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Le elezioni al Parlamento europeo possono essere un’opportunità per una riflessione più profonda sull’Europa. I tempi cambiano rapidamente e il processo d’integrazione europea non suscita più gli entusiasmi del passato. Un Paese membro vuole lasciare l’Unione: questo è certamente un fallimento, una mancanza di dialogo schietto e profondo. Il lettore avveduto noterà che in queste note a volte usiamo il termine «Europa» e altre volte «Unione Europea». Certo, non si devono confondere i due concetti, ma nella nostra tematica la maggior parte delle osservazioni rilevanti per i Paesi dell’Unione Europea valgono ugualmente per i Paesi della grande Europa.
Queste riflessioni vanno intese anche come un contributo all’articolo 17 del Trattato dell’Unione Europea, che è l’apertura di un dialogo tra le religioni e le istituzioni dell’Unione Europea.
Il processo di integrazione
Dal 27 al 29 ottobre 2017 la Santa Sede e la Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea (Comece) hanno organizzato in Vaticano la Conferenza «(Re)thinking Europe» per celebrare il 60° anniversario del Trattato di Roma, riconoscendone così l’importanza nella storia della costruzione europea.
Ricordiamo anche altre due date fondamentali. Il 9 maggio 1950 il ministro degli Esteri francese Robert Schuman propose che la Francia e la Germania mettessero la loro produzione di acciaio e carbone sotto una comune Alta Autorità. Allo stesso tempo Schuman invitava gli altri Paesi europei a partecipare a questo progetto comune. Il risultato fu la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca), con sede in Lussemburgo, che comprendeva, oltre la Francia e la Germania, anche l’Italia e i Paesi del Benelux. Questo fu un tentativo fra gli altri di politiche comuni in Europa, che ebbe successo perché si trattava di un progetto di pace che teneva conto delle concrete politiche industriali necessarie per condurre una guerra.
Il piano Schuman era la risposta a un grande problema: il bacino minerario della Lorena e del Lussemburgo poteva essere sfruttato con profitto solo utilizzando il carbone della Saar. Dal 1870 ciò non costituiva più una difficoltà: la Lorena era tedesca e il Lussemburgo era economicamente legato al Reich. Nel 1918 la Lorena ritornava alla Francia e il Lussemburgo era in unione economica e monetaria con il Belgio. La Saar e il suo carbone restavano tedeschi; da qui il tentativo di annettere quel territorio alla Francia. Nel 1945 la situazione era simile, perché la Saar stava per optare per la Germania. Le sfide economiche avrebbero potuto condurre verso una terza guerra. Schuman, nato in Lussemburgo da padre lorenese e madre lussemburghese, capiva bene questo problema. Secondo il piano da lui indicato, la collaborazione economica e la cessione di una parte della sovranità sarebbero stati preferibili a uno scontro economico che, secondo le lezioni della storia, avrebbe potuto portare a nuovi conflitti armati. Mettendo in comune il carbone e l’acciaio, la guerra tra i sei Paesi della Ceca diventava impossibile.
Oggi stiamo nuovamente vivendo un periodo di contrapposizioni economiche. Con la sua stessa esistenza, l’Unione Europea ricorda alle grandi potenze che una politica di non contrapposizione, di collaborazione e di pace è possibile. Una politica di bilanciamento dei poteri è attuabile solo se c’è stabilità; quindi, di fatto è possibile solo con degli adattamenti.
L’Unione Europea ha seguìto l’esempio di Schuman. L’Europa si impegna per il multilateralismo, si impegna come soft power per gli accordi internazionali; l’integrazione europea è essa stessa un continuo gioco di accordi. L’Europa è generalmente diventata un fattore di pace nella politica mondiale.
Ma questo processo di integrazione europea avviato da Schuman aveva un punto debole: era solo il processo di integrazione dell’Europa occidentale, alleata degli Stati Uniti. Sfortunatamente, per molti cittadini dei Paesi membri l’Europa si limitava all’Occidente: i Paesi dell’Europa centrale e orientale venivano percepiti come un mondo sconosciuto o semplicemente dimenticati.
