
|
Sin dall’inizio del suo pontificato, papa Francesco chiama la Chiesa a un’«uscita missionaria». Questo dinamismo spinge la comunità ecclesiale soprattutto a «uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo»[1]. Pertanto, tra una Chiesa accidentata che esce per strada e una Chiesa malata di autoreferenzialità, Francesco non esita a preferire la prima. «Tra queste strade ci sono anche quelle digitali, affollate di umanità, spesso ferita: uomini e donne che cercano una salvezza o una speranza»[2].
Oggi, nelle riflessioni e nei dibattiti attorno al Sinodo sulla sinodalità, la missione della Chiesa negli ambienti digitali ha acquisito una rilevanza ancora più significativa di fronte alla sfida di «camminare insieme» nella missione, in comunione e con partecipazione. Il tema affiora in diversi momenti del processo sinodale iniziato nel 2021, nelle sue diverse fasi e nei vari documenti da allora redatti dalla Segreteria generale del Sinodo.
Nelle fasi diocesana e continentale di questo processo spicca il progetto pilota «La Chiesa ti ascolta»[3], che si propone di promuovere la riflessione sinodale sulle principali reti e piattaforme digitali, nell’intento di raggiungere il maggior numero di persone possibile. Per la portata che ha avuto è stato chiamato «Sinodo digitale» nei successivi documenti. A conclusione della fase della Chiesa universale, la Relazione di Sintesi (RdS) della prima sessione dell’Assemblea generale del Sinodo[4] evidenzia il tema «Missionari nell’ambiente digitale» come titolo di uno dei 20 capitoli in cui è suddivisa la sintesi dei dibattiti sinodali svoltisi fino allora. E «La missione nell’ambiente digitale» è anche il tema di uno dei 10 gruppi di lavoro voluti da papa Francesco in preparazione alla seconda sessione dell’Assemblea generale, che si terrà nell’ottobre 2024, e segnalati dallo stesso Pontefice tra le «molteplici e importanti questioni teologiche, tutte in varia misura connesse al rinnovamento sinodale della Chiesa e non prive di ripercussioni giuridiche e pastorali»[5].
In questo contesto, vogliamo approfondire le riflessioni ed enucleare le questioni ancora aperte, che sono presenti negli ultimi due documenti del processo sinodale, dove vengono messi in luce, in modo maturo e articolato, i limiti e le potenzialità della «missione negli ambienti digitali». Così fanno la Relazione di Sintesi e lo schema di lavoro preparato dalla Segreteria generale del Sinodo per i 10 gruppi di studio nel periodo che intercorre tra le due sessioni dell’Assemblea generale. Con ciò vogliamo dare il nostro contributo al dibattito, alla luce del sogno del Papa di una «scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa», affinché la pastorale «in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta» (EG 27).
Cultura digitale e Chiesa sinodale
In generale, la Relazione di Sintesi presenta «gli elementi principali emersi nel dialogo, nella preghiera e nel confronto» durante la prima sessione dell’Assemblea sinodale, nell’ottobre 2023. Mette in evidenza i frutti della riflessione «sui segni caratteristici di una Chiesa sinodale e sulle dinamiche di comunione, missione e partecipazione che la abitano» (RdS, Introduzione).
Uno di questi segni – presentato nella terza parte della relazione, incentrata sulla sfida a «Tessere legami, costruire comunità» e in cui vengono evidenziati gli aspetti che riguardano «lo scambio tra le Chiese e il dialogo con il mondo» (ivi) – è costituito proprio dai «Missionari nell’ambiente digitale», che dà il titolo al capitolo 17 del documento. In esso si riafferma la convergenza tra i membri sinodali sul fatto che la cultura digitale è un «cambiamento fondamentale» nella percezione e nell’esperienza contemporanee di sé stessi, nel rapporto con gli altri e con il mondo, e anche con Dio. Si riconosce, pertanto, che la cultura digitale «non è tanto un’area distinta della missione, quanto una dimensione cruciale della testimonianza della Chiesa nella cultura contemporanea» e «per questo riveste un significato particolare in una Chiesa sinodale» (ivi; corsivo nostro).
