
Ricordare tutto: un ideale desiderabile?
Poter ricordare ciò che si conosce e vive è un aspetto fondamentale della vita. Sappiamo quanto siano invalidanti le malattie della mente e l’indebolimento della memoria che in genere caratterizza l’ultima parte della vita. La difficoltà a ricordare rimane uno dei problemi con i quali maggiormente ci si scontra nella quotidianità: anni faticosamente impiegati per raggiungere un titolo di studio, per la professione, le letture di svago, numeri di telefono, persone e avvenimenti sembrano dissolversi e con facilità essere dimenticati. E la crescente abbondanza di possibilità non sembra aiutare la memorizzazione.
Joshua Foer, nel suo L’ arte di ricordare tutto, nota come il passaggio dalla lettura «intensiva» (leggere e rileggere più volte lo stesso testo) a quella «estensiva» (leggere una volta sola più libri) abbia avuto notevoli ripercussioni sulla memoria. E compie un bilancio sconfortante, nel quale ci si può riconoscere con facilità: «Quando finisco un libro, che cosa m’aspetto di ricordare di lì a un anno? Se è un saggio, perlomeno la tesi che propone, ammesso che ne abbia una […]. Se è un testo di narrativa, la trama a grandi linee, qualche informazione sui personaggi principali e un giudizio complessivo. Ma è probabile che anche queste quattro informazioni striminzite svaniscano in fretta. Ogni volta che alzo lo sguardo sui libri che hanno risucchiato una marea delle mie ore di veglia mi prende lo sconforto. Di Cent’anni di solitudine ricordo soltanto il suo realismo magico e quanto mi fosse piaciuto, tutto qui. Non saprei neanche dire quando l’ho letto. Di Cime tempestose mi sono rimaste due cose: di averlo letto al liceo durante le lezioni di inglese e che uno dei personaggi si chiamava Heathcliff. Ma non ricordo nemmeno se mi sia piaciuto […]. Leggiamo, leggiamo, leggiamo e dimentichiamo, dimentichiamo, dimentichiamo. Allora perché darsi tanta pena?»[1].
Ma ricordare tutto, al di là della sua realizzabilità, è davvero un ideale auspicabile?
Un racconto di Borges
Questo problema ha trovato una felice espressione letteraria in un famoso racconto di Jorge Luis Borges, Funes, o della memoria. Il protagonista, Funes, in seguito a un incidente, perde la capacità di dimenticare, e così ogni dettaglio rimane impresso nella sua mente. Tuttavia questo cambiamento non è un vantaggio per lui, ma piuttosto una maledizione. Funes è diventato una sorta di registratore vivente; prestando attenzione a ogni cosa, non riesce più a dormire – «Dormire è distrarsi dal mondo», precisa Borges – e
Contenuto riservato agli abbonati
Vuoi continuare a leggere questo contenuto?
Clicca quioppure
Acquista il quaderno cartaceoAbbonati
Per leggere questo contenuto devi essere abbonato a La Civiltà Cattolica. Scegli subito tra i nostri abbonamenti quello che fa al caso tuo.
Scegli l'abbonamento