La caduta del Muro di Berlino e della Cortina di ferro mostrò ai cittadini dei Paesi membri che c’era un’altra Europa ormai liberata dal giogo sovietico. Infine, il 1° maggio 2004 l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, la Polonia, la Slovacchia, la Slovenia, la Repubblica Ceca e l’Ungheria (oltre a Malta e Cipro) diventarono Paesi membri dell’Unione Europea, seguiti, il 1° gennaio 2007, dalla Bulgaria e dalla Romania. Era stato necessario un certo lasso di tempo affinché questi Paesi potessero avere le capacità economiche per un’integrazione che avesse un obiettivo politico: dare stabilità a questi Paesi, collegarli in modo duraturo al blocco occidentale. L’esperienza era quella di un loro ritorno in un’Europa libera, e l’Unione meritava per la prima volta l’aggettivo «europea».
Questo ampliamento, purtroppo, non aveva tenuto conto della storia e delle mentalità dei popoli. La componente economica era dominante, e non c’era spazio per un dialogo delle mentalità. Così molti abitanti di questi Paesi sentono di aver partecipato a un’integrazione verso l’Europa occidentale e non un’integrazione veramente paneuropea.
Possiamo illustrare questa tesi con alcuni esempi: l’Europa occidentale si è a poco a poco abituata a una migrazione del mondo musulmano: dei turchi in Germania, degli abitanti del Maghreb in Francia. Nell’Europa centrale, invece, nella memoria culturale collettiva, i turchi sono rimasti gli invasori, una minaccia per la libertà e l’indipendenza. Non c’è stato un vero dialogo tra queste posizioni.
Un altro dibattito che non ha avuto luogo è quello sul ruolo dei popoli nella costruzione europea. I Paesi dell’Europa centrale condividevano piuttosto il concetto tedesco di «popolo», diverso da quello francese di «nazione», quale garante per la libertà e l’indipendenza: le sue connotazioni erano positive.
L’ampliamento del 2004 è stato un’occasione mancata per l’integrazione europea. Il dialogo fra diverse narrazioni non è avvenuto. I Paesi dell’Europa occidentale hanno interpretato troppo ingenuamente il crollo dell’impero sovietico come un trionfo del capitalismo e del liberalismo. I Paesi dell’Europa occidentale e centrale dovrebbero avviare un dialogo tra i popoli affinché l’Unione Europea possa restare una garanzia di stabilità e di pace nel mondo.
L’Unione Europea rimane dunque un progetto per la pace. Il processo dell’integrazione europea non ha fallito in queste promesse. L’integrazione economica nel mercato comune non è stata soltanto un motore di sviluppo economico, ma ha anche contribuito al benessere dei cittadini dell’Europa.
Di seguito proponiamo brevi riflessioni di approfondimento su alcuni punti chiave per il prossimo futuro[1].
Le paure
L’inizio del XXI secolo sarà importante per la storia delle mentalità. Le paure nell’Europa dei nostri giorni sono molteplici e, ben mescolate, conducono, con l’ascesa dei populismi, a una destabilizzazione delle nostre democrazie e a un indebolimento dell’Unione Europea.
Oggi il senso di benessere sembra scomparso e pare abbia dato vita a molteplici paure, che reclamano un’identità europea «cristiana», pur declinandosi in desideri politici che si rivelano in netta contrapposizione con una prospettiva fondata sul Vangelo.
È strano notare l’aumento delle paure in concomitanza col declino della pratica domenicale. L’uomo rivolto verso Dio, l’uomo che trae il suo senso e la sua felicità dal rapporto con il Dio totalmente Altro, e il cui incontro con Cristo conduce a una fratellanza universale, cede il posto all’uomo che trae il suo senso dai suoi consumi, all’uomo che si vede svuotato di ogni contenuto, isolato e timoroso di perdere l’avvenire.
