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Il valore simbolico dei disegni e il rapporto tra il Papa e i bambini

Antonio Spadaro

21 Dicembre 2017

Due anni fa mi sono presentato a Casa Santa Marta con oltre 30 disegni di bambini di tutto il mondo. Erano solo una parte degli oltre 250 raccolti all’interno di un progetto della casa editrice dei gesuiti Loyola Press. I disegni erano accompagnati da domande per il Papa: taglienti e penetranti, bellissime e difficili. A volte rischiose: «che cosa faceva Dio prima di creare il mondo?»; «Perché Dio, se ci ama così tanto, non ha sconfitto il diavolo?»; «Come puoi risolvere i conflitti nel mondo?»; «Perché non ci sono più i miracoli?».

Le domande dei bambini sono sempre le più difficili, più di quelle dei giornalisti, ha confessato varie volte Francesco. I bambini non hanno filtri mentali o barriere: dicono quel che pensano. La loro sensibilità emotiva e la loro capacità di astrazione si unisce all’immediatezza non diplomatica. Per questo il confronto con loro è impietoso tanto quanto profondo. Le domande dei «piccoli» sono spesso quelle che noi «grandi» non riusciamo più a porre e, soprattutto, a porci. E vanno al cuore delle cose.

Il Papa ha risposto a tutti, e così ho potuto raccogliere sia i disegni sia le risposte nel volume Caro Papa Francesco, che ha fatto il giro del mondo in tante lingue. Da quel momento il Papa continua a ricevere centinaia di disegni e domande da tutti i continenti. Quando viaggia Francesco riceve i disegni direttamente dalle mani dei bambini. A volte sono i bambini malati dei vari ospedali, a volte i bambini entusiasti, a volte i bambini migranti, come a Lesbo. Loro dipingono il mondo e lo offrono al Papa. Disegnano quel che vedono: non il bene o il male, la luce o l’ombra: disegnano le persone e le cose.  Disegnano anche il Papa dicendo così, senza parole, chi è lui per loro. Mi ha colpito un disegno che raffigurava papa Francesco come nuovo Atlante che porta il mondo sulla sua testa. E il mondo in quel disegno era pieno di finestre, quelle verdi delle case, tutte aperte. Ma anche un disegno di un bambino migrante che vede il sole piangere mentre una mamma affoga col suo bimbo in braccio.

Francesco ammira questi disegni, li «legge» dentro perché i bambini «dicono quello che vedono, non sono persone doppie, non hanno ancora imparato quella scienza della doppiezza che noi adulti purtroppo abbiamo imparato».

«Dove metterà questi disegni che tanto le piacciono?», chiesi una volta al Santo Padre. Lui mi guardò negli occhi e mi chiese di prendermene cura, tenendoli presso La Civiltà Cattolica, e immaginando qualcosa. Ed ebbi l’impressione che mi stesse consegnando un tesoro inestimabile: il mondo visto dai ragazzini. Da qui l’idea di fare qualcosa di bello, tante cose belle, perché questo dono dei bambini al Papa diventasse un dono per altri bambini. In Mariella Enoc, presidente dell’Ospedale Bambino Gesù ho trovato la sintonia giusta per dare un volto concreto a questa idea.

Il mondo dei bambini che ammiriamo nei loro disegni al Papa è un mondo emozionale, che non scinde col bisturi sentimento e ragione. E allora qui il Papa trae una lezione per tutti: «Tante volte il nostro sorriso diventa un sorriso di cartone, una cosa senza vita, un sorriso che non è vivace, anche un sorriso artificiale, di pagliaccio. I bambini sorridono spontaneamente e piangono spontaneamente. Dipende sempre dal cuore, e spesso il nostro cuore si blocca e perde questa capacità di sorridere, di piangere. E allora i bambini possono insegnarci di nuovo a sorridere e a piangere».

È forse questo il messaggio più impegnativo che riceviamo prendendo in mano questi disegni preziosi.

Il valore simbolico dei disegni e il rapporto tra il Papa e i bambini

Antonio Spadaro

Sottosegretario del Dicastero Vaticano per la Cultura e l’Educazione. Scrittore emerito de La Civiltà Cattolica.

21 Dicembre 2017


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