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Pubblicato su una rivista nel 1966, in una versione brutalmente tagliata e rimaneggiata dai numerosi interventi della censura, Babij Jar venne dato alle stampe nella sua veste integrale e ampliata quattro anni dopo, una volta che Anatolij Kuznecov (Kiev, 1929 – Londra, 1979) era riuscito a fuggire in Occidente. Questa traduzione italiana, realizzata grazie all’attenta curatela di Emanuela Guercetti, è stata condotta sullo scritto al quale l’autore lavorò per decenni, intenzionato a farne un’opera narrativa che riportasse solo fatti e documenti autentici e fosse dunque estranea a ogni invenzione letteraria. Non un comune romanzo, quindi, ma una testimonianza – basata in particolare sui bollettini ufficiali, le ordinanze militari e i suoi ricordi di adolescente – che si propone di raccontarci le vicende accadute nel corso di lunghi anni segnati dall’incontro quotidiano con la violenza, il sangue, la fame e la morte.
Situato nelle vicinanze della capitale ucraina, Babij Jar è un enorme burrone dalle pareti estremamente ripide, sul cui fondo scorre un limpido ruscello. Quando, il 19 settembre 1941, l’esercito sovietico si dà alla fuga davanti alle forze armate naziste, quel dirupo diventa ben presto la tomba per 70.000 ebrei, al cui sterminio avrebbe contribuito peraltro non poco la popolazione del luogo, ferocemente antisemita. Di lì a poco le SS vi metteranno a morte anche zingari, nazionalisti ucraini, attivisti sovietici e chiunque si sia reso colpevole di un furto.
E mentre da quel precipizio, diventato ormai il simbolo di una terrificante carneficina, giungono incessanti e ritmiche le scariche delle mitragliatrici, mentre gli attentati orditi dalla Polizia Politica (Nkvd) devastano il centro di Kiev e persino la Lavra – il grande monumento religioso –, mentre iniziano le deportazioni verso la Germania di migliaia di lavoratori che diventeranno schiavi, in città si moltiplica il numero dei mendicanti che ne affollano le strade, alla disperata ricerca di un tozzo di pane.
A Tolik – l’io narrante –, che aveva tremendamente sofferto la fame già qualche anno prima, la situazione appare fin troppo chiara: i tedeschi e i sovietici si stanno scontrando in una lotta disumana, nella quale – come tra l’incudine e il martello – a finire schiacciata sarà la moltitudine dei poveri diavoli, di cui egli stesso fa parte. L’unica via di scampo per lui sarà allora costituita dalla necessità di assecondare la furibonda vitalità che ne pervade la mente, di ricorrere a ogni espediente, di privilegiare il proprio istinto di sopravvivenza e il soddisfacimento dei suoi bisogni primari. Tutto ciò per restare in vita e riuscire a raccontare quanto ha visto e sentito, dalle indescrivibili brutalità alle crudeli ingiustizie. Anche quelle che, insieme alla madre, dovrà tollerare dopo che la capitale ucraina sarà stata liberata dall’Armata Rossa: quando, essendo individui «vissuti sotto l’occupazione nazista», i due saranno considerati complici dell’invasore e marchiati alla stregua di merce di terza scelta. Del massacro di Babij Jar, intanto, si sarebbe perso a lungo il ricordo.
Fermamente intenzionato a fornirci «un ritratto fedele di ciò che è stato» (p. 69), Kuznecov scrive in maniera scorrevole; utilizza periodi piuttosto brevi, che conferiscono alla narrazione un ritmo rapido; si avvale di un lessico essenziale e incisivo; alterna abilmente i diversi registri espressivi. Riesce così a elaborare un testo omogeneo, nel quale la sua prosa e i tanti documenti citati danno luogo a un’ammirevole armonia: una qualità che si aggiunge ai tanti meriti di un’opera che ci consente di conoscere meglio uno degli avvenimenti più raccapriccianti della storia del Novecento.
ANATOLIJ KUZNECOV
Babij Jar. Romanzo-Documento
Milano, Adelphi, 2019, 454, € 22,00.