L’angoscia si definisce come una paura senza un oggetto concreto. Questa angoscia umana, analizzata dalla filosofia di Sartre, destabilizza l’uomo; in effetti, la molteplicità di paure vaghe portano a tale angoscia. Alcune politiche populiste ne approfittano e danno un nome agli oggetti di queste paure, che allora possono trasformarsi in aggressività. Per rimuovere le nostre paure ci vengono presentati nemici: i migranti, l’islam, gli ebrei ecc. Che gioco infame con le nostre angosce!
Le politiche devono prendere in considerazione le paure. Queste spesso glorificano il passato e frenano le dinamiche orientate verso l’avvenire. Se politiche sensate non terranno conto delle paure dei cittadini europei, questi cadranno in preda a populismi che enfatizzano tali paure per presentarsi come salvatori.
L’ordine
L’ordine è essenziale per la stabilità della persona umana. Anche chi conduce una vita disordinata ha bisogno di un ambiente ordinato per vivere il proprio disordine. Questo ambiente ordinato sembra mancare sempre più all’uomo europeo. Così l’ambiente familiare è sempre più carente. Famiglie allargate, famiglie composte da individui senza legami profondi non garantiscono più l’ordine della vita quotidiana. Un piccolo esempio: un numero sempre maggiore di giovani non conosce più l’ordine del pasto in famiglia; ognuno mangia a sazietà, quando ne sente il bisogno. La scomparsa dei pasti familiari rimuove il quadro temporale attraverso il quale la famiglia diventava un elemento di ordine nella nostra vita.
Tale mancanza di ordine si riflette anche sul piano politico internazionale. Il multilateralismo si indebolisce, e vogliono affermarsi gli Stati nazionali: lo Stato-persona diventa debole, e si afferma lo Stato-individuo. Lo Stato-persona si muoveva nella comunità degli Stati, mentre lo Stato-individuo pensa solo ad affermarsi in un nuovo egoismo statale.
Le antiche alleanze, come quelle tra gli Stati europei e gli Stati Uniti, s’indeboliscono nello stesso momento in cui altre potenze, come la Cina o la Russia, si rafforzano.
L’integrazione europea era all’inizio una promessa di un nuovo ordine, un ordine di pace. Per il cittadino europeo di oggi l’Unione non è più una promessa. Per molti giovani di oggi il concetto di ordine dipende dall’ordine nella loro vita individuale, che si riflette più nell’immaginario che nel reale. La volontà regolatrice dell’Unione Europea li disturba, ed essi non si rendono conto che l’ordine da loro vagheggiato è diretto dalle politiche del reale. Questo nuovo ordine dell’immaginario è il più grande rischio per una democrazia, per un cittadino che si impegna per la pace, la giustizia e l’ambiente.
Le migrazioni
Oggi in Europa le migrazioni fanno paura, sembrano disturbare l’ordine interno dei Paesi europei. L’immigrato, che al tempo del miracolo economico era il benvenuto perché garantiva benessere economico, è diventato uno straniero: uno straniero che, per la sua differenza religiosa e culturale, appare come una minaccia per il nostro piccolo mondo. Le emozioni negative esplodono: l’altro non è più considerato come un’occasione di incontro, ma come colui che ci fa perdere la nostra identità. In effetti, in molte città europee ci sono esempi negativi: quartieri turchi o arabi dove la popolazione autoctona non si sente più a casa. Ma questo è colpa dei migranti, o non è piuttosto una mancanza d’integrazione? Non è forse una politica puramente materialistica, centrata sull’economia, che è all’origine di tali divisioni?
Ma non dobbiamo giudicare con leggerezza: c’è sempre un incontro. Nelle miniere di carbone, nelle industrie pesanti in Europa lo straniero era sempre visto come un compagno, un collaboratore. Molte amicizie e molti matrimoni mostrano che la differenza culturale e religiosa non conduce necessariamente all’esclusione. Il mondo operaio era aperto alla condivisione e rifletteva così un atteggiamento profondamente cristiano. Il sindacalismo era quindi spesso più universale delle nostre Chiese, che dopo il Vaticano II sono diventate Chiese nazionali.