Come afferma l’Assemblea sinodale, «non possiamo evangelizzare la cultura digitale senza averla prima compresa» (RdS 17d). Per camminare insieme non solo come Chiesa, ma anche con la società in generale, è necessario tenere conto dei macroprocessi contemporanei, come la mediatizzazione e la digitalizzazione, che danno nuovo significato non soltanto alla nozione di socius, ma anche a quelle di sacrus e di religio[6]. Tali processi sollecitano sia l’istituzione ecclesiastica sia i comuni fedeli a risignificare le loro pratiche religiose per gli ambienti online, attivando logiche mediatico-digitali di percezione e di espressione delle proprie credenze e tradizioni. Ciò, a sua volta, dà luogo a una vera e propria «mediamorfosi della fede»[7]. La Chiesa, quindi, non può concepirsi semplicemente come una «osservatrice partecipe» di questi fenomeni, perché è permeata e intrisa da diversi flussi socio-digitali, che schiudono nuovi significati anche riguardo all’idea stessa di comunione, partecipazione e missione, temi centrali negli attuali dibattiti ecclesiali.
La Relazione di Sintesi riconosce che il processo sinodale, inclusa l’iniziativa del «Sinodo digitale», ha mostrato «le potenzialità dell’ambiente digitale in chiave missionaria, la creatività e la generosità di coloro che vi si impegnano» (RdS 17e). Secondo la sintesi sinodale, sono molte le iniziative online di grande valore e utilità legate alla Chiesa, che offrono catechesi e formazione per approfondire la fede.
D’altra parte, ci sono anche altre pratiche digitali che affrontano le questioni legate alla fede in modo superficiale, polarizzato e perfino carico di odio. Pertanto, si legge nel testo, «come Chiesa e come singoli missionari digitali abbiamo il dovere di chiederci come garantire che la nostra presenza online costituisca un’esperienza di crescita per coloro con cui comunichiamo» (RdS 17g). Inoltre, considerati i limiti e i rischi degli ambienti digitali (come bullismo, disinformazione, sfruttamento sessuale e dipendenza), «è urgente riflettere su come la comunità cristiana possa sostenere le famiglie nel garantire che lo spazio online sia non solo sicuro, ma anche spiritualmente vivificante» (RdS 17f; corsivo nostro).
Il rapporto afferma anche che «le iniziative apostoliche online hanno una portata e un raggio d’azione che si estende oltre i confini territoriali tradizionalmente intesi» (RdS 17h). Di fronte a ciò, il Sinodo riconosce che la sfida ecclesiale verte su come tali iniziative «possano essere regolamentate e a quale autorità ecclesiastica competa la vigilanza». È una questione seria, come vedremo più avanti, ed è per questo che una concezione meramente geografico-spaziale delle pratiche digitali – intese come un «continente» a parte, «là fuori» – non ha senso ed è dannosa per l’azione evangelizzatrice. Infatti, tali pratiche e reti attraversano e semplicemente ignorano qualsiasi «confine territoriale» ecclesiastico, tradizionalmente inteso.
In questo scenario, la Relazione di Sintesi propone che le Chiese assicurino il riconoscimento, la formazione e l’accompagnamento dei missionari digitali già attivi, facilitando l’incontro tra loro, e anche che si creino reti di collaborazione tra influencer in generale, non solo cattolici, che possano collaborare su temi condivisi, come quelli che promuovono la dignità della persona umana, la giustizia e la cura della casa comune[8]. Questa proposta formativa e di articolazione è davvero necessaria e sempre più urgente, ma anche, come vedremo, altrettanto impegnativa.
La sfida di una «missione nell’ambiente digitale»
La Segreteria generale del Sinodo ha pubblicato, nel marzo 2024, una traccia di lavoro per i 10 gruppi di studio voluti da papa Francesco in preparazione alla seconda sessione dell’Assemblea generale. Tra le questioni rilevanti sulla vita e sulla missione della Chiesa nella prospettiva sinodale viene compresa «la missione nell’ambiente digitale». Basandosi sul capitolo 17 della Relazione di Sintesi, il documento invita il gruppo di studio ad «approfondire le implicazioni a livello teologico, spirituale e canonico e identificare i requisiti a livello strutturale, organizzativo e istituzionale per svolgere la missione digitale»[9]. Pertanto solleva alcune questioni specifiche, su cui vogliamo discutere per stimolare il dibattito senza offrire risposte preconfezionate.
