
Negli ultimi quarant’anni, la ricerca scientifica sulla comunicazione ha accordato un’attenzione sempre maggiore alla religione. All’origine dei primi studi in questo settore, che risalgono agli anni Ottanta del secolo scorso negli Stati Uniti, si trovava il fenomeno della «chiesa elettronica» (o telepredicazione), in forte crescita da quando la disponibilità sempre più ampia di canali televisivi via cavo aveva indotto molti predicatori evangelici a rivolgersi a tale strumento per offrire i propri servizi religiosi. Ma di fatto le Chiese cristiane, così come altri gruppi religiosi, avevano abbracciato quegli strumenti di comunicazione fin dal loro sorgere: negli anni Trenta la Bbc e altre emittenti nazionali producevano programmi religiosi domenicali; il Vaticano lanciò la Radio Vaticana sotto la supervisione di Guglielmo Marconi; la Commissione federale per le comunicazioni degli Stati Uniti chiedeva alle emittenti di concedere spazi gratuiti alle Chiese; predicatori come il vescovo Fulton Sheen e Dwight Moody contavano ascoltatori dappertutto negli Stati Uniti. Eppure tutti questi sintomi di vitalità avevano attirato scarso interesse da parte di coloro che si dedicavano al settore, ancora nascente, della ricerca sulla comunicazione.
Con l’avvento della «chiesa elettronica» le cose sono cambiate. Si è risvegliato un interesse che possiamo spiegare in base a diversi fattori. In primo
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