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In un incontro con papa Francesco, una vittima di abusi sessuali ebbe a dire con profonda tristezza e disperazione: «Gesù aveva vicino sua madre, quando ha affrontato la sofferenza ed è morto. Mia madre, la Chiesa, invece mi ha lasciato da solo nel momento del mio dolore». Già solo in questa frase si può scorgere quanto sia orribile un abuso, e in particolare che cosa significhi l’abuso sessuale sui minori nella Chiesa, e come debbano cambiare atteggiamento la Chiesa e coloro che in essa detengono posizioni di responsabilità.
Qui entra in gioco la componente religioso-spirituale, che assume un significato particolare quando l’abuso è compiuto da un uomo di Chiesa. Se qualcuno viene abusato dal padre, vi è sempre un altro a cui può rivolgersi per chiedere aiuto: Dio. Se però è un sacerdote a compiere l’abuso, uno che per via del suo stesso ufficio rappresenta Dio e del quale la teologia dice che è alter Christus, allora l’immagine di Dio viene a oscurarsi e si può cadere in una tenebra e in una solitudine abissale. Ciò è possibile anche se l’abuso non è compiuto da un uomo di Chiesa, ma qui assume una dimensione qualitativa diversa e grave, soprattutto per coloro per i quali la fede, la liturgia e la relazione con Dio sono realtà importanti. Per molti così viene compromessa o persino interrotta la possibilità di una vita di fede e la fiducia stessa in Dio.
Le vittime: la loro prospettiva e la loro sofferenza
Non di rado coloro che hanno dovuto subire sofferenze indicibili a opera di rappresentanti della Chiesa e denunciano il fatto e vogliono essere ascoltati, vengono respinti, o si rimprovera loro di essere dei sobillatori che farebbero meglio a tacere. Anche in questo caso diventa molto grave il pericolo di un trauma spirituale, «accanto» a quello psichico e fisico. La portata di tutto questo non sembra essere chiara a molti nella Chiesa, e anche a coloro che vi occupano posti di responsabilità. Si suppone che soprattutto coloro che per il loro ministero annunciano il Vangelo dovrebbero comprendere quanto determinati eventi della vita – in questo caso un trauma grave – possano pesare sul nucleo più intimo della spiritualità di un credente. È sorprendente invece constatare quanto poco ciò avvenga. Ma questo forse spiega anche perché alcuni vescovi e superiori religiosi prestino maggiore attenzione alle implicazioni politiche, giuridiche e psicologiche degli abusi che non agli aspetti spirituali o teologici.
Non meraviglia perciò che le vittime considerino la Chiesa, nella sua reazione alla denuncia di un abuso, più come un’istituzione preoccupata di se stessa che non «come una madre amorevole» (così inizia significativamente il motu proprio di papa Francesco con il quale egli sollecita vescovi e superiori religiosi ad assumere le proprie responsabilità nello scoprire e nell’impedire gli abusi).
La Chiesa: santa e peccatrice
La Chiesa è stata fondata e incaricata dal suo Signore Gesù Cristo di annunciare questa buona notizia: Dio ama gli uomini, è misericordioso e fa di tutto per salvarli, e nel suo Figlio dà persino la sua vita per loro. Una quantità immensa di persone negli ultimi 2000 anni ha assolto a questo compito e ha contribuito a far sì che la Chiesa fosse un meraviglioso sacramento di salvezza per i poveri, i malati e coloro che sono particolarmente vulnerabili. Ma nello stesso tempo bisogna anche dire che vi sono sempre state nella Chiesa persone che hanno fatto esattamente il contrario di ciò che loro stessi, la Chiesa e Gesù hanno annunciato. Non invano i Papi di questi ultimi decenni hanno chiesto ripetutamente e fermamente perdono per i peccati e i delitti compiuti da uomini di Chiesa.
Il ritorno: tendere e appellarsi a Cristo
Affrontare l’argomento dell’abuso sessuale sui minori da parte di un sacerdote significa sperimentare qualcosa di sconvolgente e straziante. Parliamo di sesso e violenza, di un abuso della fiducia, di vite rovinate e di ipocrisia. E tutto questo in seno alla Chiesa. Quando si tenta di aggirare o di procrastinare questi problemi, si mette in atto un istinto di conservazione individuale e istituzionale. Tuttavia non solo la psicologia moderna, ma già lo stesso Gesù, e molti maestri spirituali dopo di lui, hanno insegnato quanto siano imprevedibili e tragiche le conseguenze della rimozione: chi non affronta il lato oscuro di sé, prima o poi vi si scontra ancor più violentemente. Il film Spotlight, in cui si stigmatizza il fatto che per decenni siano stati occultati abusi compiuti da sacerdoti, descrive molto bene questo meccanismo.
