
Nel Messaggio per il lancio del patto educativo, del 12 settembre 2019, papa Francesco aveva invitato a Roma, per il 14 maggio 2020, tutti coloro che operano nel campo dell’educazione a diversi livelli (accademico, istituzionale, pastorale e sociale), per elaborare insieme un patto educativo globale. L’evento è stato poi rinviato a causa del Covid-19. La pandemia ha reso l’appello del Santo Padre ancora più stringente: serve unire gli sforzi per la casa comune, affinché l’educazione sia creatrice di fratellanza, pace e giustizia. Per questo, il 15 ottobre 2020, alle ore 14.30 (ora di Roma), si terrà un incontro virtuale, aperto a tutti e in diretta sul canale Youtube di Vatican Media, durante il quale sarà trasmesso un videomessaggio del Papa, insieme a testimonianze ed esperienze internazionali, per guardare oltre con creatività[1].
Nel corso di questi anni il Pontefice ha più volte ricordato la necessità di tale collaborazione a livello educativo per la custodia della «casa comune», come ad esempio nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium (nn. 23 e 87), nell’enciclica Laudato si’ (nn. 215 e 220), e nel discorso del 9 gennaio 2020 al Corpo diplomatico presso la Santa Sede: «Ogni cambiamento, come quello epocale che stiamo attraversando, richiede un cammino educativo, la costituzione di un villaggio dell’educazione che generi una rete di relazioni umane e aperte. Tale villaggio deve mettere al centro la persona, favorire la creatività e la responsabilità per una progettualità di lunga durata e formare persone disponibili a mettersi al servizio della comunità. Occorre dunque un concetto di educazione che abbracci l’ampia gamma di esperienze di vita e di processi di apprendimento e che consenta ai giovani, individualmente e collettivamente, di sviluppare le loro personalità»[2].
L’educazione è stata anche il tema di fondo scelto dall’episcopato italiano per la pastorale del decennio 2010-2020[3].
Alcuni segnali drammatici del fallimento educativo
I luoghi che da sempre sono stati decisivi per l’educazione (in particolare la famiglia, le istituzioni e la scuola) sono oggi profondamente in crisi, anche perché considerati in modo negativo dalla cultura odierna, ossessivamente ripiegata su se stessa. Da qui la grave e crescente frattura del patto generazionale tra adulti e giovani[4]. Il Papa fa esplicita menzione delle situazioni problematiche in cui versano i genitori, per lo più abbandonati a se stessi e succubi di un ritmo di vita sempre più stressante, e anche del difficile compito degli insegnanti («sempre sottopagati»).
Tale frattura emerge drammaticamente dal crollo demografico dell’Occidente, e in particolare del nostro Paese, che si colloca ormai da diversi anni agli ultimi posti nel mondo. I dati dell’Istat per l’anno 2019 mostrano che in Italia il rapporto nascite/morti è di 67/100 (-212.000, la differenza rispetto all’anno precedente; 10 anni fa il rapporto era 96/100), «il più basso livello di ricambio naturale mai espresso dal Paese dal 1918»: un ricambio che diventa sempre più difficile[5]. Inoltre, un quinto di quei neonati è di madre straniera.
Un fenomeno preoccupante e insieme un avvertimento epocale: le crisi demografiche sono sempre state il primo segnale di una più generale crisi di civiltà. Il «vecchio continente» sembra essere sempre più un «continente vecchio»; è l’unica zona della Terra dove gli anziani sono più numerosi dei bambini: «Secondo la Population Division delle Nazioni Unite, i bambini nel 2050 saranno appena il 2,8 per cento della popolazione italiana. Nel XIV secolo, l’epidemia ha spazzato via l’80 per cento della popolazione italiana. Nel XXI secolo, sta scomparendo per scelta […]. L’esperto di demografia all’ American Enterprise Institute di Washington, Nicholas Eberstadt, sostiene che: “Se continua così, in una generazione ci saranno paesi in cui i soli familiari di sangue saranno i propri genitori”»[6]. E il calo delle nascite porta con sé altri interrogativi inquietanti: la mancanza di figli in una società denuncia la mancanza di un futuro, di voler continuare a vivere in altri, soprattutto della consapevolezza di avere qualcosa di bello da consegnare a chi verrà dopo.
