Abbiamo già trattato in un articolo precedente l’antropologia del lavoro contemporaneo[1]. Ora riprendiamo le considerazioni di un gruppo di riflessione sulla dimensione umana del lavoro, che ne esaminava l’inserimento nel contesto economico, ecologico e sociale: se è vero che il lavoro ha lo scopo di prendersi cura della natura e della società, è anche vero che questa cura deve valere anche per il lavoratore[2]. Il lavoro talvolta è costrittivo, come ricordava l’articolo precedente, evocando, accanto ai suoi eccessi, il ruolo positivo della compliance («conformità» a leggi, decreti, regole, procedure, protocolli e titoli). Non c’è infatti bisogno di Socrate per capire che sottomettersi agli standard non è un atto privo di significato. A patto, naturalmente, che non si tratti di un effetto automatico, perché la «conformità» va alimentata con un ingrediente essenziale: la speranza di una gestione più equa delle attività e dei rapporti tra le parti interessate. È questo che dà senso al lavoro, sia per i dirigenti sia per i dipendenti, ed è anche la condizione previa al manifestarsi della spiritualità del lavoro. Il lavoro che non ha senso, che è mera identificazione con una procedura o è meccanica sottomissione alla norma, non può in alcun modo essere umanizzante per il lavoratore. Ciò che è meccanico è inumano.
In questo articolo, coinvolgendo le tre dimensioni – economica, ecologica e sociale – richiamate nell’articolo precedente, consideriamo il lavoro – contro l’opinione più comune, in effetti – come una realtà spirituale. Che cosa significa «realtà spirituale?». La domanda è insidiosa. La nostra cultura individualistica fa vagare la spiritualità da qualche parte tra la battuta spiritosa e l’esperienza religiosa personale, tra la coscienza intima e le sostanze alcoliche che trascinano l’immaginazione in universi psichedelici, all’estasi individuale pseudomistica, alcolica o persino erotica. In altre parole, la spiritualità è, agli occhi dei nostri contemporanei, un miscuglio di significati, sentimenti e sensazioni.
Il lavoro alla ricerca di senso
La spiritualità, come ricerca di trascendenza, di fatto, è provocata dall’incontro, talvolta violento, con gli altri. Noi pensiamo mentre ci scontriamo, osservava Paul Valéry. Preghiamo dal momento in cui la presenza di un altro al quale possiamo rivolgerci, e che non è un mero prolungamento di noi stessi, si impone alla nostra coscienza. Ogni spiritualità rivela una distanza, una tensione o un desiderio di colmare un vuoto che è un’aspirazione – mai pienamente realizzata – al riconoscimento. Certo, resta la tentazione di accontentarsi di una tensione
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