di formare un coro. Immagino gli anziani come il coro permanente di un importante santuario spirituale, in cui le preghiere di supplica e i canti di lode sostengono l’intera comunità che lavora e lotta nel campo della vita”. È bello che “i giovani e le ragazze, i vecchi insieme ai bambini, lodino il nome del Signore”» (n. 196).
Gli anziani costruiscono i loro sogni sulla base della memoria, dei ricordi, con le immagini di esperienze vissute negli anni. Se i giovani affondano le loro radici nei sogni degli anziani, allora – secondo Francesco – possono vedere il futuro, possono avere visioni che aprono i loro orizzonti. Se invece gli anziani non sognano, i giovani non possono più vedere chiaramente l’orizzonte (cfr n. 193). La frattura dei rapporti intergenerazionali introdurrebbe una frattura nella storia.
Non perdere il fuoco
Il settimo capitolo è tutto dedicato alla «pastorale giovanile», cioè all’azione educativa con cui la Chiesa accompagna i giovani e favorisce il loro protagonismo. Il Papa parte dall’esperienza dei giovani che a volte nelle strutture tradizionali non trovano risposte alle loro inquietudini, necessità, problematiche e ferite (cfr n. 202). I giovani chiedono un maggiore protagonismo.
Non è sufficiente la pianificazione come strategia e la «riunione» come modello di azione. Serve altro. Il Papa usa le parole «creatività», «audacia», «astuzia», «ingegno» (cfr nn. 203-204). Indica due grandi linee di azione. Esse sono la ricerca e il coinvolgimento che attragga nuovi giovani all’esperienza del Signore; e la crescita, lo sviluppo di un cammino di maturazione di coloro che hanno fatto questa esperienza.
Il Papa chiede che nella pastorale non si corra il terribile rischio che i giovani «perdano il fuoco» (n. 212). Questo non deve accadere. «Se i giovani sono cresciuti in un mondo di ceneri, non è facile per loro sostenere il fuoco di grandi desideri e progetti. Se sono cresciuti in un deserto vuoto di significato, come potranno aver voglia di sacrificarsi per seminare?» (n. 216).
E certamente il fuoco si spegne anche quando l’esperienza dell’incontro con Cristo si converte in «indottrinamento» (n. 214): «Molti giovani si stancano dei nostri programmi di formazione dottrinale e anche spirituale, e a volte rivendicano la possibilità di essere più protagonisti in attività che facciano qualcosa per la gente» (n. 225).
Il Vangelo ridotto a dottrina è un Vangelo blando, incomprensibile, distante, separato dalle culture giovanili e adatto forse solo a un’élite di giovani «diversi», che galleggiano in isolamento senza vita e senza fertilità. E così «sradichiamo o soffochiamo migliaia di germogli che cercano di crescere in mezzo ai limiti» (n. 232).
La Chiesa non è un «bunker»
Un capitolo molto importante è quello dedicato alla pastorale nelle istituzioni educative. Il Papa è molto diretto e duro nell’affermare che ci sono «alcune scuole cattoliche che sembrano essere organizzate solo per conservare l’esistente. La fobia del cambiamento le rende incapaci di sopportare l’incertezza e le spinge a chiudersi di fronte ai pericoli, reali o immaginari, che ogni cambiamento porta con sé».
L’immagine usata da Francesco è molto forte: «La scuola trasformata in un “bunker” che protegge dagli errori “di fuori” è l’espressione caricaturale di questa tendenza. Questa immagine riflette in modo provocatorio ciò che sperimentano molti giovani al momento della loro uscita da alcuni istituti educativi: un’insormontabile discrepanza tra ciò che hanno loro insegnato e il mondo in cui si trovano a vivere».
Qui in questione non sono solamente i contenuti insegnati, ma che tipo di persona vogliamo formare. «Anche le proposte religiose e morali che hanno ricevuto non li hanno preparati a confrontarle con un mondo che le ridicolizza, e non hanno imparato modi di pregare e di vivere la fede che possano essere facilmente sostenuti in mezzo al ritmo di questa società». Ecco invece una delle «gioie più grandi di un educatore»: «vedere un allievo che si costituisce come una persona forte, integrata, protagonista e capace di dare» (n. 221).
La strada della ricerca e della domanda aiuta a formare una personalità adulta, capace di fare scelte con discernimento e di aderire alla fede con piena maturità. Potremmo dire che il modello del bunker è diametralmente opposto a quello dell’«ospedale da campo», del quale il Papa ha spesso parlato e che indica lo spazio di una formazione che aiuta a guarire le ferite del mondo. Molto forte è anche l’appello di Francesco a un protagonismo popolare, ad assumere un ruolo di leader.
Vocazione e discernimento
Gli ultimi due capitoli dell’Esortazione riguardano «vocazione» e «discernimento». Sono temi ampiamente trattati nell’Esortazione Gaudete et exsultate. Qui Francesco li riprende alla luce dell’esperienza sinodale.
All’inizio dell’ottavo capitolo di Christus vivit – dedicato alla vocazione – Francesco scrive che «nel discernimento di una vocazione è importante vedere se uno riconosce in se stesso le capacità necessarie per quel servizio specifico alla società» (n. 255). Il servizio rivolto agli altri è solitamente legato a due questioni fondamentali: la formazione di una nuova famiglia e il lavoro.
