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Cultura e società

“Sognai talmente forte”, di Massimo Bubola: canzoni da narrare

Claudio Zonta

5 Novembre 2022

Quaderno 4137

Massimo Bubola

Massimo Bubola, classe 1954, tra i più profondi e fini cantautori italiani, se da una parte ha scritto a quattro mani, insieme a Fabrizio De André, gli album Rimini (1978), L’indiano (1981), o brani singoli, come «Una storia sbagliata», dedicata alla figura di Pasolini, e «Don Raffaè», dall’altra ha all’attivo una lunga carriera come solista, nella quale ha esplorato ampie tematiche esistenziali.

È entrato con la sua penna e la sua voce nelle vite dei tanti soldati della Grande guerra, come testimoniano gli album Quel lungo treno (2005) e Il testamento del capitano (2014).

Ha fatto rivivere in musica le figure di poeti, come «Dino Campana» o «Dostoevskij», con quell’incipit straordinario «Avrei voluto diventare Dostoevskij per curvare le parole». Infine, ha composto stupende canzoni capaci di descrivere paesaggi geografici e allo stesso tempo esistenziali, come «Il cielo d’Irlanda», interpretato spesso da Fiorella Mannoia, o ha riletto storie bibliche, come nei brani «Marabel» e «Tutto è legato».

Cantautore, ma non solo

Dopo Ballata senza nome (2017), una storia toccante, ambientata sul finire della Prima guerra mondiale, esce ora la pubblicazione del romanzo Sognai talmente forte[1], che prende il titolo da un verso della canzone scritta insieme a Fabrizio De André, «Fiume Sand Creek»

Il titolo del romanzo comunica il forte desiderio del protagonista, di nome Callimaco, ormai giunto al termine della propria esistenza, di rileggere da un punto di vista affettivo i propri sogni, gli incontri e le speranze che lo hanno accompagnato lungo il tempo.

Attorniato dalle persone che lo hanno amato, infatti, rivive come un’infinita canzone i momenti fondamentali che vanno dall’infanzia fino al suo ultimo giorno.

Non diversamente da come ha fatto anche lo scrittore Andrea Camilleri in Conversazioni su Tiresia, anche Bubola utilizza l’espediente narrativo di mettere in scena un personaggio che richiama l’antica Grecia, il quale, attraverso dei flashback, dei ricordi dei flussi di pensiero, fa scorrere, con un approccio cinematografico, la propria esistenza.

Callimaco, alter ego dell’autore, che richiama l’omonimo personaggio vissuto in epoca alessandrina (Cirene, 310 a.C. circa – Alessandria d’Egitto, 235 a.C. circa), celebre per essersi spinto oltre la poesia epica con uno stile narrativo e allo stesso tempo poe­tico e onirico, ripercorre episodi della propria vita, collegandoli alla produzione delle canzoni del cantautore.

Un inno alla canzone

E la narrazione non può che prendere avvio da un’ode alla canzone, quell’espressione artistica che continua a emozionare e allo stesso tempo a porre domande senza risposta sull’esistenza. A Callimaco, che secondo l’etimologia significa «bel combattente», nome dato al protagonista del romanzo da un monaco benedettino che combatte attraverso la parola e la poesia, il nipote Gilroy chiede: «Nonno, perché continui a canticchiare sul letto di morte?». E l’anziano protagonista risponde: «Caro Gilroy, cantare è esistere, e finché canterò saprò di essere vivo. Tutto quello che rammento della mia vita è una lunga, vecchia e inzaccherata canzone d’amore. Quello che non si può più ricordare o rivivere si può cantare» (p. 10). Solo chi ha dedicato l’intera vita a scolpire con il cesello – labor limae, per riprendere una celebre espressione di Orazio – le parole cantate può definire in questo modo la canzone, che è colta negli angoli persi dell’umanità, nell’errare umano, nell’infinito attimo di un amore vissuto. E in maniera poetica il cantautore continua l’ode alla canzone: «Se non riesci a piangere, le canzoni piangono per te. Se sei disperato, si disperano con te e ti fanno idratare l’anima di limone, di gin e di lacrime. […] Se sei perso, si perdono con te, e ti riportano dove non sapevi di tornare…» (p. 11).

Già da questi stralci si può comprendere lo stile narrativo di Bubola, fortemente evocativo, metaforico, dalle forti sonorità, quasi fosse una narrazione cantata, una canzone in prosa che procede per immagini, per simboli capaci di tenere insieme l’umile e il divino, la terra e il cielo, il cuore e la ragione. Con i suoi versi Bubola non solo ha adornato storie che si sarebbero perse nel tempo, ma le ha consegnate affinché potessero essere tramandate attraverso le generazioni: «La mia vecchia canzone d’amore è una stella di passione e dolore. […] Canto questa canzone per gli amori morti bambini senza l’ombra di un grido, con l’espressione composta di un miracolo riconsegnato intatto all’infinito. Canto una canzone di amori tirati giù dal patibolo, tratti dalla fossa e ridonati ai giorni. […] Canto questa canzone per tutto lo sgocciolio di lacrime raccolte nei secoli dalle grondaie umane» (ivi).