La prima riguarda «che cosa può imparare una Chiesa sinodale missionaria da una maggiore immersione nell’ambiente digitale». Crediamo che il fenomeno digitale rappresenti una sfida positiva per la Chiesa, sia perché la porta a ripensare i propri linguaggi per facilitare il dialogo con la cultura contemporanea, sia perché la induce a dialogare con pubblici diversi, con molte persone con cui forse essa non è abituata a interagire. Pertanto, la nozione fondamentale ci pare quella di essere una Chiesa in (una società in) rete, un’esperienza cruciale per la pratica della sinodalità. In una rete, il potere d’azione è distribuito fra tutti i punti, anche se essa è centralizzata in un unico polo: tutti interagiscono. E la rete non è mai qualcosa di pronto e già dato, ma comporta un continuo lavoro di costruzione (net-work), attraverso le interrelazioni tra le sue diverse parti, che ne modellano la forma. Anche la metafora della vite e dei tralci presentata da Gesù (cfr Gv 15) e quella del corpo e delle membra usata da Paolo (cfr Ef 4) additano questa identità reticolare della Chiesa, «che è fondata sulla comunione e sull’alterità. Come cristiani ci riconosciamo tutti membra dell’unico corpo di cui Cristo è il capo [e] lo sguardo di inclusione che impariamo da Cristo ci fa scoprire l’alterità in modo nuovo […]: per essere me stesso ho bisogno dell’altro»[10].
In questo senso, le reti digitali possono facilitare o potenziare le reti umane. Papa Francesco riconosce anche che «l’uso del social web è complementare all’incontro in carne e ossa […] e rimane una risorsa per la comunione»[11]. Non esiste dicotomia o separazione tra queste esperienze di vita: «Il dualismo tra reale e virtuale non descrive adeguatamente la realtà e l’esperienza di tutti noi», come afferma RdS 17a. Pertanto, «la Chiesa al tempo delle reti sociali è chiamata a un compito di questo genere, assumendo le forme adatte, ma comprendendosi anche (e dunque certamente non solo) come luogo di connessione significativa della persona, capace di fornire la base per la costruzione di rapporti di comunione in una società frammentata»[12].
La seconda domanda della Segreteria generale del Sinodo è: «Con quali criteri possiamo valutare le molte esperienze che hanno avuto luogo durante la pandemia, così da individuare quali possono essere “i benefici duraturi per la missione della Chiesa nell’ambiente digitale?”»[13]. Se parliamo della missione della Chiesa, non stiamo riferendoci a qualcosa che sia paragonabile a ciò che fanno altri individui, gruppi o istituzioni in generale negli ambienti digitali. Noi, la Chiesa, non siamo un’azienda, un marchio commerciale, un partito politico, una Ong. La Chiesa non è un soggetto qualsiasi nel campo della comunicazione, e la sua missione non è paragonabile a quella di qualunque altra istituzione. Come ha detto Francesco in un tweet del 2018, «noi cristiani non abbiamo un prodotto da vendere, ma una vita da comunicare»[14], la vita che sperimentiamo in comunità, come figlie e figli di Dio, membra del Corpo di Cristo.
Pertanto, i criteri per valutare la missione della Chiesa nell’ambiente digitale non devono essere desunti dal campo imprenditoriale, politico, pubblicitario, del marketing o dell’intrattenimento. Metriche digitali quali portata, coinvolgimento, click e visualizzazioni possono essere criteri molto importanti per qualsiasi altra istituzione sociale, ma dicono ben poco alla Chiesa dal punto di vista della sua missione. Per la Chiesa i numeri non contano, perché la «matematica di Dio è diversa: si moltiplica solo se si divide!»[15]. Gesù non si è mai chiesto: «Quanti uomini seguono il Figlio dell’uomo?», ma piuttosto: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» (Mt 16,13).
Occorre quindi ritornare ai Vangeli per trovare i criteri coerenti con la missione cristiana. Come afferma il decreto conciliare Ad gentes (AG), «sviluppando nel corso della storia la missione del Cristo, inviato appunto a portare la buona novella ai poveri, […] la Chiesa, sempre sotto l’influsso dello Spirito di Cristo, segua la stessa strada seguita da questi, la strada cioè della povertà, dell’obbedienza, del servizio e del sacrificio di se stesso fino alla morte, da cui poi, risorgendo, egli uscì vincitore» (AG 5; corsivo nostro). Questi sono i criteri cruciali. Inoltre, per parlare di missione oggi, occorre ritornare anche all’Evangelii gaudium. Con parole di Francesco, la missione della Chiesa – ieri, oggi e sempre – è «rendere presente nel mondo il Regno di Dio» (EG 176). E questo Regno è come un granellino di senape o il lievito nascosto nella pasta (cfr Lc 13,18-21), è «giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17). I suoi frutti non sono misurabili, né prevedibili, né quantificabili, né controllabili secondo gli standard umani.
