
«Osservare l’acqua è un’arte», dice Mencio (372-289 a.C.), allievo del nipote di Confucio. E chiarisce cosa intende con questo: «Confucio scalò il Monte d’Oriente e [lo Stato di] Lu divenne piccolo; scalò il Taishan e il mondo divenne piccolo. Così, per chi ha contemplato il mare, è difficile far caso ai fiumi; per chi ha viaggiato per studiare sotto la guida di un saggio, è difficile far caso ai discorsi. Osservare l’acqua è un’arte; bisogna osservare le sue ondulazioni: quando il sole e la luna brillano, i raggi che esse ricevono le penetrano inevitabilmente. L’acqua che scorre è così: non può avanzare senza prima colmare i fossi. Quanto alla via perseguita dall’uomo buono, se non si compie a ogni tappa, non può venire alla luce[1]» (Mencio 7A24).
All’inizio del paragrafo, impegnarsi nella via dello studio significa partire, viaggiare, scalare, imparare così ad apprezzare la vera grandezza e a giudicare il resto in rapporto al punto di vista più ampio. Alla fine, viene detto che intraprendere la via dello studio consiste in un lavoro sotterraneo, che non lascia nulla da parte, che percorre ogni tappa piuttosto che avanzare troppo velocemente, che penetra nelle profondità e, quando tutto è colmo e
Contenuto riservato agli abbonati
Vuoi continuare a leggere questo contenuto?
Clicca quioppure
Acquista il quadernoAbbonati
Per leggere questo contenuto devi essere abbonato a La Civiltà Cattolica. Scegli subito tra i nostri abbonamenti quello che fa al caso tuo.
Scegli l'abbonamento