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Cultura e società

L’invisibile

El invisible

José Luis Blanco Vega

4 Luglio 2020

Quaderno 4081

(Renato Guttuso)

José Luis Blanco Vega (1928-2005), gesuita asturiano, ha unito la docenza di Letteratura spagnola alla vocazione poetica. Il poemetto che pubblichiamo è tratto dalla raccolta …Y tengo amor a lo visible. Persona molto riservata e umile, José Luis solo alla fine della sua vita ha permesso che le sue composizioni venissero pubblicate. Il testo che presentiamo è la rievocazione dell’Esodo in termini che accendono i sensi dell’immaginazione e rendono palpabile l’evento e viva la presenza del Dio invisibile, che «del deserto fa pane e della luce una bevanda pura». La traduzione italiana è di Giuseppe Romano.

***

Loro avevano visto da vicino
gli dei di terribile bellezza,
capaci di sciogliere la terra,
di promuoverne i visceri
a vino e pane, ai legumi lieti
che poi si spartivano nelle cucine d’Egitto.

Oh, come scordare che quegli dei dimorano
nei luoghi fecondi, nel limo dei fiumi,
nell’erba intrisa, nel ventre dei campi,
e vegliano attenti le sponde dell’acqua
che giunga fino al sonno del grano
e corrono alacri e fertili
tra i greggi di pecore e capre,
di tori e di vacche copulanti al sole
come se unissero i poli della terra?

Ma a loro imposero la fuga notturna
dalle porte marchiate con fregi di sangue,
mentre l’angelo del Signore appariva nei coltelli
dell’ultima cena dei primogeniti.

Quando giunse l’alba
e videro che luogo attraversavano,
la sabbia dove la luna aveva dormito
cocente a mezzogiorno,
allora Israele gridò e si ricordò degli dei
dotati di faccia, o testa di cane
o seni numerosi, corna taurine
(così si poteva riconoscerli)
e si misero a reclamare un dio a portata d’occhio
in modo da eventualmente colpirlo
o montargli sulle spalle
o perquisirlo per rubargli un raccolto.

Mosè aveva detto loro: il nostro dio non beve,
non spezza il pane, non gradisce il grasso del bue
che stilla sulle braci,
perché è invisibile,
del deserto fa pane
e della luce una bevanda pura.

E il popolo fece stridere i denti,
si tappò le orecchie.
Fu allora che consegnarono al fuoco i bracciali,
i piccoli anelli, le collane di pepite d’oro;
tutto a bruciare nella storta rovente
per forgiare il toro, l’animale sicuro,
e il popolo ballò festoso
intorno a un dio riconoscibile.
Credettero che i suoi occhi dorati
scrutassero i confini del deserto,
che le sue gambe li avrebbero aiutati a varcarlo
e che il suo sesso avrebbe impregnato la sabbia
finché scoppiasse in pani e grappoli.
Al mattino Mosè tornò dal monte
e l’accampamento dormiva sotto l’idolo.
Si destavano ebbri,
si guardavano storditi dal vino
e puntavano le dita verso il toro
solitario nel centro del bivacco.

Non si erano mossi di un millimetro.
Non era cambiato niente. Sfrigolava la sabbia rossa,
nessun prodigio moltiplicò la farina degli orci,
l’olio non si effuse come un silenzio gentile,
né l’acqua si accostò alle tende
a chiamarli per nome.

Fu allora che Mosè gridò, alzò il braccio
verso la luce che cresceva implacabile,
la luce pronta a divorare il popolo
con inclemenza folgorante.

Ah, tornava il dio invisibile, l’assenza fragorosa
a stendere il deserto come un mantello,
e a uno a uno sarebbero caduti, finché la sabbia
fosse coperta di ossami biancheggianti.

Soltanto alcuni raggiunsero la fine del deserto,
piantarono limoneti, aranceti,
ebbero figli e figlie
e dissero loro:

— Rendiamo grazie
a colui che non ha volto,
a colui che non ha mani,
a colui che non ha piedi,
a colui che la pioggia non bagna
e che il fuoco non brucia…

(Era una lista lunga,
fino a svestire Dio di tutto l’uomo)

E i bambini sbucciavano le arance,
bevevano acqua e limone, mangiavano
pane di frumento
e dicevano: Amen.

Qualcuno degli anziani, a un tratto, pensieroso
ricordava un tempo
in cui molti morivano chiedendo
del volto di Dio.