I criteri ecclesiali, in questo senso, devono essere diversi, nuovi e innovativi come la stessa Buona Notizia. E, in sostanza, nella sua prassi evangelizzatrice l’esperienza cattolica si alimenta di una triade fondamentale, che funge anche da guida per la missione negli ambienti digitali: la Sacra Scrittura, la grande Tradizione della Chiesa (e non dei semplici «tradizionalismi») e il Magistero di tutti i tempi.
Il documento della Segreteria del Sinodo chiede inoltre: «Come è possibile integrare in maniera più ordinaria la missione digitale nella vita della Chiesa e nelle strutture ecclesiali, approfondendo le implicazioni della nuova frontiera missionaria digitale per il rinnovamento delle strutture parrocchiali e diocesane esistenti?»[16]. La preoccupazione qui è come adattare la nozione di «giurisdizione» agli ambienti digitali, perché, come viene affermato nella Relazione di Sintesi della prima sessione del Sinodo, le iniziative apostoliche online hanno una portata molto maggiore rispetto ai confini territoriali delle comunità ecclesiali. Pertanto, regolamentare tali iniziative e istituire autorità capaci di accompagnarle è una questione fondamentale per l’ecclesiologia contemporanea. C’è una trasformazione del modello ecclesiale a partire dalle pratiche digitali, per cui la popolarità costruita dai media supera l’autorità costituita istituzionalmente. La teologia non può sottovalutare gli effetti che la trasversalità delle reti digitali ha sul tessuto ecclesiale, soprattutto in una Chiesa locale. Tali pratiche digitali possono effettivamente sovvertire e persino corrompere processi fondamentali dell’esperienza del cattolicesimo, come la costruzione dell’identità cattolica, la configurazione della comunità ecclesiale e la guida dell’autorità ecclesiastica.
Dal punto di vista della giurisdizione ecclesiastica, è necessario investire, in primo luogo, sulla formazione teologica delle persone e delle comunità locali, affinché sappiano confrontarsi con elementi esogeni che possono sconvolgere e perfino nuocere alla vita, all’identità e alle relazioni interne della comunità. Qui la personalizzazione della formazione è cruciale, affinché il singolo abbia elementi teologici sufficienti per discernere ciò che circola in rete. Occorre anche rafforzare molto di più i vincoli della collegialità. Oggi le frontiere digitali non hanno controlli né dogane di alcun genere: è necessario, pertanto, ripensare i processi di dialogo e di azione comune tra i vescovi, così come con i superiori degli Istituti religiosi e delle nuove comunità ecclesiali, affinché nelle situazioni problematiche possano trovare una soluzione collegiale.
Tali misure possono essere più efficaci dal punto di vista dei missionari digitali chierici, ma per gli individui e i gruppi laici la situazione è ancora più complessa. È pertanto doveroso un ampio dibattito ecclesiale, al fine di sollevare tali questioni e riflettervi sinodalmente, poiché le soluzioni non sono semplici. Qui è necessario rafforzare molto di più – attraverso processi formativi ed esperienze spirituali – l’identità di ogni persona e comunità cristiana (parrocchia, diocesi ecc.) alla luce del Vangelo, affinché elementi esterni non snaturino una data esperienza comunitaria di fede, ma ne rispettino il contesto socioculturale, il percorso storico e la specifica organizzazione ecclesiale.
«Nativi digitali» e «modernizzazione mediatica»
Il documento della Segreteria del Sinodo ribadisce, riassumendo la Relazione di Sintesi, che «i giovani, e tra di loro i seminaristi, i giovani preti e i giovani consacrati e consacrate, che spesso ne hanno una esperienza diretta, sono i più adatti per aiutare la Chiesa a portare avanti la missione nell’ambiente digitale»[17]. Pur riconoscendo che il fenomeno riguarda l’intera società, la Segreteria del Sinodo afferma che l’azione nel mondo digitale è segnata da un’attenzione particolare proprio al mondo giovanile, perché «molti giovani “hanno abbandonato gli spazi fisici della Chiesa in cui cerchiamo di invitarli a favore degli spazi online”»[18].
Ma qui è necessario sollevare alcune domande preliminari: una maggiore presenza della Chiesa negli ambienti digitali garantirebbe una rinnovata presenza dei giovani nella Chiesa? La sfida riguarda solo l’ambiente digitale o anche gli ambienti tradizionali e «fisici» della Chiesa? Non dovrebbero essere ripensati anche questi alla luce di quelli, cioè dei nuovi processi comunicativi? Che senso avrebbe una comunicazione innovativa e contemporanea dal punto di vista dei linguaggi e dei processi digitali, se poi la pratica religiosa e la convivenza comunitaria nella Chiesa locale venissero vissute in modi che non hanno più senso per i giovani di oggi, perché incoerenti, superficiali o privi di significato?