Questa sfiducia nel futuro si riflette così nella crescente difficoltà a educare, a trasmettere alle generazioni seguenti un patrimonio sapienziale acquisito per cui valga la pena vivere. Il futuro viene visto sempre meno come il luogo della progettazione e della speranza, ma richiama piuttosto paure e preoccupazioni. L’accresciuto benessere non ha contribuito a rendere migliore la qualità della vita, ma ha incrementato la tendenza a ripiegarsi su di sé, fino a smarrire il gusto di vivere.
È oltremodo significativa, e preoccupante, la decisione presa, il 18 gennaio 2018, dalla premier ingleseTheresa May, di nominare un «ministro per la solitudine». Non era mai accaduto nella storia un fatto simile:«Per troppi – ha spiegato la May – la solitudine è una triste realtà della vita moderna. Voglio affrontare questa sfida per la nostra società e per tutti coloro che non hanno nessuno con cui parlare o condividere i propri pensieri ed esperienze». Secondo i dati della Croce Rossa britannica, «su una popolazione di 65,6 milioni, oltre nove milioni di persone sostengono di sentirsi sempre o spesso soli»[7].
Una ricerca condotta dalla Brigham Young University a Provo (Usa) ha mostrato come la sensazione cronica di solitudine abbia per la salute un effetto dannoso doppio rispetto all’essere in sovrappeso, e come sia paragonabile ai danni recati dall’alcolismo o dal fumo di 15 sigarette al giorno. La solitudine, concludono i ricercatori, è un virus mortale, rilevabile anche statisticamente, destinato a diffondersi in maniera inarrestabile. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization, WHO) precisa che, nel corso di 10 anni (1987-97), il numero di pazienti depressi nel mondo è aumentato del 300%; tra il 2005 e il 2015 tale cifra è ulteriormente cresciuta del 18%. Questa è la principale causa di disabilità delle persone tra i 15 e i 40 anni, e richiede una spesa sanitaria di 43 miliardi di dollari all’anno. Se un tempo il primo episodio depressivo si verificava attorno ai 30 anni, ora fa la sua comparsa a 13. Ne consegue un notevole incremento dei comportamenti suicidari. Sempre secondo i dati del WHO, nel 2013 sono state 842.000 le persone che hanno voluto porre fine alla loro vita, con un aumento del 60% rispetto al 1960. Ma per gli adolescenti la crescita è stata del 400%[8].
L’aspetto più sconcertante è che tali statistiche riguardano una popolazione che gode di privilegi unici, tanto da essere considerata la più fortunata della storia: non ha conosciuto la guerra, la fame, la carestia e le intemperie. Le società occidentali registrano guadagni enormi rispetto a chi è venuto prima di noi, sotto molti aspetti: longevità, aspettative di vita, possibilità alimentari, cure mediche, accesso all’istruzione, libertà di spostamenti, diffusione capillare dei diritti, cura dell’ambiente e tutela della privacy. Nonostante ciò, la percentuale di infelicità percepita è notevolmente aumentata: siamo una generazione che si sta ammalando di solitudine. Anche per questi motivi, un progetto educativo globale richiede con urgenza che si ricostruisca il patto scuola-famiglia che si è andato sgretolando in queste ultime generazioni.
Le caratteristiche dell’educazione
Papa Francesco, rivolgendosi ai partecipanti a un Convegno tenutosi poco prima del lockdown, ha precisato che con il termine «educazione» non si deve intendere una mera trasmissione di concetti, una visione del tutto astratta, retaggio dell’illuminismo. Educare significa piuttosto «integrare il linguaggio della testa con il linguaggio del cuore e il linguaggio delle mani. Che un alunno pensi ciò che sente e ciò che fa, senta ciò che pensa e ciò che fa, faccia ciò che sente e ciò che pensa. Integrazione totale»[9], in un patto che coinvolge le famiglie, le scuole e le istituzioni.