Bisogna tener presente che gli abusi di ecclesiastici sui minori avvengono ovunque nel mondo[1]. Anche se per molti luoghi non sono disponibili dati, dall’atteggiamento assunto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede – l’organo che nella Chiesa istituisce i processi penali contro i sacerdoti accusati – si può dedurre che questo genere di abusi avvenga in tutte le Chiese locali. Uno degli argomenti spesso usati sino ad oggi, e cioè che la violenza sessuale sui minori sia un problema della Chiesa decadente occidentale, è manifestamente falso e deviante. Distoglie l’attenzione dal fatto che vi sono chiaramente nella vita della Chiesa fattori che favoriscono l’abuso, oppure nascondono e impediscono la sua scoperta e la sua punizione. Proprio affrontando questo tema in una prospettiva globale si ha modo di percepire come la Chiesa cattolica sia una comunità religiosa diffusa in tutto il mondo, e infinitamente multiforme e stratificata, ma anche che nella prassi quotidiana presenti grandi affinità interne ed elementi immutabili[2].
Come detto, non è semplice affrontare apertamente così tanto male e così tanta sofferenza. E ciò vale soprattutto se non si è responsabili in prima persona. Ma ovunque nel mondo i sacerdoti e i vescovi vengono identificati con il bene e con il male, per quanto avviene nella Chiesa e per quello che fanno i loro confratelli. E in una misura ancora maggiore rispetto a quanto accada nella loro vita quotidiana, i sacerdoti vengono considerati rappresentanti di Cristo e della sua Chiesa, e lo sono effettivamente, in base a quanto si afferma di loro sul piano teologico. Quanto più si è lontani dalla Chiesa, tanto più la si immagina come un’entità uniforme e monolitica. Questo è il motivo per cui ogni abuso compiuto da un sacerdote ricade complessivamente su tutti i sacerdoti e sulla Chiesa.
I sacerdoti: il loro stato e la loro formazione
Il peso di un abuso compiuto da sacerdoti cattolici non riguarda evidentemente soltanto la funzione sacerdotale in se stessa, quella di essere mediatori e di possedere un potere spirituale e reale. Tutto questo si ritrova infatti più o meno nella stessa misura in tutte le confessioni religiose: nell’islam – si ricordino soltanto i dati spaventosi sugli abusi compiuti nelle madrase in Gran Bretagna – nel buddismo, nell’induismo, nell’ebraismo o nelle religioni naturali. Anche l’obbligo del celibato non è una caratteristica esclusiva della Chiesa cattolica di rito latino, perché anche in altre religioni vi sono sacerdoti, monaci e monache che vivono una vita celibataria[3]. A ben vedere, nessuno degli elementi che seguono è presente soltanto nella Chiesa cattolica o riservato ai suoi chierici.
Gestire la propria sessualità
Gestire la propria sessualità costituisce una sfida costante per ognuno. A molti sacerdoti che promettono di vivere nel celibato non viene offerto a sufficienza un valido sostegno umano e spirituale. Esso dovrebbe essere il risultato di un serio processo attitudinale che, attraverso un sistema modulare di unità formative, percorra i vari gradi di sviluppo fino a raggiungere un solido sostegno psicologico e spirituale dopo l’ordinazione sacerdotale.
Nonostante chiare ed eccellenti norme emanate per la formazione sacerdotale – ribadite ancora nella Ratio Fundamentalis, promulgata dalla Congregazione per il Clero l’8 dicembre 2016[4] –, nella maggior parte dei processi educativi dei futuri religiosi e dei futuri sacerdoti la formazione alla maturazione umana occupa ancora un posto secondario. Se si tiene presente che le crisi vocazionali in gran parte derivano dal fatto che ci si innamora e ci si accorge solo in un secondo momento – per propria ammissione, spesso per la prima volta – di desiderare una vita di coppia e una famiglia, non c’è da meravigliarsi che coloro a cui compete la responsabilità della formazione non investano energia e tempo laddove ce n’è più bisogno[5].