Un aspetto problematico è il concetto di «nativi digitali», che appare anche in RdS 17a. Esso rimanda alla convinzione che i bambini, gli adolescenti e i giovani contemporanei sarebbero naturaliter inculturati digitalmente, poiché avrebbero «maggiore familiarità» con le dinamiche digitali, come si legge nella Relazione. Va riconosciuto, però, che la «cultura» è molto più dell’uso di dispositivi tecnologici e della padronanza di determinate tecniche e/o linguaggi. Abitare la cultura digitale non significa necessariamente comprenderla. C’è tutto un universo simbolico di valori, significati e anche pratiche che non nascono per azione spontanea o naturale attraverso il mero utilizzo delle tecnologie, ma esigono processi di apprendimento e di scambio intergenerazionale, soprattutto nell’ottica di comunicare una «Tradizione viva» (come afferma RdS 1f e 1o).
Per quanto riguarda la presenza del clero e dei giovani consacrati nella cultura digitale, bisogna considerare che essa va sostanziata con criterio ancora maggiore, in quanto essi rappresentano più direttamente l’istituzione a cui appartengono. Nei loro profili, attraverso le loro pubblicazioni, dovrebbe esserci una sinergia tra vita e missione, vita personale e vita istituzionale. Da loro ci si attende che siano presenze positive, che riflettano i valori del Vangelo e promuovano la comunione sociale ed ecclesiale. Purtroppo, vi sono anche molti seminaristi, giovani sacerdoti e giovani consacrati che, nella loro presenza sulle reti digitali, aderiscono a un tradizionalismo estremo e hanno difficoltà a dialogare con la cultura e con la Chiesa contemporanea, in linea con il Concilio Vaticano II e con l’insegnamento di papa Francesco.
I podcast de «La Civiltà Cattolica» | UCRAINA. TRE ANNI DI GUERRA, AL FIANCO DEI RIFUGIATI
In questi tre anni di conflitto, il Jesuit Refugee Service, con lo Xavier Network, ha portato avanti l’iniziativa «One Proposal» attraverso cui è stato possibile sostenere più di 127 mila rifugiati. Con una puntata speciale di Ipertèsti Focus raccontiamo le difficoltà di quanti sono ancora in fuga dalla guerra con la testimonianza di David D’Agnelli, Project Officer per l’Ucraina di JRS.
Un esempio della scarsa adesione, o addirittura della scarsa sintonia con la realtà della Chiesa attuale da parte dei sacerdoti viene presentato in una recente indagine realizzata dalla facoltà di Scienze sociali della Pontificia Università Gregoriana, dedicata all’analisi dei profili di sacerdoti dei vari Paesi presenti sulle piattaforme digitali. Per quanto riguarda la realtà brasiliana, è stato riscontrato che durante il Sinodo speciale per l’Amazzonia, svoltosi nel 2019 a Roma, che ha toccato direttamente la realtà dell’evangelizzazione dei popoli originari nel Paese, nei profili dei sacerdoti analizzati era stata quasi inesistente la menzione dell’Assemblea sinodale[19].
Sotto la superficie della presunta «modernizzazione mediatica» del cattolicesimo si nasconde talvolta una «premodernità teologico-ecclesiale», che manifesta nostalgia per un passato perduto e idealizzato del cattolicesimo. Non è certo questo il tipo di missione digitale che la Chiesa vuole promuovere.
Missione o «influenza digitale»?
Ci sono certamente casi di buoni evangelizzatori in rete (e non necessariamente giovani), che danno priorità al Vangelo e sono fedeli all’insegnamento della Chiesa e dell’attuale Pontefice. Tuttavia, come sottolinea una recente indagine condotta in Brasile sugli «influencer digitali cattolici»[20], non di rado essi basano le loro pratiche digitali sulla diffusione di informazioni e contenuti superficiali o addirittura distorti riguardo alla fede cristiana. C’è una «divergenza a volte velata, a volte aperta rispetto al cammino ecclesiale e pastorale della Chiesa contemporanea o, in altri casi, c’è un “silenzio eloquente” rispetto all’insegnamento di Francesco […]. In questo modo, le grandi questioni ecclesiali vengono semplicemente ignorate, a favore di una fede più individualistica e devozionale, sconnessa dai problemi socioculturali ed ecclesiali contemporanei»[21].
