San Tommaso è stato un giurista? Non è facile rispondere a questa domanda. Le facoltà di giurisprudenza avevano, ai suoi tempi, da poco incominciato a esistere[1], e con loro avvenne il riuso del Digesto, testo base del diritto romano, sul quale s’innalzò l’imponente struttura del diritto moderno, civile e canonico, una nuova grammatica sociale destinata a una grandiosa fortuna. Il secolo dell’Aquinate è un tempo di grande effervescenza di questi studi e di elaborazione dei concetti e degli istituti giuridici, prima informi e confusi, che ancora oggi segnano il nostro vivere comune. Tommaso dimostra di esserne ben a conoscenza, in vari punti dell’immensa sua opera[2].
Certamente egli non è stato un giurista nel senso specialistico che oggi ha assunto questo termine: egli possiede infatti una cultura fondamentalmente unitaria, mentre è proprio del nostro tempo l’aver isolato alcune discipline rispetto alle altre, in una parcellizzazione del sapere che oggi tocca il proprio apice. D’altra parte, la distinzione o divisione delle discipline deriva dall’autonomia acquisita da esse rispetto a un sapere fondante, che, per Tommaso come per il suo tempo, è la teologia. Così, cifra del nostro mondo è l’enciclopedia, propria del Settecento illuminista, compendio dello scibile umano, ma a scomparti non comunicanti, mentre le Summae, tipiche creazioni medievali, se ne differenziano proprio per avere un unico principio esplicativo del reale, Dio, il che rende unitario l’intero sapere, conferendo al tutto unità e senso. Tommaso afferma infatti che nella Summa Theologiae «tutto è trattato in relazione a Dio: o perché Dio stesso, o in quanto dice ordine a Lui come a proprio principio e fine»[3], e questo segna l’ordo disciplinae della sua esposizione. Quindi Tommaso è un teologo, e non un giurista, ma il diritto non è certo escluso dalla sua riflessione.
Pensare la differenza
Per un uomo del Duecentosarebbe stata impensabile una trattazione di economia, o di antropologia, o di politica, senza rapportare questi ambiti a Dio, e questo vale anche per il diritto. Questo non vuol dire però che Tommaso non parli di tali temi, ma solo che ne parla «diversamente», almeno rispetto alla nostra mentalità. Anche nell’affrontare la filosofia del diritto, come per il diritto stesso e la sua storia, appare necessario quello che è stato giustamente definito un «lavacro interiore»[4], una grande disponibilità a pensare la sua «differenza»[5], evitando di considerare giusto o accettabile solo quello che a noi appare ovvio,
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