Da quando, nel 2016, il referendum sulla Brexit vinse di stretta misura, il Regno Unito (RU) è immerso in una crisi profonda. Ogni nuovo primo ministro dura di meno e sembra meno capace di risolvere i problemi. Addirittura, nell’ottobre 2022, lo Stato era sull’orlo di una crisi finanziaria, che è costata le dimissioni della prima ministra appena entrata in carica, Liz Truss.
Il suo successore, Rishi Sunak ha preso atto che il Regno Unito affrontava «una profonda crisi economica». Ha annunciato «decisioni difficili ma necessarie» per «sistemare» il disastro economico che gli era stato lasciato in carico. I problemi dei britannici stanno aumentando.
La crisi energetica è stringente, l’inflazione corre e i sindacati proclamano scioperi a tappeto, rivendicando incrementi salariali. Un nuovo «inverno dello scontento» incalza su un RU economicamente indebolito e politicamente polarizzato.
Come si spiega il caos economico e politico britannico? Che cosa ci si può aspettare dal nuovo governo? Questa crisi segna la fine dell’egemonia del Partito conservatore? Potrebbe portare a un dietrofront sulla Brexit? Sono le domande che qui prenderemo in considerazione.
Un periodo conservatore lungo e difficile
I Tories sono al potere dal 2010. Un lungo periodo, in particolare dalle elezioni del 2015 a questa parte, caratterizzato da crescente instabilità. Dopo quella vittoria elettorale, l’allora primo ministro David Cameron convocò, nel 2016, un referendum che avrebbe deciso sulla permanenza del RU nell’Unione europea. La sua intenzione era quella di neutralizzare gli euroscettici presenti nel suo partito, ma il leave ebbe la meglio.
Cameron si dimise e il partito si rivolse a Theresa May per gestire quella situazione: Brexit means Brexit. Ma il suo governo si impantanò sul tipo di Brexit da adottare, a causa delle battaglie interne tra le sue varie fazioni. Poiché in Parlamento non c’era la maggioranza sufficiente per imporre la sua visione, May si vide obbligata a indire nuove elezioni nel 2017…