Nei casi estremi, tali pratiche possono portare all’intolleranza e all’odio intra/inter-religioso. Proponendo discorsi aggressivi e violenti contro persone o gruppi specifici, questi influencer digitali alimentano ostilità e divisioni all’interno delle comunità religiose o tra di loro, spesso solo alla ricerca di più «click» e maggiore visibilità da convertire in metriche digitali elevate, generalmente molto redditizie.
Inoltre, molti influencer digitali della fede scelgono di svolgere una missione alone together[22]: ipoteticamente insieme e in comunione con la Chiesa, ma intenzionalmente soli. Affermano cioè di condividere la stessa fede, ma, in pratica, cercano l’indipendenza dalle comunità ecclesiali, intensificano la loro autonomia rispetto alle autorità religiose e creano le proprie «Chiese» a loro immagine e somiglianza. Di conseguenza, l’importanza della comunità e della comunione ecclesiale finisce per scomparire: il focus diventa l’«io» dell’influencer o l’«io» di chi lo segue sulle reti. È una sorta di «comunione solitaria», che esclude la diversità di opinioni.
La prospettiva di un «noi» comunitario che non s’incentra su un singolo «io» individuale né si riferisce esclusivamente a esso è quindi fortemente controculturale in tempi di reti digitali. La comunione cristiana è possibile solo quando ci sono apertura e riconoscimento reciproco della dignità cristiana e dell’appartenenza ecclesiale delle persone coinvolte. Il «noi» ecclesiale implica una «comune unione» con l’intero popolo di Dio, nella sua complessa diversità, ma soprattutto con il suo magistero: in particolare, con l’insegnamento del Papa e dei vescovi, quando parlano collegialmente, e con quello del vescovo locale nella giurisdizione che gli compete. Questo «noi» si esprime soprattutto nella testimonianza di fraternità e di amore tra coloro che pubblicamente si presentano come cristiani: «Se avete amore gli uni per gli altri…» (Gv 13,35).
Detto questo, «è urgente imparare ad agire insieme, come comunità e non come individui. Non tanto come “singoli influencer”, ma come “tessitori di comunione”: mettendo in comune i nostri talenti e le nostre capacità, condividendo conoscenze e suggerimenti»[23]. Chi desidera contribuire a un cammino di evangelizzazione integrale deve farlo in comunione e in comunità, guidato dai criteri del Vangelo, della Tradizione e del Magistero. Pertanto, i progetti di missione digitale collettiva sono molto più fedeli al Vangelo di quelli individuali: Gesù stesso ha inviato i suoi discepoli in missione «a due a due» (Lc 10,1).
La missione nell’ambiente digitale come «anti/contro-influenza digitale»
Oggi viviamo in una «situazione post-ecclesiale»[24], in molti luoghi caratterizzata dalla perdita di credibilità della Chiesa in un duplice senso: come realtà che non ispira più fiducia da parte della società, e come istituzione che spesso non è più capace di innescare nei suoi membri comportamenti segnati dalla propria esperienza cristiana. Nel complesso, sotto molti aspetti, l’influenza digitale cattolica è un sintomo di questa situazione ecclesiastica e religiosa critica e complessa.
In questo modo il cristianesimo comincia a essere interpretato attraverso le lenti del sensazionalismo, del folclore, dei media, come un mero prodotto culturale, industrializzato, massificato, light, frivolo e diffuso in rete, consumabile da chiunque e in qualsiasi modo. Le specificità del cristianesimo vengono così semplificate, diluite e sfumate attraverso l’estrema individualizzazione e privatizzazione della pratica religiosa, se non addirittura la sua mercificazione. Sebbene sia pubblica, questa pratica cerca di soddisfare solo i bisogni spirituali e privati dell’individuo, lasciando da parte la prospettiva altruistica, comunitaria e sociale dell’apertura agli altri, che nella fede cristiana è centrale. Con ciò l’esperienza cristiana cessa di essere ecclesiale, in senso comunitario, per diventare individuale, in senso egocentrico.
