«Le grandi immagini letterarie del Novecento sono di Franz Kafka. Il commesso viaggiatore Gregor Samsa, che una mattina si sveglia trasformato in uno scarafaggio. […] Josef K., che viene arrestato senza aver fatto nulla di male. Un agrimensore che vorrebbe essere ricevuto. L’apparato di una colonia penale e il suo ufficiale»[1]. Il suo cognome si è persino trasformato in aggettivo: situazione kafkiana, luogo kafkiano, esperienza kafkiana[2].
Quest’anno ricorre il centenario della sua morte. Ma chi era Franz Kafka, scrittore fra i più enigmatici del XX secolo? Autore frammentario, la cui potenza può essere colta non nel singolo testo, ma nell’insieme del corpus prodotto. Johannes Urzidil, suo contemporaneo ed estimatore, scrive di lui: «L’dea di Gestalt che […] a Praga fu sviluppata […] permette di osservare e cogliere il mistero di una fisionomia letteraria i cui disparati singoli tratti confluiscono per generare una bellezza d’insieme, irriducibile all’analisi»[3].
La vita
Franz Kafka nasce a Praga il 3 luglio 1883 e muore nei pressi di Vienna 100 anni fa, il 3 giugno 1924. Se uno scrittore può dare figure e immagini a un’intera società per rispecchiarvisi, lo scrittore boemo ha realizzato questo compito in modo sommo. Egli è senz’altro tra i grandissimi della letteratura del XX secolo. Potremmo definire la sua opera un corpus «sopravvissuto» al desiderio del suo autore di distruggerlo[4] e alla persecuzione nazista[5]. Kafka è il rappresentante di quel milieu mitteleuropeo, coltivato dentro i confini dell’Impero austroungarico e travolto con la Prima guerra mondiale, incrocio di culture, lingue, popoli e religioni distinte.
La sua famiglia è un esempio dell’incrocio sociale e culturale di quei tempi. Il ramo materno Löwy, rappresenta il lato colto e avventuroso della famiglia, borghese, facoltoso, tedesco ebraico; il ramo paterno Kafka è più povero e regolare, di estrazione proletaria, ceco-ebraico. Il padre Hermann è un uomo che si è «fatto» da solo ed è riuscito a raggiungere una solida posizione economica, partendo da condizioni estremamente povere. Il suo riscatto sociale è suggellato dalla scelta di educare il figlio in scuole tedesche, sin dalle elementari fino alla maturità nel ginnasio umanistico. Va ricordato infatti che a quel tempo la lingua rappresentava ancora una vera barriera: dei 450.000 abitanti dell’epoca, solo 34.000 parlavano il tedesco. Appartenere all’enclave linguistica germanofona significava rientrare nella minoranza che ricopriva ruoli di potere e responsabilità della società praghese. Il dato linguistico non è secondario, come vedremo, nel
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