Questa visione unitaria è comunque presente in Occidente, anche se in gran parte è andata perduta. Il filosofo Alasdair MacIntyre, riassumendo, nel corso di un’intervista, il proprio itinerario educativo, afferma di essere cresciuto a contatto con due mondi antitetici che hanno caratterizzato la sua gioventù: «Due realtà, reciprocamente antagoniste, determinarono la mia formazione molto prima che io fossi in grado di leggere testi di filosofia. Il mio immaginario di bambino si nutrì anzitutto di una cultura orale celtica, patrimonio di agricoltori e pescatori, poeti e cantastorie, una cultura in larga misura già perduta, ma alla quale alcuni anziani con cui entrai in contatto sentivano ancora di appartenere. I fatti importanti di questa cultura erano alcune forme di lealtà e il legame con i parenti e con la terra. Essere giusti significava giocare il ruolo a cui ciascuno era stato assegnato dalla comunità locale. L’identità di ciascuno derivava dal posto che l’individuo occupava nella comunità»[10].
«L’altro mondo», proprio della modernità illuministica, è invece caratterizzato dalla «teoria»(non nel suo significato greco), dal sapere critico e consequenziale, contrapposto alla «storia»: «Il mondo moderno era una cultura di teorie e non di storie. Era la cornice di quello che si voleva far apparire come la moralità in quanto tale; i suoi diritti su di noi non erano quelli di un particolare gruppo sociale, ma quelli dell’umanità universale e razionale»[11].
Per MacIntyre, recuperare la tradizione ancestrale non significa rinnegare le acquisizioni moderne, ma tornare a privilegiare le relazioni e le grandi narrazioni sapienziali: esse sono il primo luogo educativo, e nella loro carenza si annida gran parte dei problemi odierni. Non è un caso che i bambini che riescono meglio nella lettura e nell’apprendimento sono proprio coloro che fin da piccoli hanno avuto la fortuna di avere genitori che raccontavano loro, con pazienza e ripetutamente, le favole o altri tipi di storie. L’importanza del dialogo, unito alla narrazione, è stata anche rilevata da una ricerca compiuta nell’ospedale pediatrico di Cincinnati (Usa) su un gruppo di 19 bambini di età compresa tra i 3 e i 5 anni. Grazie alla risonanza magnetica, si è potuto notare che, durante l’ascolto delle storie, nel cervello dei bambini si attivava una specifica area cerebrale – quella in cui si elaborano immagini –, dando origine a quel «film mentale» che consente di seguire visivamente il racconto[12]. Questa elaborazione avviene anche nell’adulto, soprattutto quando legge romanzi o racconti: l’attenzione al contenuto del testo è accompagnata dallo scorrere delle immagini che ne consentono la comprensione.
Quando invece l’educazione si riduce a tecnica, porta a un progressivo e pericoloso inaridimento della vita, in tutte le sue espressioni. È la «gabbia artificiale», descritta in maniera eloquente da Jacques Ellul: «Tutto è compreso nel processo tecnico. Esistono una tecnica di lettura, una tecnica di masticazione, ogni sport diventa sempre più tecnico, c’è una tecnica di animazione culturale, una per condurre una riunione»[13].
Come osserva Umberto Galimberti, alla base dell’attuale disagio giovanile vi è soprattutto l’assenza di racconti capaci di dare senso e ordine agli avvenimenti, individuando desideri e discrepanze. Oggi molti giovani stanno male, ma non riescono neppure a dare un nome al loro malessere, perché non hanno più narrazioni a disposizione che possano offrire un’identità e una lettura della vita: si trovano in un insieme sparpagliato di esperienze, avvenimenti, senza un progetto unificatore. I sentimenti e i desideri, infatti, non sono un dato biologico, ma vengono conosciuti e compresi confrontandosi con narrazioni, con le vicende e i modelli presenti in esse.