Dopo questa appassionata dedica alla canzone, vera e propria musa ispiratrice, la memoria si volge all’età dell’infanzia, rievocando La canzone del servo pastore, con la descrizione di un ambiente agreste in cui Callimaco ripercorre l’incontro con Ermelinda: un amore che ha il sapore di altri tempi, sperimentato da un pastore, solitario, che viveva sotto un ponte di nuvole, in balia degli eventi climatici. Nella narrazione si sentono echi bucolici virgiliani delle egloghe, ma anche le atmosfere dei satiri: «Suonavo e inseguivo le canzoni nei boschi come fossero allodole o conigli selvatici» (p. 17). Versi di canzoni si insinuano nella vita del protagonista solitario, creando voli pindarici capaci di unire le tradizioni contadine sarde alla figura del Faquir, il fachiro, egiziano, o al pharmakos, il personaggio del reietto, dell’emarginato, proprio delle città della Grecia antica, una sorta di capro espiatorio che aveva a che fare con il bene e il male.

Amore e guerra

Tra il vento onirico del canto è presentata anche Teresa, altra protagonista tratta dalla canzone «Rimini», vittima del cruento regime militare argentino, il quale durante la dittatura continuò a violentare e uccidere tra atroci torture; oppure viene raccontata, attraverso il brano «Fiume Sand Creek», la violenza dell’esercito americano, ricordata anche come Massacro di Chivington. Questo episodio storico è rivisto anche in chiave mitica, diventando un punto inesorabile di non ritorno verso una violenza implacabile e che si perpetua ancora nella storia degli uomini: «Per la ricchezza inutile e la supremazia dei bianchi, aprirono il vaso di Pandora che conteneva i vizi umani fino ad allora estranei a queste lunghe montagne e a queste praterie felici» (p. 88).

Tra miti, echi di tragedie greche e filosofi si dipanano gli ultimi momenti di Callimaco, un discorso stringente tra eros e thanatos, tra sogno e oblio, che porta a comprendere quanto l’esistenza sia il sacro spazio degli incontri, quelli perpetrati nel tempo. Come quello tra il protagonista ed Ermelinda, suggellato dalla canzone «Se ti tagliassero a pezzetti», una storia di accoglienza e di dolcezza, di fragilità e di comprensione. O come quelli che non si è stati capaci di custodire, come Calliope, una delle sorelle di Ermelinda, o Oreste, fratello di Callimaco. Ogni perdita provoca ineludibilmente anche una mancanza e un senso di colpa: «Quando ti viene tolta la possibilità di scavarti una piccola fossa di lacrime e una trincea di rimpianti da una persona che amavi profondamente […] io ho cercato di assassinare la mia anima perdonata, che si ribellava» (p. 105).

* * *

Bubola crea, attraverso alcune delle pagine più intense della canzone italiana, una storia di addio, ma colma di speranza e di dolcezza, di amore e di sogni attesi e desiderati. Callimaco rappresenta colui che è stato capace di attraversare il mare dell’esistenza, sapendo navigare con il mare in tempesta, o con il vento in poppa. Ma non è stato un viaggiatore in solitaria, si è attorniato di compagni di viaggio – Orazio, Nestore, Gilroy e lei, Ermelinda –, con i quali ha continuato a respirare quell’amore durato una vita, come canta lo stesso Bubola nella canzone «Mio capitano»: «Volevo essere il tuo capitano / guidarti nella bufera / ti avrei portato così lontano / così leggera».

Copyright © La Civiltà Cattolica 2022
Riproduzione riservata

***


«SOGNAI TALMENTE FORTE», BY MASSIMO BUBOLA: SONGS TO BE NARRATED

Massimo Bubola, a singer-songwriter who has written some of the most beautiful musical examples of Italian song, has published his novel Sognai talmente forte (I dreamed so strongly). It is a story of intense memories inspired by certain songs that have been reinterpreted in a narrative and existential key. A long, narrated song that begins in Sardinia, moves to the Indian wars in the United States, then to the Argentinean dictatorship of the 1970s, and ends with the present-day memory of a love that is capable of withstanding the storms of life.

***

[1] Cfr M. Bubola, Sognai talmente forte, Milano, Mondadori, 2022. Le pagine indicate nel testo dell’articolo si riferiscono a questo volume.

 

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“Sognai talmente forte”, di Massimo Bubola: canzoni da narrare

Claudio Zonta

Scrittore de La Civiltà Cattolica.


5 Novembre 2022

Quaderno 4137

  • pag. 298 - 301
  • Anno 2022
  • Volume IV

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