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Cultura e società

SHAME

Virgilio Fantuzzi

21 Aprile 2012

Quaderno 3884

FILM

a cura di V. FANTUZZI
 
SHAME (Gran Bretagna, 2011). Regista: STEVE MCQUEEN. Interpreti principali: M. Fassbender, C. Mulligan, J. B. Dale, N. Beharie, L. Walters, E. Masucci, R. Montano, A. Hargreaves, A. R. Hopkins.
Il primo lungometraggio di Steve McQueen, mai distribuito in Italia, si intitola Hunger (fame). Girato nel 2008 e interpretato da Michael Fassbender, il film narra gli ultimi mesi di Bobby Sands, militante irlandese dell’IRA che, per protestare contro il trattamento brutale cui era sottoposto da parte delle guardie nel carcere di Belfast, iniziò uno sciopero della fame che lo condusse alla morte dopo una lunga agonia. Shame (vergogna), interpretato dallo stesso Fassbender, coppa Volpi come migliore attore alla Mostra di Venezia 2011, è il suo secondo lungometraggio.
Mentre il protagonista del primo film era un uomo privato della libertà, il protagonista del secondo, Brandon, impiegato di alto livello in un’agenzia pubblicitaria di New York, dispone di tutte le libertà che la società occidentale più evoluta offre a uno scapolo di bell’aspetto, fornito di denaro e privo di inibizioni. Per evadere dalla monotonia della vita d’ufficio, Brandon abborda una dama dopo l’altra mescolando storie senza futuro e incontri occasionali di una notte. Gli scaffali della sua libreria e i file del suo computer sono zeppi di materiale pornografico. I fantasmi che ingombrano la sua mente e condizionano il suo comportamento fanno del suo corpo una prigione all’interno della quale la sua anima soffre non meno di quanto soffrisse in Hunger il recluso di Belfast.
L’isola di Manhattan, con i grattacieli dalle pareti di cristallo, costringe i suoi abitanti a suddividere la vita tra il sottosuolo (nella metropolitana che larga parte ha nel film) e ambienti di lavoro o di ritrovo collocati tra le nuvole. Per McQueen la città è un’enorme prigione, dove ognuno consuma in una cella isolata la propria solitudine. La folla indistinta consente ampi margini di anonimato dentro i quali non è difficile nascondere ciò di cui si prova vergogna.
A scuotere Brandon dal suo isolamento giunge Sissy (Carey Mulligan), sua sorella minore, psicologicamente instabile e affettivamente sinistrata, che fa la cantante. Costretto a ospitarla per qualche giorno nel suo appartamento, Brandon perde la propria intimità e si vede esposto, appunto, a quella vergogna dalla quale, fino a quel momento, lo aveva protetto con i suoi oscuri meandri la città che dà accesso a ogni eccesso. Può un uomo, giunto a un certo livello di assuefazione con le proprie cattive abitudini, ravvedersi e cambiare vita? Brandon ci prova. Tenta di abbozzare una relazione meno precaria delle altre con una collega di lavoro reduce da un matrimonio sfortunato: Marianne (Nicole Beharie). L’esperimento non riesce, ma la cosa non finisce lì.
Al di là dei guai che combina, come quando sotto gli occhi del fratello si abbandona tra le braccia di David (James Badge Dale) capo ufficio di Brandon, coniugato con prole, Sissy non abbandona il campo. Nascono liti furibonde durante le quali affiora il passato turbolento dei due fratelli. La situazione precipita. Una mattina, quando Brandon rincasa dopo una notte di bagordi, trova la sorella in una pozza di sangue. Si è tagliata le vene dei polsi. Dalle cicatrici che ha sugli avambracci si capisce che non è la prima volta che lo fa. Corsa in ospedale. Sissy viene salvata in extremis. Il fatto cruento imprime una svolta (forse definitiva) alla vita di Brandon. Ennesima riprova del cammino tortuoso della grazia?
Il film assomiglia, sotto questo profilo, a Pickpocket (1959), celebrato capolavoro di Robert Bresson, che ha trovato una trasposizione meno paludata in American Gigolo (1980) di Paul Shrader. Può far pensare al finale de La strada (1954) di Fellini, quando Brandon si inginocchia sotto la pioggia battente e, rivolgendo verso l’alto il volto inondato dalle lacrime sue e da quelle del cielo, grida: «Dio!», quasi per invocare un lavacro di rigenerazione. Quando l’uomo muore dentro — potrebbe essere questa la morale del film — e al posto della sua anima si scatena la bestia, non basta un atto di ragionevolezza o di buona volontà per uscirne fuori. Per capovolgere la situazione è necessario l’intervento di una forza che superi quella della natura. Un sacrificio, offerto per amore, capace di produrre l’equivalente di un miracolo di risurrezione.

Non è disponibile la versione digitale di questo articolo, è possibile leggerlo solo nella versione cartacea o e-book


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SHAME

Virgilio Fantuzzi

Già scrittore de "La Civiltà Cattolica" (1937 - 2019).


21 Aprile 2012

Quaderno 3884

  • pag. 211
  • Anno 2012
  • Volume II

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Cinema

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