Papa Francesco, nella sua esortazione postsinodale sui giovani, riprende un pensiero di Maria Gabriela Perin circa il compito prezioso della narrazione come capacità di riannodare ciò che è separato: «Quello che so è che Dio crea storie. Nel suo genio e nella sua misericordia, Egli prende i nostri trionfi e fallimenti e tesse bellissimi arazzi pieni di ironia. Il rovescio del tessuto può sembrare disordinato con i suoi fili aggrovigliati – gli avvenimenti della nostra vita – e forse è quel lato che non ci lascia in pace quando abbiamo dei dubbi. Tuttavia, il lato buono dell’arazzo mostra una storia magnifica, e questo è il lato che vede Dio»[14].
La narrazione e i sentimenti
La modernità ha dimenticato il linguaggio del cuore, limitandosi alla «testa» e alle «mani». Ma la massa accresciuta di informazioni a disposizione, pur essendo un bene prezioso, non ha reso più confortevole l’esistenza, perché i criteri di valutazione sono di tipo relazionale e affettivo. I sentimenti sono un elemento di verità del nostro rapporto con noi stessi, con gli altri e con Dio. Sono anche un campanello di allarme di un disagio.
La sapienza biblica invita a tenere strettamente uniti conoscenza e affetti, cuore, intelligenza e fede. E lo fa non in modo astratto e teorico, ma mediante narrazioni che danno rilievo ai sentimenti: sono essi il luogo della valutazione e della decisione. Si pensi alla «gioia» dei magi quando vedono la stella (Mt 2,10), o alla «tristezza» del giovane ricco di fronte alla proposta di lasciare tutto e seguire Gesù (Lc 18,23), o alla «paura» di Pilato quando viene a sapere che Gesù si è proclamato Figlio di Dio (Gv 19,8). I discepoli di Emmaus, ripensando all’incontro avuto con il Signore, inizialmente non riconosciuto, restano colpiti soprattutto dalle risonanze affettive delle sue parole: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi?» (Lc 24,32).
Questa ricerca apre al dialogo con chiunque si interroghi sulle problematiche fondamentali della vita, sia egli credente o non credente, una persona da ascoltare e con cui dialogare. Significativo in proposito è quanto notava il card. Carlo Maria Martini inaugurando la serie di conferenze «La cattedra dei non credenti»: «Il non credente che è in me inquieta il credente che è in me e viceversa […]. Ritengo che, ai nostri tempi, la presenza di non credenti che con personale sincerità si dichiarano tali, e la presenza di credenti che hanno la pazienza di voler rientrare in se stessi, possa essere molto utile agli uni e agli altri, perché stimola ciascuno di noi a seguire meglio il suo cammino verso l’autenticità. Compiere insieme questo esercizio, senza difese e con radicale onestà, potrà inoltre risultare utile a una società che ha paura di guardarsi dentro e che rischia di vivere nell’insincerità e nella scontentezza»[15].
Ma come ricostruire il patto educativo? Papa Francesco offre in particolare tre piste: 1) Costituire un villaggio dell’educazione; 2) Il domani chiede il meglio dell’oggi; 3) Educare a servire, educare è servire.
Costituire un villaggio dell’educazione
Si tratta di favorire il dialogo tra le varie «agenzie educative», come la famiglia, la scuola, le istituzioni religiose e civili: «Occorre siglare un patto per dare un’anima ai processi educativi formali ed informali, i quali non possono ignorare che tutto nel mondo è intimamente connesso ed è necessario trovare – secondo una sana antropologia – altri modi di intendere l’economia, la politica, la crescita e il progresso. In un percorso di ecologia integrale, viene messo al centro il valore proprio di ogni creatura, in relazione con le persone e con la realtà che la circonda, e si propone uno stile di vita che respinga la cultura dello scarto»[16].
Questo patto, come si notava, si è purtroppo interrotto da tempo, con gravi conseguenze, a tutti i livelli: si pensi al dilagare di fenomeni legati all’intolleranza, al razzismo, alla violenza e al bullismo. L’uso massiccio dei social non è un’alternativa valida nel momento in cui pretende di compensare la fatica e la gradualità indispensabili per un percorso educativo. Anzi, esso può diventare una trappola quando ci si illude che la formazione di una persona sia riconducibile a un semplice click.