La maggior parte delle Chiese in Europa hanno Conferenze episcopali nazionali. Certo, questa organizzazione permette ai vescovi di affrontare i problemi reali della loro Chiesa, ma aiuta anche a cementare nell’immaginario cattolico lo Stato-nazione e ci fa perdere una parte della nostra vocazione universale. L’universalità del latino ha ceduto il posto alle lingue nazionali, ma la liturgia nelle lingue nazionali ha dimenticato i valori di apertura e di dialogo del Concilio Vaticano II.
Questo argomento della lingua vernacolare può sorprendere qualche lettore, ma in una Chiesa come quella del Lussemburgo, che annovera tra i fedeli numerosi cattolici immigrati, il problema delle lingue nella liturgia è reale, e in una società fatta di mondi separati noi procediamo con Chiese separate. Certamente ci sono dei movimenti più profetici in Europa, ma, purtroppo, la Chiesa spesso è più un freno che un motore.
La mancanza del rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II e un cattolicesimo basato sui riti potrebbero spiegare perché i populismi attirano anche un certo numero di cattolici praticanti. I riti sono un elemento di ordine nella vita quotidiana; i riti e l’ordine, considerati insieme, costituiscono un luogo con un passato immaginario che spesso pretende di rappresentare «l’Occidente cristiano».
Per uscire da questa impasse dobbiamo disfarci di ogni autoreferenzialità ecclesiale. Per questo papa Francesco ci invita a vivere il Vangelo nell’incontro con l’altro, con l’immigrato.
La politica non consente di accettare un’immigrazione selvaggia, incontrollata. La nostra umanità e la nostra coscienza cristiana ci chiedono il rispetto, anzi l’amore verso questo prossimo. L’Europa rimarrà cattolica se sapremo vivere questo incontro con i migranti in maniera adeguata al Vangelo.
Il dramma dei rifugiati e dei migranti nel Mediterraneo è una vergogna per l’Europa. Il Mediterraneo, che per la sua posizione geografica è come un mare interno che collega l’Europa, l’Asia e l’Africa, è diventato un muro di separazione fatto di acqua. Esso diventa un immenso cimitero.
Venendo nei nostri Paesi, il migrante diventa nostro prossimo. L’amore per il prossimo ci chiede di pensare alla migrazione con gli occhi dei migranti: occhi che rivelano la loro paura, le loro preoccupazioni, la loro fame, il loro desiderio di sicurezza e il loro desiderio di stabilità economica. Molti non vogliono lasciare il proprio Paese, ma sono costretti a farlo per necessità.
I migranti hanno anche il diritto di rimanere nella loro patria, di poter condurre una vita dignitosa nel loro Paese, con la loro famiglia. L’amore del prossimo tradotto in politica richiede investimenti concreti affinché i Paesi africani possano avere uno sviluppo sostenibile. Non dimentichiamo che dopo la guerra mondiale gli europei hanno ricevuto aiuti dagli Stati Uniti, e questo ha permesso alle economie europee di riprendersi. Non tocca adesso forse agli europei fare la stessa cosa per l’Africa, iniziando a lavorare per strutture economiche eque, senza corruzione?
L’Unione Europea, adottando i valori della solidarietà, fa proprio il nobile scopo del bene comune.
L’identità
L’uomo europeo, che ha perduto i suoi legami familiari e non si definisce più come persona ma come individuo, ha smarrito la propria identità. Poiché l’identità è molto diversa da un passaporto, che possiamo metterci in tasca; la vera identità si costruisce nel dialogo permanente della nostra vita: dialogo con Dio e dialogo con gli uomini.