Nella psicologia del profondo si parla in questo caso di meccanismi di difesa costituiti dalla rimozione e dalla negazione di impulsi vitali. Su un piano spirituale si potrebbero chiamare acedia e inertia, negligenza e indolenza. Potremmo anche tentare di formulare la tesi che questo rifiuto, da parte dei responsabili, di prendere sul serio le esperienze spirituali e i processi umani, e di assumere le decisioni conseguenti, si trasferisce direttamente o indirettamente su coloro che stanno percorrendo il proprio cammino di formazione.
Con questi processi di rimozione si corre il rischio di porre in essere comportamenti di acting out relativamente a ciò che si respinge o si scredita, nel nostro caso il desiderio sessuale, commisto a molti altri bisogni non soddisfatti; ciò avviene opponendosi attivamente o passivamente a tutto ciò che riguarda questo argomento, oppure esprimendolo in maniera incontrollata, tra l’altro là dove ci si può attendere una minore opposizione: nel nostro caso, verso bambini o giovani.
La concezione del sacerdozio nella Chiesa cattolica
La maniera in cui si concepisce il ministero e il ruolo del sacerdote nella Chiesa cattolica contribuisce notevolmente a far sì che, quando sono dei sacerdoti ad abusare di minori, lo si scopra molto più tardi. In molte parti del mondo i sacerdoti sono ancora visti come irreprensibili messaggeri di Dio, ai quali è riservata una particolare forza, autorità e capacità di governo, derivata più o meno direttamente da Dio. Una simile immagine del sacerdote può condurre i fedeli a un’idealizzazione inviolabile, che rende difficile, quasi impossibile, criticare la sua figura o soltanto immaginare che egli possa compiere qualcosa di male.
Ciò spiega almeno in parte ciò che, dall’esterno della Chiesa, sembra inconcepibile. Coloro che subiscono abusi riferiscono spesso che, quando hanno avuto un contatto sessuale, sono loro, e non il sacerdote, a sentirsi cattivi e sporchi. Altri invece hanno vissuto l’attenzione fisica ed emotiva di un sacerdote come qualcosa che li ha resi straordinari, che li ha «innalzati nella sfera sacerdotale». Se si cerca una risposta al perché così tanti soggetti colpiti non siano stati in grado di far parola dell’abuso per anni e decenni, una delle spiegazioni consiste nel conflitto di coscienza e nell’insopprimibile dilemma tra il sentirsi vittima di un incontenibile atto di violenza e il peso enorme di dover attribuire questa crudeltà a un sacerdote. Bisogna osservare al riguardo che molte vittime di violenza sessuale erano vicine ai sacerdoti che hanno abusato di loro, perché ministranti, responsabili di gruppi giovanili o con loro in collegio. Spesso erano particolarmente solerti e pieni di fiducia: una fiducia di cui poi si è approfittato e che è stata distrutta.
Chi nella sua infanzia e nella gioventù, oppure da candidato al sacerdozio, ha imparato che un sacerdote è irreprensibile, può facilmente formarsi l’idea che egli non debba giustificarsi di fronte a nessuno. Chi è dotato di un potere sacro può prendersi quel che vuole. Una mentalità di questo genere può spiegare, almeno in parte, perché alcuni sacerdoti che hanno abusato di bambini e di giovani lo neghino, oppure si ritengano essi stessi vittime o solo complici («mi ha sedotto», «le è piaciuto») e spesso non lascino intravedere di capire la sofferenza che hanno causato.
In alcuni candidati al sacerdozio si constata che essi intendono il proprio stato di seminaristi o di sacerdoti come una «professione» nel senso abituale del termine; e quindi, finito l’orario di ufficio, «in privato» possono fare cose che non sono conciliabili con la propria vita sacerdotale. Sembra che costoro ambiscano ai privilegi, al potere e alla bellezza di quello stato, ma non siano disposti a pagarne il prezzo che il Vangelo richiede – povertà, castità, obbedienza – e, in sostanza, a perdere la vita a motivo di Gesù.