Anche la gravissima crisi economica e i cambiamenti climatici e ambientali sono una conseguenza della «cultura dello scarto» e costituiscono avvertimenti che non possono più essere ignorati. Le circostanze legate alla pandemia di Covid-19 e le sue implicazioni in ogni ambito delle nostre societàmostrano in maniera efficace e drammatica quanto l’intera umanità sia coinvolta, nel bene e nel male, nelle vicende della casa comune, affidata alla responsabilità e alle possibilità di ciascuno.
Ricostituire il patto generazionale aiuta il giovane a individuare il proprio desiderio profondo, e l’anziano a riscoprire il ruolo prezioso di una memoria di vita da trasmettere a chi viene dopo di lui: «Se i giovani si radicano nei sogni degli anziani, riescono a vedere il futuro, possono avere visioni che aprono loro l’orizzonte e mostrano loro nuovi cammini. Ma se gli anziani non sognano, i giovani non possono più vedere chiaramente l’orizzonte. È bello trovare, tra le cose che i nostri genitori hanno conservato, qualche ricordo che ci permette di immaginare ciò che hanno sognato per noi i nostri nonni e le nostre nonne. Ogni essere umano, prima ancora di nascere, ha ricevuto dai suoi nonni, come regalo, la benedizione di un sogno pieno d’amore e di speranza: quello di una vita migliore […]. Il sogno primordiale, il sogno creatore di Dio nostro Padre, precede e accompagna la vita di tutti i suoi figli. Fare memoria di questa benedizione, che si estende di generazione in generazione, è una preziosa eredità che dobbiamo saper mantenere viva per poterla trasmettere a nostra volta»[17].
Il domani chiede il meglio dell’oggi
Prendere sul serio questa prospettiva significa investire sul futuro e contestare le leggi del mercato all’insegna del «tutto e subito», che bruciano possibilità e penalizzano la qualità. Significa investire sulle nuove generazioni, ma anche sulla consapevolezza che i cambiamenti più profondi ed efficaci non possono essere rapidi e immediati. L’educazione richiede tempo, gradualità, affetto.
Il segreto dell’intelligenza umana risiede in un trucco della natura: l’aver avuto uno sviluppo e tappe di crescita più lente e cadenzate rispetto alle altre specie viventi è alla base della straordinaria potenza e plasticità della nostra mente e la rende capace di operazioni meravigliose ed estremamente variegate, che introducono in una prospettiva più grande del qui e ora.
Lo scrittore britannico Terence Hanbury White, nel romanzo Re in eterno, ha espresso questa caratteristica peculiare mediante un apologo, una sorta di rivisitazione del primo capitolo della Genesi: «Completato l’universo, molto tempo fa, Dio lo volle popolare di esseri animati. Allora creò molti embrioni, e chiese loro quale tipo d’animale desiderassero divenire da adulti. Chi voleva correre, chi volare, chi nuotare. Grandi, piccoli, veloci, lenti. Solo un embrione stava in silenzio. Allora Dio gli chiese come mai non avesse nessuna preferenza. Il piccolo embrione rispose che lui voleva restare com’era stato creato. Se era stato fatto così, ci doveva pur essere una buona ragione. Dio lodò la risposta, e promise all’embrione che sarebbe rimasto bambino. Grazie alla crescita più lenta, sarebbe stato l’unico essere capace di fantasie, e sarebbe diventato il signore dell’Universo. Da piccolo, giocando, sarebbe riuscito a immaginare altri mondi, modificando nella sua mente quello in cui viveva […]. Il grande trucco della prolungata infanzia dell’uomo creò il suo grande cervello; infatti il periodo di grande plasticità dell’uomo, periodo critico, dura parecchi anni, mentre quello degli animali si misura in settimane o mesi. Insomma l’embrione di uomo decise con grande coraggio di restare per un decina di anni a formare il suo cervello sia funzionalmente che strutturalmente; per fortuna l’evoluzione ha reso possibile questa scelta inventando la paziente cura dei genitori e in sostanza la famiglia. L’uomo bambino è riuscito, nel bene e nel male, a dominare la natura. L’evoluzione ha scelto, nella costruzione del cervello umano, la tecnica della lentezza, mentre per gli altri animali quella della rapidità»[18].