La famiglia va direttamente in rotta di collisione con una visione della vita disimpegnata, individualista, prigioniera dell’isolamento e della solitudine. Francesco insiste molto su quanto sia importante «una capacità di donarsi pienamente a una persona in modo esclusivo e generoso» (n. 266).
Il lavoro è parte integrante di una vita umana piena e realizzata. Francesco lo ha spesso ripetuto, mettendo insieme le tre «t»: tierra, techo y trabajo. Memorabile al riguardo il suo discorso ai cosiddetti «movimenti popolari» del 5 novembre 2016. Egli scrive: «Anche se il lavoro potrebbe non aiutarli a realizzare i loro sogni, è importante per i giovani-adulti coltivare una visione, imparare a lavorare in un modo veramente personale e soddisfacente per la loro vita, e continuare a discernere la chiamata di Dio» (n. 268).
Per questo anche la politica deve considerare il lavoro come una questione importante. Oggi scopriamo nuovi modi per risparmiare lavoro a una velocità superiore a quella alla quale scopriamo nuovi modi per impiegare lavoro (cfr n. 271). E, come se non bastasse, ben sappiamo che l’ossessione di ridurre i costi può rapidamente portare a sostituire innumerevoli posti di lavoro con le macchine.
Lo «zapping» e il discernimento
La vita intesa come vocazione invece richiede uno spazio di silenzio interiore. Occorre uscire dallo zapping esistenziale costante. Francesco ne aveva parlato nella Gaudete et exsultate al n. 167 e lo ripete qui. Infatti, oggi «è possibile navigare su due o tre schermi simultaneamente e interagire nello stesso tempo in diversi scenari virtuali». Davanti al multitasking esistenziale serve la sapienza del discernimento. Se questa mancasse, il rischio per noi tutti sarebbe quello di «trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del momento» (n. 279). Il silenzio e la calma servono al discernimento. Francesco offre una lista di domande da far risuonare in questo silenzio: «Io conosco me stesso, al di là delle apparenze e delle mie sensazioni? So che cosa dà gioia al mio cuore e che cosa lo intristisce? Quali sono i miei punti di forza e i miei punti deboli? Seguono immediatamente altre domande: come posso servire meglio ed essere più utile al mondo e alla Chiesa? Qual è il mio posto su questa terra? Cosa potrei offrire io alla società? Ne seguono altre molto realistiche: ho le capacità necessarie per prestare quel servizio? Oppure, potrei acquisirle e svilupparle?» (n. 285).
Il discernimento per Francesco – è bene ricordarlo – non consiste in una sapienza per i colti, i dotti, gli illuminati. Il discernimento è un carisma: «Non richiede capacità speciali né è riservato ai più intelligenti e istruiti, e il Padre si manifesta con piacere agli umili (cfr Mt 11,25)», aveva scritto il Papa nella Gaudete et exsultate (GE 170). Ma soprattutto «il discernimento non è un’autoanalisi presuntuosa, una introspezione egoista, ma una vera uscita da noi stessi verso il mistero di Dio, che ci aiuta a vivere la missione alla quale ci ha chiamato per il bene dei fratelli» (GE 175).
In Christus vivit Francesco si concentra su come aiutare un altro a discernere il percorso della propria vita. La prima cosa da fare – scrive – è ascoltare. E questo ascolto implica tre diverse e complementari sensibilità (cfr nn. 292-294). La prima è l’attenzione alla persona con il tempo necessario e un ascolto incondizionato. La seconda riguarda la capacità di cogliere il punto giusto in cui si percepisce che è in azione la grazia o la tentazione. Questo ascolto è orientato a riconoscere lo Spirito buono, ma anche le trappole dello spirito cattivo, i suoi inganni e le sue seduzioni. La terza attenzione è l’ascolto profondo di dove l’altro vuole davvero andare, chi vuole essere, oltre il guscio dei sentimenti.
Il discernimento è un processo che richiede un accompagnamento e presuppone la libertà. Non ci sono ricette. Questa è la grande lezione che Francesco offre ai giovani d’oggi: aiutarli a riconoscere che il loro destino e quello del mondo è nelle loro mani. Il loro impegno, alla luce della fede, è vocazione e missione.
* * *
Il mondo e la Chiesa hanno bisogno dell’entusiasmo e della responsabilità dei giovani, così come delle loro intuizioni e della loro fede. I giovani possono correre più veloci. Per questo il Papa conclude la sua Esortazione con saggezza e umiltà scrivendo: «Quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci» (n. 299).
Copyright © 2019 – La Civiltà Cattolica
Riproduzione riservata
[1]. Papa Francesco, Dio è giovane. Una conversazione con Thomas Leoncini, Milano, Piemme, 2018.
[2]. Ivi, 15.
[3]. Paolo VI, s., Allocuzione per la beatificazione di Nunzio Sulprizio, 1° dicembre 1963.
[4]. Una Chiesa che frequenta il futuro. Tutti i documenti del Sinodo ordinario 2018. «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», Milano, Àncora, 2018.
[5]. Papa Francesco, La saggezza del tempo. In dialogo con papa Francesco sulle grandi questioni della vita, Venezia, Marsilio, 2018.