L’Europa, che sta perdendo la propria identità, si costruisce identitarismi, populismi, in cui la nazione non è più vissuta come comunità politica, ma diventa un fantasma del passato, uno spettro che trascina dietro di sé le vittime delle guerre dovute ai nazionalismi della storia. I populismi vogliono allontanare i problemi reali, organizzando danze intorno a un vitello d’oro. Essi costruiscono una falsa identità, denunciando nemici che sono accusati di tutti i mali della società: ad esempio, i migranti o l’Unione Europea. I populismi legano gli individui non in comunità dove l’altro è una persona vicina, un partner nel dialogo e nell’azione, ma in gruppi che ripetono gli stessi slogan, che creano nuove uniformità, che sono l’anticamera dei totalitarismi.
Un cristianesimo autoreferenziale rischia di veder emergere punti comuni con questa negazione della realtà e rischia di creare dinamiche che alla fine divoreranno il cristianesimo stesso. Steve Bannon e Aleksandr Dugin sono i sacerdoti di tali populismi che evocano una falsa realtà pseudo-religiosa e pseudo-mistica, che nega il centro della teologia occidentale, che è l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Perché l’amore non può esistere senza libertà, e la libertà è la condizione indispensabile di ogni interazione umana, è la condizione indispensabile dell’agire e della responsabilità politica. Senza libertà la nostra fede non esiste. Risvegliamo quindi nei nostri cittadini il senso della libertà, della responsabilità e della solidarietà, diamo priorità a una fede viva, che è relazione, a una fede che non ha bisogno di offrire sacrifici sugli altari di Baal.
Ma non lasciamoci ingannare: in un mondo che è alla ricerca di comunità, l’identità è importante. Si devono rispettare tutte le identità; al tempo stesso, però, si deve fare di tutto perché esse non siano chiuse, ma aperte, e divengano identità dialoganti.
Il popolo
Il rispetto del popolo è l’antidoto contro i populismi. L’Europa è composta da popoli diversi con culture diverse che formano la civiltà europea. Il popolo non è un’identità mitica fissata da geni ancestrali, ma è piuttosto una comunità di persone che condividono una stessa cultura e sono chiamate insieme a operare per il bene comune. Come scriveva Bergoglio nel 2010: «Non serve un progetto di pochi e per pochi, di una minoranza illuminata o di testimoni, che si appropria di un senso collettivo. Si tratta di un accordo per vivere insieme. È la volontà espressa di voler essere popolo-nazione nel mondo contemporaneo»[2].
Queste parole, scritte dall’arcivescovo di Buenos Aires dopo le elezioni in Argentina del 4 marzo 2010, conservano oggi tutta la loro attualità e possono essere intese come una critica alle élites che hanno perso il senso del popolo, come i filosofi e i prìncipi dell’Illuminismo. Chi governa è chiamato a sentirsi parte del popolo e a servirlo non dall’alto in una struttura piramidale, ma dal suo interno stesso. Il popolo non è una massa anonima che chiede di essere dominata: è composto da persone molto diverse – con la loro esperienza umana che le rende uniche –, che sono i soggetti dei diritti dell’uomo. È questo profondo rispetto per i diritti dell’uomo che distingue le sètte dalle religioni, i totalitarismi dalle democrazie.
La democrazia
Le forme di governo democratiche sono la migliore salvaguardia dei diritti dell’uomo. Ma i cambiamenti culturali non risparmiano le nostre democrazie parlamentari in Europa. I cittadini europei provano un crescente disagio nei confronti delle multinazionali e dei poteri finanziari. La crisi delle banche in Europa e l’arricchimento di una élite finanziaria sembrano mostrare una connivenza tra i poteri economici e le élites politiche.
Robert Schuman, il padre dell’integrazione europea, non aveva nulla di particolarmente carismatico. Ebbene, oggi, per essere eletti, occorre un’influenza mediatica. I testi complessi risultano misteriosi per molti giovani elettori. Sono i media, i videoclip sui mezzi di comunicazione, su internet, che portano voti.