Apprendere, conoscersi e leggere procedono di pari passo – un passo, appunto, lento e cadenzato –; richiedono tempo, gradualità, passione, dialogo con l’altro. È un investimento sul futuro.
Educare a servire, educare è servire
È anche necessario preparare persone che si occupino in maniera specifica della formazione, con dedizione, ma anche con competenza, per ricostruire il patto educativo: «Ogni generazione dovrebbe […] riconsiderare come trasmettere le sue conoscenze e i suoi valori a quella seguente, perché è attraverso l’educazione che l’essere umano raggiunge il suo massimo potenziale e diviene un essere consapevole, libero e responsabile. Pensare all’educazione è pensare alle generazioni future e al futuro dell’umanità; è pertanto qualcosa di profondamente radicato nella speranza e richiede generosità e coraggio»[19].
È sempre forte la tentazione di approntare programmi educativi sull’onda della novità a tutti costi, o ispirati a ideologie e mode del momento, più attente al politicamente corretto che alla conoscenza di un patrimonio perenne. Un rischio già rilevato con chiarezza 10 anni fa dal Progetto culturale della Chiesa italiana: «Viviamo in una società dove sembra che tutto sia possibile indifferentemente; dove qualsiasi idea o stile di vita sembra avere lo stesso valore; dove il potere dell’apparato tecnico-economico sembra volersi emancipare da ogni istanza umana; dove i desideri sembrano diventare diritti e l’estetica sembra prendere il posto dell’etica»[20].
Non tutto è indifferente, posto sul medesimo piano. Ogni scelta, anche la non scelta, ha precise conseguenze che la storia non manca di rilevare, presentando il conto alle generazioni successive. La competenza in sede educativa rimane indispensabile, perché non tutte le strade risultano ugualmente percorribili: spesso esse si rivelano miraggi illusori, di cui il giovane può accorgersi troppo tardi, quando non è più possibile porvi rimedio.
Il servizio va educato anche per proteggere l’educatore: la complessità e la vastità dei problemi odierni, in mancanza di un supporto adeguato, rischiano di schiacciarlo. Il fenomeno del burn-out mostra come non sia facile aiutare gli altri: la buona volontà e purezza di intenzioni devono essere accompagnate dall’esperienza e dalla competenza. La nostra epoca ha urgente necessità di «persone aperte, responsabili, disponibili a trovare il tempo per l’ascolto, il dialogo e la riflessione, e capaci di costruire un tessuto di relazioni con le famiglie, tra le generazioni e con le varie espressioni della società civile, così da comporre un nuovo umanesimo»[21].
I podcast de “La Civiltà Cattolica” | INTELLIGENZE ARTIFICIALI E PERSONA UMANA
La nostra epoca sarà ricordata come quella della nascita delle intelligenze artificiali. Ma cosa sono le intelligenze artificiali? Qual è l’impatto sociale di queste nuove tecnologie e quali sono i rischi? A queste domande è dedicata una serie in 4 episodi di Ipertèsti, il podcast de «La Civiltà Cattolica».
Il servizio della Chiesa
Ma è altrettanto importante che un tale rilancio sia testimoniato anzitutto dalla comunità ecclesiale. Il patto educativo richiede un rinnovato dialogo tra cultura e religione: un dialogo più volte rotto, soprattutto in Occidente, e che costituisce invece un servizio prezioso per tutti. Paolo VI aveva rilevato la terribile frattura tra il Vangelo e la cultura, definendola «il dramma della nostra epoca»[22].
È necessario anche in sede ecclesiale ripensare le modalità dell’incontro tra «cuore, mente e mani», capace di intercettare la vita delle persone, senza limitarsi a lamentare la loro crescente disaffezione: «Ripetersi che la nostra cultura è “liquida”, frammentata, fonte di instabilità, può rivelarsi un boomerang: dove eravamo noi mentre la cultura si trasformava? Perché non siamo stati capaci di porre un argine alle derive che denunciavamo? E quando abbiamo lanciato accuse, abbiamo forse trovato strategie adatte a riparare i danni?»[23].
