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La recente esortazione apostolica Amoris laetitia (AL)[1] tratta un tema complesso, difficile ma irrinunciabile, non solo per la Chiesa, ma per l’intera umanità, la cui vicenda «è popolata da famiglie, da generazioni, da storie di amore e di crisi familiari, fin dalla prima pagina, dove entra in scena la famiglia di Adamo ed Eva, con il suo carico di violenza ma anche con la forza della vita che continua (cfr Gen 4), fino all’ultima pagina, dove appaiono le nozze della Sposa e dell’Agnello (cfr Ap 21,2.9)» (AL 8).
Tra le molteplici questioni e problematiche affrontate nel documento, intendiamo soffermarci su un aspetto in particolare, che non è certamente di secondaria importanza: cosa può favorire, dal punto di vista psicologico, la stabilità e la durata di una coppia nel tempo? L’amore è solo questione di casualità, o di fortuna, alla base della magia e insieme delle delusioni più cocenti dell’esistenza, come fa rilevare la letteratura di ogni epoca? L’amore può durare nel tempo?
«E vissero a lungo felici e contenti»
Il musical The Fantasticks (1960), uno dei più grandi successi teatrali in assoluto, presenta una vicenda «classica», propria delle storie d’amore di tutti i tempi (come Romeo e Giulietta — riproposta in forma teatrale dalla altrettanto celebre commedia West Side Story —, Tristano e Isotta, Paolo e Francesca, Piramo e Tisbe). È la storia di due giovani innamorati che non possono frequentarsi a motivo del divieto delle rispettive famiglie; ciò nonostante, più alte sono le barriere erette dai genitori per impedire l’incontro, più il loro amore si rafforza e trova la forza per superarle. La relazione, paradossalmente, va in crisi proprio quando le difficoltà si appianano e le famiglie sono finalmente disposte ad approvarla.
Il successo di questa e di altre rappresentazioni è legato alla loro capacità di esprimere aspetti rilevanti dell’immaginario collettivo amoroso, nei suoi ideali come nelle paure. Non è un caso che la conclusione della vicenda sia per lo più tragica per la coppia (come in Romeo e Giulietta).
La letteratura, quando tratta il tema dell’amore, insiste per lo più sul suo inizio, l’innamoramento, fino alla faticosa conquista dell’amato/a, ma non ci dice mai che cosa consenta all’amore di durare nel tempo. La morte degli amanti, o il classico finale «e vissero a lungo felici e contenti», sono in fondo degli escamotages per non affrontare il problema più rilevante della vita di una coppia: la quotidianità, che può logorare anche l’amore più appassionato.
C’è chi ha fantasticato su cosa sarebbe accaduto se i due amanti della tragedia di Shakespeare si fossero invece sposati, trovandosi alle prese con la suocera, i calzini da rammendare, la fatica del lavoro, i capricci dei figli… La loro vicenda avrebbe certamente perso l’aura romantica e tragica che l’ha resa immortale: essi avrebbero vissuto fino in fondo la realtà del loro amore, con i problemi e la noia della vita quotidiana, da cui la morte prematura li aveva esonerati[2]. In questa prospettiva la vicenda perde indubbiamente gran parte del suo fascino.
La sfida della vita ordinaria
L’insegnamento che giunge da queste narrazioni è che quando ogni impedimento viene appianato e tutto diviene possibile, la passione sembra indebolirsi, fino a spegnersi. L’esortazione apostolica evidenzia piuttosto l’importanza di procrastinare nel tempo il desiderio, in forza di un progetto più grande, nel quale, oltre alla passione, sono presenti altri aspetti meno appariscenti, capaci di rendere la relazione più soddisfacente e stabile: «L’amore ha bisogno di tempo disponibile e gratuito, che metta altre cose in secondo piano. Ci vuole tempo per dialogare, per abbracciarsi senza fretta, per condividere progetti, per ascoltarsi, per guardarsi, per apprezzarsi, per rafforzare la relazione. A volte il problema è costituito dal ritmo frenetico della società, o dai tempi imposti dagli impegni lavorativi. Altre volte il problema è che il tempo che si passa insieme non ha qualità. Condividiamo solamente uno spazio fisico, ma senza prestare attenzione l’uno all’altro» (AL 224).
Volersi concedere tutto e subito indebolisce la relazione, perché ci si concentra su aspetti intensi, ma di breve durata (l’attrazione fisica, la passione), trascurandone altri, altrettanto decisivi. Essi però, per essere adeguatamente esplorati, richiedono un contesto di libertà e gratuità che la precoce intimità finisce per pregiudicare[3].
