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Dopo aver narrato in maniera appassionante, nella Lehman Trilogy (2014), le vicende del capitalismo finanziario arrivate a dispiegarsi nell’arco di oltre 150 anni ed essere tornato sull’argomento nella densa ballata dal titolo Qualcosa sui Lehman (2016), Stefano Massini rivolge la sua curiosità e attenzione all’Italia che, nella primavera del 1978, assiste al rapimento e alla prigionia di Aldo Moro.
L’autore, che aveva all’epoca due anni e mezzo, si chiede: cosa pensa il Paese, qual è il suo volto nel corso di quei 55 giorni durante i quali viene privato dello statista democristiano? E cerca di rispondere a questi interrogativi richiamando alla memoria – in un racconto stilisticamente incisivo, dal ritmo incalzante e dalla notevole ricchezza lessicale – nomi, storie, avvenimenti. Giunge così a delineare con precisione lo sfondo di un dramma e, nel contempo, il ritratto di una comunità nazionale che non sembrava avere alcuna intenzione di riflettere sul proprio presente e avrebbe forse preferito pensare ancora una volta ad altro.
Si deve mettere in rilievo come l’autore abbia voluto raccogliere «gli indizi di una narrazione secondaria, forse irrilevante ma densa di suggestioni e di suggerimenti», esaminando di conseguenza, in altri termini, «quanto andava muovendosi dietro e mentre quei fatti accadevano» (p. 15). I suoi punti di riferimento sono stati dunque costituiti dalle canzoni, dagli sceneggiati televisivi, dai manifesti pubblicitari, dal campionato di calcio, dal Giro d’Italia e dalla cronaca alla quale i giornali – in quel periodo, dominato dalle notizie relative al sequestro – dedicavano tutt’al più qualche trafiletto situato al margine della pagina.
Da tutto ciò viene a formarsi, a poco a poco, l’immagine di un Paese che è sospeso fra una notte lunghissima e i primi bagliori dell’aurora, lacerato da contraddizioni, conflitti irrisolti, profondi contrasti sociali, spudorate menzogne e velenose ipocrisie, e che avverte tuttavia il bisogno di maggiore trasparenza e la necessità di aprire pagine nuove.
A proposito invece degli avvenimenti relativi al rapimento e al sequestro di Moro, l’autore osserva lucidamente come la storia della prigionia dello statista sia la storia della sua caparbia richiesta di aiuto, della sua tenace invocazione del dialogo, della sua strenua volontà di non arrendersi: il tutto animato dalla speranza di giungere a una conclusione positiva della propria vicenda.
Nel corso dei 55 giorni che sfociarono nel drammatico epilogo di via Caetani accadde inoltre qualcosa di inaudito: in un’Italia abituata a vedere istituzioni impettite, Moro si è spogliato del proprio ruolo, diventando prima uomo, marito, padre, nonno e poi amico tradito, credente deluso, ostaggio abbandonato; e infine addirittura un cadavere qualsiasi, raggomitolato nel bagagliaio di un’auto. Una trasformazione radicale – nota forse fin troppo causticamente Massini – da emblema della Balena Bianca a pesciolino rosso, da gigante a nano, che descrive in fondo la parabola di quella primavera del 1978, «con tutto il caos che questo scatenò in un paese già di suo tendenzialmente anarchico» (p. 165) e logorato per di più dalla presenza degli opposti estremismi. Uno stato di cose che la collettività nazionale, abituata da sempre a digerire tutto fino a ricordare ben poco del proprio passato, avrebbe cercato, per quanto possibile, di ignorare.
STEFANO MASSINI
55 giorni. L’Italia senza Moro
Bologna, il Mulino, 2018, 176, € 14,00.