Il dialogo tra cuore, mente e mani è auspicabile soprattutto nella formazione dei pastori. Anche in quella sede non sempre è stata riconosciuta l’importanza che esso dovrebbe assumere, soprattutto nella sua valenza di «cerniera», capace di mettere insieme i tre aspetti rilevati da papa Francesco.
Don Stephen Rossetti, che è stato per molti anni direttore del Saint Luke Institute (Maryland, Usa), destinato principalmente a sacerdoti afflitti da problemi e difficoltà di vario genere, tra cui anche l’abuso sessuale, notava una caratteristica comune in coloro che si rivolgevano al centro: pur nella diversità di problematiche e di vicende occorse, la loro vita spirituale era sganciata dall’esistenza. Egli affermava: «Essi sanno parlare eloquentemente del proprio cammino spirituale, ma le loro parole non sono radicate nella loro vita personale. In realtà la loro vita spirituale è vuota. In questi casi vediamo con tristezza la devastazione portata alla Chiesa e alla società quando manca una formazione umana ai sacerdoti»[24].
La nuova Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis vorrebbe rispondere a queste necessità. Sappiamo tuttavia come i documenti, per essere attuati, richiedano formatori attenti a questa dimensione integrale. Papa Francesco, concludendo il Convegno internazionale sulla Ratio fundamentalis, ha ribadito la centralità di questo aspetto per essere educatori credibili: «Sulla formazione dei preti occorre dialogare di più, superare i campanilismi, fare scelte condivise, avviare insieme buoni percorsi formativi e preparare da lontano formatori all’altezza di questo compito così importante. Abbiate a cuore la formazione sacerdotale: la Chiesa ha bisogno di preti capaci di annunciare il Vangelo con entusiasmo e sapienza, di accendere la speranza là dove le ceneri hanno ricoperto le braci della vita, e di generare la fede nei deserti della storia»[25].
Il «villaggio dell’educazione» viene edificato quando ciascuno impara a riconoscere e occupare il proprio posto, mettendo a disposizione i talenti che gli sono stati dati. Un’antica leggenda africana narra che, a causa di un incendio scoppiato nella foresta, tutti gli animali fuggono, tranne un piccolo colibrì, che vola nella direzione opposta, con il becco pieno di acqua. Un leone lo apostrofa con ironia: «Sarai mica impazzito? Non crederai di poter spegnere un incendio gigantesco con quattro gocce d’acqua?». Ma il colibrì rispose: «Io faccio la mia parte»[26].
Il patto educativo è questione di vita o di morte. Per tutti. Rendersi disponibili a fare la propria parte forse non spegnerà il grande incendio, ma offrirà un futuro, non solo a chi viene dopo, ma anzitutto a se stessi: il senso della solidarietà e della fratellanza è l’unico antidoto efficace alla solitudine e al male di vivere.
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[1]. L’evento è organizzato dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica, a cui fanno riferimento 216.000 scuole cattoliche, frequentate da oltre 60 milioni di alunni, e 1.750 università cattoliche, con oltre 11 milioni di studenti. Maggiori informazioni sul sito www.educationglobalcompact.org
[2]. Francesco, Udienza al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno, 9 gennaio 2020. Cfr anche A. Spadaro, «Sette pilastri dell’educazione secondo J. M. Bergoglio», in Civ. Catt. 2018 III 343-357.
[3]. Cfr Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, 4 ottobre 2010; G. Cucci, «Che cosa significa “educare”?», in Civ. Catt. 2012 III 483-495.