Paradossalmente, quindi, è chiaro che è possibile essere un influencer digitale di ispirazione cattolica senza essere un evangelizzatore o un missionario digitale. Un evangelizzatore digitale, in quanto discepolo-missionario di Gesù di Nazaret nella cultura contemporanea, è infatti chiamato a essere un «anti/contro-influencer digitale»: se l’influenza digitale – come fenomeno socioculturale contemporaneo – richiede il rispetto di determinati standard e pratiche prescritti attraverso il mercato della comunicazione e le aziende che possiedono piattaforme digitali (autoreferenzialità, visibilità, coinvolgimento, concorrenza, pubblicità, monetizzazione, polemica, polarizzazione ecc.), un missionario digitale, invece, agisce nella direzione opposta e controculturale. Egli è infatti seguace di un Altro che ha allontanato la tentazione della fama, della ricchezza e del potere (cfr Mt 4,1-11), che non ha servito due padroni (cfr Mt 6,24), non ha acconsentito alla mercificazione della casa del Padre (cfr Gv 2,13-22) e si è fatto servo di tutti fino a lavare i piedi ai discepoli (cfr Gv 13,1-11), rimanendo fedele fino alla morte, e alla morte di croce. E «tutto è stato ribaltato sulla Croce. Non c’erano “like” e quasi nessun “follower” nel momento della più grande manifestazione della gloria di Dio! Ogni parametro umano del “successo” viene relativizzato dalla logica del Vangelo»[25].
Alcune proposte «per proseguire il cammino»
«Per proseguire il cammino» è il titolo dell’ultima pagina della Relazione di Sintesi della prima sessione dell’Assemblea generale del Sinodo. In vista della seconda sessione, è necessario riflettere sull’idea che «in un seme che cade nella terra Gesù ha visto rappresentato il suo destino. Apparentemente un nulla destinato a marcire, eppure abitato da un dinamismo di vita inarrestabile, imprevedibile, pasquale» (RdS, Conclusione). E leggiamo ancora nella Relazione di Sintesi: «Oggi, in una cultura della lotta per la supremazia e dell’ossessione per la visibilità, la Chiesa è chiamata a ripetere le parole di Gesù, a farle rivivere in tutta la loro forza».
Per aiutare questa riflessione fondata sulla sfida della missione negli ambienti digitali, vorremmo indicare qui alcuni primati che devono risaltare nell’evangelizzazione negli ambienti digitali, ispirati alla Evangelii gaudium, a favore dell’annuncio del Vangeloe del dialogo con la cultura e la società[26].
In primo luogo, il primato del Vangelo: un evangelizzatore digitale è chiamato ad attingere alla fonte del Vangelo, affinché l’agire in rete sia coerente con l’esperienza dell’amore divino, testimoniandolo e collaborando alla costruzione del regno di Dio. «Nel mondo di oggi […] il messaggio che annunciamo corre più che mai il rischio di apparire mutilato e ridotto ad alcuni suoi aspetti secondari» (EG 34). Pertanto, la missione deve partire dal cuore del Vangelo: «In questo nucleo fondamentale ciò che risplende è la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto» (EG 36).
Un evangelizzatore digitale è chiamato non solo a parlare e a insegnare l’amore, ma soprattutto a viverlo e a metterlo in pratica nel suo pieno senso caritativo, senza dissociarsi dalla realtà concreta della storia, dalle angosce e dalle sfide dell’umanità e dall’impegno collettivo verso il bene comune. Solo così sarà veramente diffusore della Buona Notizia. Questo è il primato della carità.
Un primato va riconosciuto anche alla grazia. L’evangelizzatore digitale è chiamato a rinunciare all’autoreferenzialità, alle polemiche superficiali e all’egocentrismo, a non esaltare la propria immagine e personalità. È chiamato a lasciarsi condurre dallo Spirito che spinge la Chiesa a uscire in missione, permettendo alla persona di Gesù Cristo di diventare protagonista dell’annuncio: «È Dio a far sì che venga il suo regno sulla terra»[27]. La missione della Chiesa – e anche dei missionari digitali – è quella di assistere quest’azione divina e, possibilmente, non ostacolarla. In questo senso, illuminante è la raccomandazione dell’«apostolo di Internet», il giovane beato Carlo Acutis, il quale affermava: «La conversione è un processo di sottrazione: meno io per lasciare spazio a Dio»[28].
Nel cammino della Chiesa contemporanea, un evangelizzatore digitale è chiamato anche ad ascoltare, a dialogare e a camminare insieme ad altri fratelli e sorelle nella fede, come pure con coloro che professano un altro credo religioso o non si dichiarano nemmeno religiosi. Così è possibile costruire insieme spazi di iniziativa e visibilità per tutti, per superare l’individualismo e il clericalismo, e mostrare la forza della comunità. È il primato della sinodalità.