Mentalità da trincea
Infine, un altro ingrediente, di quella miscela tipicamente cattolica che rende possibile l’abuso e ne impedisce la scoperta, è un atteggiamento che possiamo definire «mentalità da trincea». Si vogliono risolvere le cose «all’interno», escludendo la dimensione pubblica, perché si teme per la propria reputazione o per quella dell’istituzione. Si dimentica così sia la sofferenza delle vittime (che devono essere tenute in silenzio) sia una legge dei media che afferma: «Prima o poi le cose si vengono a sapere. Prendi tu l’iniziativa, riconosci l’errore, scusati onestamente e sarai creduto».
Spesso qui entra in gioco anche un’interpretazione unilaterale del legame speciale e della responsabilità che unisce il vescovo ai suoi sacerdoti. Da un lato, non si considera che la «cura paterna» non implica soltanto perdono e misericordia, ma anche una giusta punizione. Dall’altro, interviene quello spirito di corpo a causa del quale i vescovi pensano anzitutto a proteggere la «propria» parte e non il bene dei deboli e dei bisognosi.
Accenniamo solo marginalmente al fatto che molti autori di abusi sono assai abili a cavarsela e anche a manipolare i propri superiori; e che questi ultimi sono troppo inclini a credere a ciò che si promette loro («non lo farò mai più») e usano quindi una (falsa) misericordia verso i colpevoli. Seguendo una logica ritenuta valida, non ci si procura aiuto competente dall’esterno, ma si ritiene di poter risolvere le cose con mezzi e strategie proprie. Ci si arrocca così nella propria trincea e si trascura il fatto che sono stati soprattutto i sistemi chiusi, come in Irlanda o negli ambienti cattolici dell’Australia o degli Stati Uniti, quelli in cui si sono verificati abusi con una frequenza e una durata spaventose.
Lo stesso vale per alcune di quelle Congregazioni religiose e nuove comunità spirituali che sono sorte prima o subito dopo il Vaticano II e che per molti anni, anche per via del numero relativamente alto di vocazioni, hanno dato grandi speranze alla Chiesa. Negli ultimi anni però si è dovuto constatare che in buona parte di questi gruppi religiosi – alcuni dei quali hanno assunto posizioni ecclesiali spiccatamente conservatrici, collegandole con forme tradizionali di liturgia e di teologia – si è giunti a praticare forme di abuso gravi e molteplici. Tra i casi più noti, i Legionari di Cristo (di fondazione messicana), la Communauté des Béatitudes (di fondazione francese), la Comunità Missionaria di Villaregia dell’Italia del Nord, il Sodalitium Christianae Vitae (soprattutto in Perù), come pure il gruppo che gravita attorno al sacerdote Fernando Karadima a Santiago del Cile.
Non si è trattato sempre di abusi su minori, ma di abusi sessuali su persone protette, come novizi e novizie o studenti. Con il pretesto del voto di obbedienza e di una rigorosa condotta religiosa, si sono create relazioni di dipendenza estreme, nelle quali si bandiva e si puniva ogni forma di critica. Non si sono osservate alcune norme fondamentali della tradizione spirituale, come la separazione tra il foro interno e il foro esterno, per non parlare dei casi di abuso del sacramento della confessione (sia violando il sigillo della confessione sia con la absolutio complicis, cioè l’assoluzione da parte del complice nella trasgressione del sesto comandamento).
A questo proposito bisognerebbe dedicare un intero capitolo alle personalità dei fondatori. Alcuni di loro, a causa di abusi sessuali, di irregolarità finanziarie e di casi di plagio, sono stati espulsi dalle proprie comunità e puniti con pene ecclesiastiche, fino alla scomunica. Spesso hanno potuto spadroneggiare per decenni su persone e opere, e nessuno ha osato mettere in discussione il loro potere assoluto e le loro rivendicazioni, cui veniva dato un fondamento spirituale. Poiché non funzionava alcun organo di controllo e non si era adottato alcun sistema di check and balance, potevano fare ciò che volevano.
Non tutte queste persone erano o sono sacerdoti, e ciò fa riemergere ancora di più la problematica di fondo: quando un ambiente (ecclesiale) si isola e scredita una comunicazione aperta oppure un adeguato processo di formazione e di sviluppo, il pericolo di abusi cresce in maniera esponenziale.
Anche strutture di governo poco chiare e confini gerarchici ambigui favoriscono le condizioni che rendono possibile un abuso. A questo aspetto ha fatto cenno, per esempio, il cosiddetto Deetman Report, in cui si descrivono i casi di abuso verificatisi nella Chiesa cattolica olandese. È sorprendente constatare quante questioni procedurali irrisolte abbia portato alla luce questo scandalo. Quando le responsabilità non sono ben definite, ognuno può lavarsene le mani.