In passato, il voto in Europa dipendeva in gran parte da una netta separazione tra destra e sinistra. Le destre e le sinistre classiche non presentano oggi molte differenze nelle nostre democrazie europee. Coloro che cercano una differenza politica più netta si orientano verso le destre e le sinistre più estreme, che spesso si compiacciono di populismi semplicistici.
Internet gioca un ruolo sempre più importante nelle campagne elettorali. Un internet che spesso consente l’anonimato, e in cui l’utente non capisce più se ha a che fare con persone reali o con algoritmi. Ma anche se noi ne abbiamo un’opinione molto favorevole, la democrazia mantiene un certo disagio nei confronti di internet. Gli utenti tendono a schierarsi con coloro che condividono le loro idee. A forza di vedere gli stessi argomenti che si ripetono, gli utenti-elettori tendono a radicalizzarsi. La comunicazione su internet non si presta neppure a scambi complessi: i testi condivisi sono brevi e non consentono molte distinzioni.
Sarebbe comunque sbagliato demonizzare internet. La democrazia postmoderna non funzionerebbe senza questo mezzo di comunicazione. Di certo abbiamo bisogno di qualche tipo di regolamentazione per eliminare tutto ciò che alimenta odio, per eliminare le offese e gli abusi. Di certo dobbiamo anche creare spazi in rete che possano promuovere i dibattiti democratici.
Infine, abbiamo bisogno di una nuova educazione nelle scuole che permetta ai ragazzi e ai giovani non soltanto di essere utenti più esperti, ma anche di prendere le distanze da questo mezzo di comunicazione per non diventarne schiavi. Essi dovrebbero saper distinguere i dati concreti dalle fake news e saper elaborare i contenuti visualizzati. In effetti, si tratta di disfarci degli atteggiamenti consumistici che si sono introdotti nel nostro modo di percepire la realtà. La mentalità consumistica ha soppiantato la nostra missione, il nostro dovere nella sfera politica: adoperarsi per il bene comune, che è più del mio bene personale, è più del bene della mia comunità politica, e si apre all’universale.
Il sociale
Le democrazie in Europa hanno bisogno di società stabili. Una società è stabile se ciascuno può avere un lavoro retribuito che gli permetta di mantenere la propria famiglia. Molti cittadini europei hanno l’impressione che l’economia e la finanza siano più interessate alla creazione di profitto che a quella di posti di lavoro. Il tasso di disoccupazione dei giovani in Europa è enorme in alcuni Paesi. I populismi traggono vantaggio dalla disoccupazione, nascondendone le vere cause e presentando il migrante come colpevole.
Il piano Juncker dell’Unione Europea cerca di colmare le lacune nazionali nella creazione di posti di lavoro. Purtroppo non se ne parla abbastanza, e così l’Unione Europea viene vista come connivente con le élites finanziarie, che non comprendono più il mondo dei giovani disoccupati.
Il lavoro diviene sempre più specializzato, e gli operai non qualificati perdono facilmente la propria occupazione nel lungo periodo. I disoccupati qualificati lasciano spesso il proprio Paese per trovare lavoro in un altro Paese europeo. Molti parlano diverse lingue e hanno già avuto un’esperienza europea con i programmi «Erasmus». Essi hanno una visione positiva dell’integrazione europea. Si comprende quindi come molti giovani con un livello di istruzione elevato abbiano preso posizione contro la Brexit. Ma il disoccupato non qualificato si vede isolato nel suo Paese: si accorge che il migrante qualificato ha più opportunità di lui nel mercato del lavoro. Non ha alcuna speranza di migliorare la propria situazione e la sua vita si svuota di significato.
I giovani però hanno altre paura riguardo al loro lavoro. Le promesse che il digitale creerà più occupazione di quanta ne toglierà si realizzeranno? E quali saranno questi nuovi posti di lavoro? E chi ne trarrà beneficio?