***

Ellos habían visto de cerca
los dioses de hermosura terrible,
capaces de explicar la tierra,
de promover sus entrañas
a vino y pan, a las alegres legumbres
que luego se repartían por las cocinas de Egipto.

Oh, ¿cómo olvidar que esos dioses habitan
los lugares fecundos, los légamos del río,
los herbazales húmedos, el vientre de los campos,
y vigilan laboriosamente las orillas del agua
para hacerla llegar al sueño de los trigos
y se mueven ardorosamente fértiles
entre los rebaños de cabras y ovejas,
de toros y de vacas que copulan al sol
como si se juntaran los polos de la tierra?

Pero a ellos les obligaron a salir de noche
por las puertas marcadas con pinturas de sangre,
mientras el ángel del Señor se aparecía en los cuchillos
de la última cena de los primogénitos.

Cuando llegó el amanecer
y vieron el lugar que atravesaban,
la arena donde la luna había dormido,
abrasadora a mediodía,
gritó Israel y se acordó de los dioses
que daban la cara, o la cabeza de perro
o sus múltiples tetas o su cornamenta de toro
– así eran reconocibles –
y comenzaron a reclamar un dios al que mirar de cerca
para poder golpearle si fuera preciso
o encaramarse a sus espaldas
o registrar sus vestidos para robarle una cosecha.

Moisés les había dicho: nuestro dios no bebe,
no parte el pan, no se alegra con la grasa del buey
que gotea sobre las brasas,
pues el que es invisible,
del desierto hace un pan
y de la luz una bebida pura.

Y el pueblo rechinó los dientes,
se tapó los oídos.
Fue entonces cuando pusieron al fuego sus ajorcas,
sus pequeños anillos, sus collares con pepitas de oro;
todo hirvió en la retorta candente
para forjar el toro, el animal seguro,
y el pueblo bailó de alegría
en torno a un dios reconocible.
Creyeron que sus ojos dorados
abarcaban las lindes del desierto,
que sus patas les ayudarían a cruzarlo
y que su sexo preñaría la arena
hasta que reventara en panes y racimos.

Al amanecer volvió Moisés del monte
y el campamento dormía bajo el ídolo.
Despertaban borrachos,
se miraban bajo el estupor del vino
y apuntaban con los dedos al toro
solitario en mitad del campamento.

No se habían movido una pulgada.
Nada había cambiado. Crujía la arena roja,
ningún prodigio multiplicó la harina de las ollas,
no se extendió el aceite como un silencio hermoso,
ni el agua se acercó a las tiendas
para llamarles por sus nombres.

Gritó entonces Moisés, alzó su brazo
y señaló la luz que crecía implacable,
la luz dispuesta a devorar al pueblo
con inclemencia fulgurante.

Ay, volvía el dios invisible, la ausencia atronadora
a extender el desierto como un mantel,
y uno a uno irían cayendo hasta dejar la arena
cubierta de osamentas blanquecinas.

Sólo algunos llegaron al final del desierto,
plantaron limoneros y naranjos,
tuvieron hijos e hijas,
y a éstos les dijeron:

— Demos gracias
al que no tiene cara,
al que no tiene manos,
al que no tiene pies,
al que no se moja con la lluvia
ni se quema con el fuego…

(Era una lista larga,
hasta desnudar a Dios del hombre entero)

Y los niños pelaban las naranjas,
bebían agua de limón, comían pan de trigo
y decían: Amén.

Alguno de los mayores quedaba de pronto absorto
y recordaba un tiempo
en que muchos morían preguntando
por la cara de Dios.

***

THE INVISIBLE

The Asturian Jesuit, José Luis Blanco Vega (1928-2005), combined the teaching of Spanish Literature with a poetic vocation. The poem published here is taken from the collection …Y tengo amor a lo visible. A very reserved and humble person, it was only at the end of his life did he allow his compositions to be published. The text that we present here is a re-enactment of the Exodus in terms that light up the senses of the imagination and make the event palpable and the presence of the invisible God alive, who “of the desert makes bread and light a pure drink”.

Non è disponibile la versione digitale di questo articolo, è possibile leggerlo solo nella versione cartacea o e-book


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L’invisibile

José Luis Blanco Vega


4 Luglio 2020

Quaderno 4081

  • pag. 52 - 59
  • Anno 2020
  • Volume III

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