[4]. «Oggi è in crisi, si è rotto il cosiddetto “patto educativo”; il patto educativo che si crea tra la famiglia, la scuola, la patria e il mondo, la cultura e le culture […]. Patto educativo rotto significa che sia la società, sia la famiglia, sia le diverse istituzioni che sono chiamate ad educare delegano il decisivo compito educativo ad altri, e così le diverse istituzioni di base e gli stessi Stati che hanno rinunciato al patto educativo sfuggono a tale responsabilità» (Francesco, Discorso ai partecipanti al Convegno sul tema «Education: the global compact», 7 febbraio 2020).
[5]. Cfr www.istat.it/it/files//2020/02/Indicatori-demografici_2019.pdf
[6]. G. Meotti, «Culle vuote a occidente. La crisi di una civiltà che non genera più vita e va verso la sua consumazione», in Il Foglio quotidiano, 3 dicembre 2012; cfr G. Salvini, «L’Italia diventa più anziana», in Civ. Catt. 2017 II 400-403.
[7]. «La May ha nominato un ministro per “battere la solitudine”», in Il Giornale (www.ilgiornale.it/news/mondo/gb-theresa-may-nomina-ministro-
solitudine-1484127.html), 17 gennaio 2018.
[8]. Cfr World Health Organization, «Depression» (www.who.int/
mediacentre/factsheets/fs369/en), 30 gennaio 2020. Per un approfondimento, cfr G. Cucci, L’arte di vivere. Educare alla felicità, Milano, Àncora – La Civiltà Cattolica, 2019.
[9]. Francesco, Discorso ai partecipanti al Convegno sul tema «Education: the global compact», cit.
[10]. G. Borradori, Conversazioni americane, Bari – Roma, Laterza, 1991, 171 s.
[11]. Ivi, 172.
[12]. Cfr J. S. Hutton et Al., «Parent-child reading increases activation of brain networks supporting emergent literacy in 3-5 years-old children: An fMRI study», in Abstracts Pediatric Academic Societies’ Annual Meeting (2015) (www.
abstracts2view.com/pas/view.php?nu=PAS15L1_1355.8); L. Wehbe et Al., «Simultaneously Uncovering the Patterns of Brain Regions Involved in Different Story Reading Subprocesses», in PLoS ONE (2014) 9 (11): e112575. doi:10.1371/journal.pone.0112575; «Lettura e attività cerebrale», in Psicologia contemporanea, n. 251, 2015, 36 s.
[13]. J. Ellul, Il sistema tecnico. La gabbia delle società contemporanee, Milano, Jaca Book, 2009, 206.
[14]. Francesco, Esortazione apostolica postsinodale Christus vivit (CV), 25 marzo 2019, n. 198.
[15]. C. M. Martini (ed.), Cattedra dei non credenti, Milano, Rusconi, 1992, 5 s.
[16]. Francesco, Messaggio per il lancio del patto educativo, 12 settembre 2019.
[17]. CV 193 s.
[18]. P. Legrenzi, «Declinazioni della lentezza», in Il Sole 24 Ore, 14 settembre 2014. Cfr L. Maffei, Elogio della lentezza, Bologna, il Mulino, 2014, 21-23; T. H. White, Re in eterno, Milano, Mondadori, 1989.
[19]. Francesco, Discorso ai partecipanti al Convegno sul tema «Education: the global compact»,cit.
[20]. Comitato per il progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana (ed.), La sfida educativa. Rapporto-proposta sull’educazione, Roma – Bari, Laterza, 2009, 2010,XIV.
[21]. Francesco, Messaggio per il lancio del patto educativo, cit.
[22]. Paolo VI, s., Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, 8 dicembre 1975, n. 20.
[23]. G. Canobbio, «Leggere per formarsi», in La Rivista del Clero Italiano 96 (2015) 666.
[24]. S. J. Rossetti, «From Anger to Gratitude-Becoming a Eucharistic People: The Journey of Human Formation», conferenza tenuta alla Pontificia Università Gregoriana di Roma il 26 marzo 2004, manoscritto (orig. inglese).
[25]. Francesco, Discorso ai partecipanti al Convegno internazionale promosso dalla Congregazione per il Clero, 7 ottobre 2017.
[26]. Cfr G. Ravasi, «Breviario», in Il Sole 24 Ore, 5 gennaio 2020.