Già con l’attuale sistema di welfare la situazione economica di molti giovani è precaria, e non sempre consente di fondare una famiglia. Ma tali sistemi resisteranno in avvenire? Non stiamo assistendo a una progressiva riduzione dei vantaggi sociali? Questi giovani di oggi non saranno i poveri di domani? Il disagio è profondo in molti Paesi dell’Unione Europea. La paura di un degrado sociale è reale. Se l’Unione non riesce a mostrare ai giovani che il loro futuro le sta a cuore, essi diventeranno preda dei populismi.
L’ambiente
I giovani temono per il loro futuro in un ambiente che si va degradando. Non comprendono le politiche di conferenze interne in cui tutti i Paesi si pongono obiettivi concreti, mentre le politiche nazionali, per pigrizia, nell’interesse delle economie nazionali, sono lungi dal realizzarli. I giovani scendono in piazza per manifestare a favore delle politiche ambientali e climatiche, e hanno ragione, perché la solidarietà è per sua natura intergenerazionale. È triste constatare che una generazione di adulti materialisti e consumisti non si preoccupa più dell’avvenire dei propri figli!
Le soluzioni dei problemi più importanti del nostro Pianeta tardano ad arrivare, e la voce dei poveri invoca una giustizia climatica. Per fortuna, i giovani sono idealisti e hanno un forte senso della giustizia che potrà cambiare il mondo.
La Chiesa, con l’enciclica Laudato si’, si schiera apertamente a fianco dei giovani e cerca di mantenere viva la speranza e di lavorare affinché questa possa diventare concreta. Il Movimento cattolico mondiale per il clima ne è un valido esempio.
La sfida ecologica è un’opportunità per l’Europa, perché i problemi ideologici sono legati ai grandi problemi della giustizia. L’Europa deve accogliere i sogni dei suoi giovani: non sogni irrealistici, ma sogni che si trasformano in azione politica.
* * *
La politica europea deve collocare nuovamente l’uomo, con le sue aspirazioni e con le sue speranze, al centro dell’agire politico. L’integrazione europea deve dimostrare di nuovo che è a favore dell’uomo e che sta cercando di preservare la pace in un mondo più pericoloso che mai.
Per questo il nostro Continente ha bisogno di lavorare sulle sue fondamenta. L’appello è ancora lì per realizzare un’Europa che tenga conto delle sue differenze: differenze che sono un vero arricchimento. La riconciliazione tra l’Europa occidentale e quella centrale non è ancora realizzata. Il dialogo tra europei potrebbe condurre a una nuova libertà.
Approfittiamo delle elezioni per il Parlamento europeo per costruire nuove fondamenta per l’Europa. Perché l’Unione Europea è a favore dell’uomo europeo ed è un fattore di pace nel mondo.
Per la Chiesa, si tratta di accompagnare questi sogni e queste speranze, con una maggiore consapevolezza che essa non esiste per essere servita, ma per servire. Infine, questo impegno è un’opportunità per la nuova evangelizzazione. Non dimentichiamolo: potremo incontrare Dio solo nel mondo reale.
[1]. Cfr anche A. Spadaro, «Tornare a essere popolari. Sette parole per il 2019», in Civ. Catt. 2019 I 42-44.
[2]. J. M. Bergoglio, Nei tuoi occhi è la mia parola. Omelie e discorsi di Buenos Aires 1999-2013, Milano, Rizzoli, 2016, 818.
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TOWARDS THE EUROPEAN ELECTIONS
The author of this article is the Archbishop of Luxembourg and President of the Commission of the Bishops’ Conferences of the European Community From his authoritative point of view and with a pastor’s approach, Msgr. Hollerich looks at the situation on the Old Continent and evaluates in perspective the elections that will take place for the renewal of the European Parliament on 23-26 May, 2019. In the article’s penetrating analysis, the article takes stock of the process of European integration, of the populisms which have undermined it by stirring up fear; of the debate about “identity”, which cannot be reduced to a passport; on the importance of democracy; and on other topics. The author concludes by affirming that European integration must prove to be in favor of the citizen, and to preserve peace in a world that is more dangerous than ever.