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L’orrore della catena di situazioni e di scelte individuali che hanno portato il 19 giugno scorso alla morte del bracciante indiano Satnam Singh nei campi intorno a Latina stimolerà finalmente qualche intervento utile alle tantissime persone che ogni giorno sono costrette a lavori non digitosi, malpagati, senza alcuna attenzione alla sicurezza e, normalmente, irregolari? Secondo le stime più recenti dell’ufficio studi del Cgia di Mestre, in Italia ci sono oltre tre milioni di lavoratori irregolari. Solo in ambito agricolo, secondo l’Osservatorio Placido Rizzotto e della Flai-Cgil, nel 2021 circa 230.000 persone lavoravano nelle campagne senza contratti regolari di lavoro. Di queste, 55.000 erano donne, e il 30% era costituito da cittadini italiani o dell’Unione europea. Si ritiene che oltre il 25% dei braccianti in Italia lavori in nero.
Sono numeri e storie che ritornano ciclicamente alla ribalta, e quindi la tentazione della sfiducia è forte. Una volta accertati fatti e protagonisti, anche questa volta abbiamo assistito alle dichiarazioni che deplorano le morti sul lavoro, all’aggiornamento periodico della relativa contabilità, alla riscoperta del caporalato, allo scaricabarile sulle responsabilità, alla ripetizione dei mantra su controlli, sicurezza e «pugno duro» contro i prevaricatori e così via. E poi? Politica, amministrazioni, mondo delle imprese, sindacati, associazioni dei consumatori e coscienze dei singoli come integreranno questo ennesimo tributo all’idolo dell’economia che uccide?
È bene ricordare che «l’economia che uccide, che esclude, che inquina, che produce guerra, non è economia», ma «una perversione dell’economia stessa e della sua vocazione». Lo ha scritto papa Francesco nel suo Messaggio ai giovani dell’evento «The economy of Francesco», il 6 ottobre 2023. Però l’economia – quella dello sfruttamento di persone e risorse naturali, della speculazione, dell’extraprofitto – non è una realtà impersonale che uccide da sé. Come per tutti gli idoli, sono le scelte quotidiane di coloro che le sono devoti a offrirle in sacrificio corpi, sogni e anni di vita.
Un fenomeno strutturale
Una frase di uno dei tanti braccianti agricoli dell’Agro Pontino – «Se non ci fossero lavori come quello di Singh, le zucchine starebbero a nove euro al chilo» – è stata subito usata da alcuni come «giustificazione» delle condizioni di lavoro di chi fa crescere gli ortaggi che mangiamo. Si tratta, però, di una mezza verità, che di fatto sposta l’attenzione dal centro ai margini estremi della filiera di produzione e distribuzione alimentare, ossia al consumatore finale e all’azienda agricola. Non è una fatalità che la lunga filiera logistica e di distribuzione che sta fra i tanti poveri Singh e le nostre tavole chieda, oltre a braccia e vite, dividendi per gli azionisti, nonché margini di ricarico e premi di produzione sproporzionati. E poi però paghi alle aziende agricole poche decine di centesimi al chilo per i pomodori freschi. L’economia non uccide per caso.
È certamente opportuno ricordare la responsabilità dei consumatori, che con le loro scelte possono decidere di premiare imprenditori e commercianti onesti e coraggiosi. Ma l’autoconsapevolezza sul solo lato del consumo appare gravemente insufficiente, soprattutto in un contesto sempre più frammentato e individualistico. «Se si tralascia di intervenire sulla determinante principale del fenomeno – l’architettura della filiera economica che la genera –, non ci può essere campagna di ispezioni o di contrasto che possa far fronte a un fenomeno alimentato in modo così strutturale» (A. Tardiola, «Senza interventi non si sconfigge il caporalato», in www.rivistailmulino.it, 27 giugno 2024).
Le possibili soluzioni? Secondo Andrea Tardiola, ex direttore generale dell’Inail, un esempio virtuoso è quello del Documento unico di regolarità contributiva (Durc) che, in chiave sperimentale, è stato introdotto per i lavori edilizi della ricostruzione del Centro Italia dopo il terremoto del 2016. Il Durc serve ad attestare la congruità tra i lavoratori impiegati in un cantiere e l’entità delle opere da realizzare. Non sembra dunque impossibile immaginare un analogo sistema per gli acquisti di produzioni agricole effettuati dalle aziende della trasformazione o della distribuzione. Una delle ragioni, se non la principale, per cui non lo si fa – sostiene Tardiola – «è che la sua introduzione andrebbe a generare un’importante redistribuzione della ricchezza lungo la filiera produzione-trasformazione-distribuzione-consumo».
I podcast de “La Civiltà Cattolica” | INTELLIGENZE ARTIFICIALI E PERSONA UMANA
La nostra epoca sarà ricordata come quella della nascita delle intelligenze artificiali. Ma cosa sono le intelligenze artificiali? Qual è l’impatto sociale di queste nuove tecnologie e quali sono i rischi? A queste domande è dedicata una serie in 4 episodi di Ipertèsti, il podcast de «La Civiltà Cattolica».
Una buona economia ha bisogno di buoni imprenditori
L’insegnamento di papa Francesco è ricco di richiami all’inaccettabilità di un’economia che uccide e della cultura dello scarto. Un riferimento tra gli altri è senz’altro il suo discorso allo stabilimento Ilva di Genova nel 2017. Il Pontefice in quell’occasione ha ricordato che il lavoro dignitoso è al centro del patto sociale, perché, «quando non si lavora, o si lavora male, si lavora poco o si lavora troppo, è la democrazia che entra in crisi» (Francesco, Discorso in occasione dell’incontro con il mondo del lavoro, 27 maggio 2017).
Nei giorni immediatamente successivi alla morte del bracciante indiano, alcuni si sono giustamente espressi affinché non venissero criminalizzati gli imprenditori in quanto tali. Papa Francesco, sempre in quell’occasione del 2017, ha messo in luce proprio il ruolo dell’imprenditore per una «buona economia»: perché «il vero imprenditore conosce i suoi lavoratori, perché lavora accanto a loro, lavora con loro». Invece, l’imprenditore speculatore assomiglia al «mercenario» della parabola del Buon Pastore: «Lo speculatore non ama la sua azienda, non ama i lavoratori, ma vede azienda e lavoratori solo come mezzi per fare profitto». Con tali imprenditori, «l’economia perde volto e perde i volti». È un’economia astratta e spietata.
Ricordando una delle sue vittime più recenti, non possiamo che augurarci che il sussulto delle coscienze e di solidarietà porti a scelte coraggiose e coerenti in difesa della dignità umana, a cominciare dallo scrupoloso e improrogabile rispetto della legalità in ambito lavorativo.
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