Né la trincea né il caos sono pertanto opportuni. L’autorità e la guida di vescovi e superiori religiosi sono necessarie proprio quando si tratta di proteggere vite umane. E ad ogni modo il potere connesso al ruolo necessita di un controllo esterno e di una dedizione interiore, che fa comprendere veramente l’ufficio o la posizione che si occupa, nel senso che ha dato Gesù: «Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo» (Mt 23,11).
Per noi tutti: domande e compiti
In una società in cui uno dei valori più alti è la credibilità, la crisi provocata dagli abusi ci pone di fronte a domande decisive: siamo disposti a rivedere il nostro modo di essere Chiesa? Dobbiamo chiederci sino a che punto ci rifiutiamo di farlo, sino a che punto rimuoviamo l’ingiustizia e il male che si è commesso, sino a che punto riteniamo di poter tornare quanto prima al lavoro pastorale che ci è proprio dopo gli scandali, sino a che punto il nostro sguardo rimane rivolto a noi stessi e blocca la nostra energia e la nostra creatività apostolica. Papa Benedetto XVI, che con coerenza ha preso provvedimenti contro gli autori di abusi, anche di alto livello, con le sue dimissioni ha dato un esempio eccellente di come si possa gestire il potere (nella Chiesa). Papa Francesco non si stanca di stigmatizzare le malattie del clericalismo, del carrierismo e di una vita comoda, e di predicare un ritorno alla semplicità e all’immediatezza del Vangelo.
Se applichiamo queste considerazioni alla questione delle cause e degli effetti del trauma spirituale subìto da coloro che sono stati oggetto di abusi, risuonano alcune domande: come configurare oggi l’esercizio del potere in senso evangelico? Come possono completarsi tra loro gli uomini e le donne nel loro diverso modo di intendere e di trattare il potere? Cosa possiamo assimilare da ciò che in campo sociale ed economico viene definito corporate governance e compliance, per poter assumere nelle strutture ecclesiali una effettiva corresponsabilità e adottare meccanismi di controllo verificabili? Cosa è davvero proprio del nucleo del ministero sacerdotale e quanta parte del potere di guida, che viene esercitato dai sacerdoti nelle parrocchie e nelle altre istituzioni, potrebbe o dovrebbe essere demandato a dei collaboratori? Come si può esercitare sul piano individuale e comunitario il discernimento degli spiriti, quell’operazione impegnativa che aiuta a trovare una via plausibile tra la «trincea» e il «caos»? Come possono vescovi e superiori religiosi imparare a soppesare le decisioni e a prenderle al momento giusto? Come devono essere formati i futuri sacerdoti e i religiosi? Quanto si investe nella formazione di coloro che sono destinati a loro volta ad assumere responsabilità nel campo della formazione?
Già da qui si intravede quanto sia difficile, per coloro che hanno responsabilità nella Chiesa, ma anche per semplici fedeli, aver fiducia in Gesù e credere alle sue parole: «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Non è facile guardare in faccia alla verità pura e semplice. Richiede coraggio e la volontà di porsi di fronte alla realtà, per quanto sconvolgente e dolorosa possa essere. Sarebbe bene per i cristiani confidare più in Dio che in se stessi, proprio in tempi difficili e di fronte a fallimenti individuali e istituzionali.
In queste situazioni, chi apre occhi, mente e cuore può non solo conoscere ciò che riguarda se stesso e gli altri sul piano umano e spirituale, ma si apre anche alla grazia della conversione e del perdono, che è promessa a tutti coloro che confessano sinceramente le proprie mancanze. Ciò significa anche esporsi alla vergogna, allo sconforto, ai dubbi e alla diffidenza. Tutto questo non è facile da sopportare. Ma a chi è in grado di assumerlo su di sé, avendo fede nel salvatore Gesù Cristo, e trova sostegno nella comunità dei fedeli, viene promessa l’assistenza dello Spirito Santo.