Non da ultima, in tempi di radicalizzazione ideologica, l’unità ecclesiale è una priorità fondamentale per la pratica e la testimonianza cristiana in rete. Anche se le piattaforme orientano determinati comportamenti sulla base di un meccanismo di nicchia, che disprezza e disattende aspetti non programmabili da algoritmi, un evangelizzatore digitale è chiamato a praticare l’accoglienza e a vivere in armonia con tutti, senza escludere, silenziare o rendere invisibile nessuno, contribuendo alla comunione ecclesiale e alla pace sociale. Occorre quindi combattere davvero la logica delle reti che sono incoerenti con la proposta del Vangelo e che possono provocare una sorta di «martirio digitale», cioè la croce dei fallimenti, quella senza like, followers e gloria.
Dopo più di 2000 anni, quindi, la sfida continua a essere quella di gettare le reti in acque (molto) più profonde (cfr Lc 5,4). E, nel cammino della sinodalità ci sono ancora molti passi da compiere affinché la giusta missione sia svolta nel giusto Nome.
Copyright © La Civiltà Cattolica 2024
Riproduzione riservata
***
[1]. Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium (EG) sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, 2013, n. 20.
[2]. Id., Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro, Messaggio per la XLVIII Giornata mondiale delle comunicazioni sociali 2014, 1° giugno 2014.
[3]. Cfr La Chiesa ti ascolta, report del Sinodo sul digitale realizzato con 244 influencer da tutto il mondo.
[4]. Cfr Segreteria generale del Sinodo dei vescovi, Una Chiesa sinodale in missione, Relazione di Sintesi della prima sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, 28 ottobre 2023 (www.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2023/10/28/0751/01653.html).
[5]. Francesco, Lettera del Santo Padre all’em.mo cardinale Mario Grech, 14 marzo 2024.
[6]. Cfr M. Sbardelotto, E o Verbo se fez rede. Religiosidades em reconstrução no ambiente digital, São Paulo, Paulinas, 2017.
[7]. Cfr Id., «L’assemblea in rete e la mediamorfosi della fede», in Rivista di Pastorale Liturgica 50 (2012/6) 47-51,
[8]. Cfr RdS 17l – 17m.
[9]. Segreteria generale del Sinodo dei vescovi, Gruppi di studio su questioni emerse nella prima sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi da approfondire in collaborazione con i Dicasteri della Curia romana, 14 marzo 2024, n. 3 (press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2024/03/14/0212/00454.html).
[10]. Francesco, «“Siamo membra gli uni degli altri” (Ef 4,25). Dalle “social network communities” alla comunità umana». Messaggio per la LIII Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 2 giugno 2019.
[11]. Ivi.
[12]. A. Spadaro, Cyberteologia. Pensare il cristianesimo al tempo della rete, Milano, Vita e Pensiero, 2012, 65.
[13]. Gruppi di studio su questioni emerse nella prima sessione, n. 3. Cfr RdS 17j.
[14]. x.com/Pontifex_it/status/1035127494481870849
[15]. Francesco, Parole al pranzo di solidarietà con i poveri, i rifugiati, i detenuti, Bologna, Basilica di S. Petronio, 1° ottobre 2017.
[16]. Gruppi di studio su questioni emerse nella Prima Sessione, n. 3. Cfr RdS 17j.
[17]. Gruppi di studio su questioni emerse nella prima sessione, n. 3; cfr RdS 17d.
[18]. Ivi; cfr RdS 17k.
[19]. Cfr B. Franguelli, «The presence of priests in Social Networks: The case of Brazil», in P. Lah, Navigating Hyperspace: A Comparative Analysis of Priests’ Use of Facebook, Eugene, OR, Resource Publications, 2021.
[20]. Cfr F. F. Medeiros et Al., Influenciadores digitais católicos: efeitos e perspectivas, São Paulo, Paulus Editora, 2024.
[21]. Ivi, 23.
[22]. Cfr S. Turkle, Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri, Torino, Einaudi, 2019.
[23]. Dicastero per la Comunicazione, Verso una piena presenza. Riflessione pastorale sul coinvolgimento con i social media, 28 maggio 2023, n. 76 (www.vatican.va/roman_curia/dpc/documents/20230528_dpc-verso-piena-presenza_it.html).
[24]. A. Matteo, Pastorale 4.0. Eclissi dell’adulto e trasmissione della fede alle nuove generazioni, Milano, Àncora, 2020.
[25]. Dicastero per la Comunicazione, Verso una piena presenza…, cit., n. 79.
[26]. Cfr F. Medeiros et Al., Influenciadores digitais católicos: efeitos e perspectivas, cit.
[27]. Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Ad gentes, n. 42.
[28]. A. S. Acutis – P. Rodari, Il segreto di mio figlio. Perché Carlo Acutis è considerato un santo, Casale Monferrato (Al), Piemme, 2021.