Questo atteggiamento apre una via che, penetrando negli abissi umani e attraverso la «desolazione spirituale» (come direbbe sant’Ignazio), con l’aiuto della grazia può portare a un alleviamento e persino alla guarigione. Perché anche questo accade, e cioè che dopo dolori infiniti, sull’orlo della disperazione e del suicidio, dopo anni e decenni di depressione e di sofferenza, ci sono uomini che sono in grado di trovare una via che porta alla fonte della speranza e della vita. Costoro, che – si potrebbe dire – hanno attraversato l’inferno, sono testimoni credibili della forza della salvezza di Gesù Cristo. Molte persone che hanno fornito questa testimonianza di vita, sopportata con tremore e con il pericolo di ricadere nel trauma, hanno affermato in seguito di aver capito in maniera nuova il senso della passione, morte e risurrezione di Gesù.
La lotta contro gli abusi sessuali durerà ancora a lungo e bisogna perciò dire addio all’illusione che la semplice introduzione di regole o di linee guida ne sia la soluzione. Essa implica una conversione radicale e un atteggiamento deciso per rendere giustizia alle vittime e per la prevenzione totale. Il messaggio del Dio di Gesù Cristo è la fonte e la forza per questa attività e per questa riflessione continua sul nucleo del Vangelo. Perché Dio ama soprattutto i piccoli e i vulnerabili.
Certo, nessuno è in grado di sconfiggere definitivamente il male, neppure quello dell’abuso sui minori – sarebbe una presunzione fatale –, ma si può fare molto per ridurne il più possibile il rischio e aumentare la prevenzione[6]. Oggi nella Chiesa universale l’ago della bilancia tende a volgersi, lentamente ma con decisione, nella direzione giusta. Papa Francesco ha continuato e rafforzato la linea del suo predecessore, soprattutto con l’istituzione della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori. Egli ha creato così, a livello di Chiesa universale, le condizioni strutturali e materiali per poter accelerare con efficacia la tutela dell’infanzia in tutta quanta la Chiesa cattolica.
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SPIRITUAL WOUNDS CAUSED BY SEXUAL ABUSE
In addition to the deep wounds inflicted on the body and the psyche of victims of sexual abuse, there is also a spiritual trauma for these people. An abuse committed by a priests or a religious person, «represent God» obscures the very image of God in the victim. It is more or less a possible implication in the same form for all religious confessions, but in the Catholic Church it has special connotations. Traumatic, in this sense, can of course also be an attempt to silence the facts or to find a Church unwilling to listen to the victim. Thus, for many, the possibility of believing in God or of trusting in Him is compromised or even interrupted.
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[1]. Cfr B. Böhm – J. Fegert e al., «Child Sexual Abuse in the Context of the Roman Catholic Church. A Review of Literature from 1981-2013», in Journal of Child Sexual Abuse 23 (2014) 635-656.
[2]. Cfr C. J. Scicluna – H. Zollner e al., Verso la Guarigione e il Rinnovamento. Chiesa e abusi sessuali sui minori, Pontificia Università Gregoriana, 6-9 febbraio 2012.
[3]. Dai rilevamenti statistici dei due John-Jay-Report (Stati Uniti) e dai dati forniti in Australia dalla Royal Commission si ricava che gli abusi compiuti dal clero delle varie confessioni o comunità religiose, dalle guide spirituali musulmane e dai rabbini, tenendo conto delle dovute proporzioni, più o meno si equivalgono tra loro.
[4]. Cfr G. Cucci – H. Zollner, «Il nuovo documento sulla formazione sacerdotale», in Civ. Catt. 2017 II 61-75.
[5]. Si vedano al riguardo anche la ricerca sui casi di abuso commissionata dalla DBK (Deutsche Bischofskonferenz, Conferenza episcopale tedesca), e i primi dati di una serie di studi internazionali, condotti dal Centre for Children Protection della Pontificia Università Gregoriana.
[6]. Sulle condizioni e sulle possibilità di un lavoro di prevenzione, cfr S. Witte – B. Böhm et al., «E-Learning Curriculum “Prävention von sexuellem Kindesmissbrauch für pastorale Berufe. Forschungsergebnisse”», in Nervenheilkunde 34 (2015) 547-554; K. A. Fuchs – H. Zollner, «Prävention in der katholischen Kirche: Drei Beispiele aus der Praxis katholischer Institutionen», in J. Fegert – M. Wolff (eds), Sexueller Missbrauch in Institutionen: Entstehungsbedingungen, Prävention und Intervention, Weinheim – Basel, Beltz, 2015.