Questo sembra essere uno dei principali motivi per cui le coppie che arrivano al matrimonio dopo anni di convivenza hanno una probabilità di separazione, o di insoddisfazione circa il proprio matrimonio, molto più alta di coloro che iniziano a vivere insieme solo dopo essersi sposati. È quello che i ricercatori chiamano the cohabitation effect, precisando che il problema non è legato a presunte differenze individuali, di temperamento o di visione della vita, ma al fatto stesso di convivere[4]. La ricerca eccessiva di sicurezza indebolisce la relazione e la capacità progettuale. Shakespeare lo aveva espresso con una battuta folgorante nella tragedia Antonio e Cleopatra. A Cleopatra, che vorrebbe mettere alla prova l’amante («Se è veramente amore, ditemi quanto»), Antonio risponde: «Vi è miseria nell’amore che può essere valutato»[5]. L’amore muore quando si cerca di quantificarlo.
Anche la decisione di convivere rifiutando il matrimonio, o procrastinandolo a tempo indeterminato, rende più fragile il legame della coppia: la regola implicita è che ciascuno può andarsene quando vuole, associata alla paura che questo possa accadere molto presto. Tale timore finisce per diventare una profezia che si autoavvera. È noto, dal punto di vista psicologico, quanto la paura che un evento si realizzi contribuisca paradossalmente al suo realizzarsi. E infatti questo tipo di unione registra una percentuale di scioglimento del legame dieci volte superiore al matrimonio[6]. L’assunzione formale dell’impegno costituisce sempre un salto di qualità rispetto al cammino precedente, che non può essere programmato, anche perché gli elementi che sotto il profilo psicologico aiutano la durata della coppia non sono quelli a cui si dà solitamente peso nel momento iniziale della frequentazione.
A tutto ciò si devono aggiungere le difficoltà proprie della società borghese, che ha reso il matrimonio un costoso e stressante business, che scoraggia ulteriormente un simile passo: «La preparazione prossima al matrimonio tende a concentrarsi sugli inviti, i vestiti, la festa e gli innumerevoli dettagli che consumano tanto le risorse economiche quanto le energie e la gioia. I fidanzati arrivano sfiancati e sfiniti al matrimonio, invece di dedicare le migliori energie a prepararsi come coppia per il gran passo che faranno insieme. Questa mentalità si riscontra anche in alcune unioni di fatto, che non arrivano mai al matrimonio perché pensano a festeggiamenti troppo costosi, invece di dare priorità all’amore reciproco e alla sua formalizzazione davanti agli altri» (AL 212).
Di qui la sfida posta dall’esortazione, una sfida difficile ma indispensabile per la salute e la vita della famiglia, messa di fronte a molteplici proposte illusorie, ma anche estremamente attraenti: mettere in evidenza che cosa consente alla coppia di durare nel tempo, permettendo all’amore di attraversare le molteplici e diversificate fasi della vita.
La coppia come sistema
Un aspetto fondamentale messo in rilievo dalla riflessione psicologica, e per lo più disatteso, è di pensare la famiglia in termini di sistema in cui tutti i membri collaborano a plasmarne le caratteristiche, in modo attivo o passivo, influenzandosi reciprocamente. Considerare la dinamica di coppia all’interno di un sistema significa comprendere che la famiglia non è un agglomerato di individui, ma un tutto strutturato: c’è un di più, proprio dell’interazione, senza il quale non si capirebbero i comportamenti dei singoli. Si tratta dell’orizzonte di riferimento «dalla cui unione nascono conseguenze che non si riducono alla somma delle conseguenze degli elementi presi separatamente»[7]. In pratica, è come dire che nella relazione sistemica 1+1=3, dove il terzo elemento è il sistema, che dà identità e significato ai singoli componenti. Riconoscere questo salto qualitativo è indispensabile per intervenire in maniera efficace nelle problematiche della coppia, naturalmente qualora ne faccia richiesta.
Una prima conseguenza dell’approccio sistemico è che nella relazione si attua una causalità circolare. Ciascuno dei membri influenza l’altro, come può essere mostrato dal seguente schema:
A B
L’esistenza di un elemento nel sistema è dovuta all’esistenza dell’altro elemento. Ciò significa superare l’approccio causa/effetto, espresso dalle classiche domande: «Chi ha cominciato? Di chi è la colpa?». Chi ha iniziato per primo non ha importanza: nel contesto sistemico A è A perché B è B. Ognuno dà il suo contributo, collabora al risultato finale, mettendoci del suo, con le parole, con i gesti o con il silenzio.
Negli episodi di violenza domestica, per rifarsi a un esempio eclatante e drammaticamente in aumento, questo è molto presente. È stato studiato che chi ha subìto esperienze di violenza innesca quella che viene chiamata «coazione a ripetere», scegliendo di frequentare persone simili a quelle da cui aveva subìto abusi, o addirittura sposando la medesima persona da cui aveva subìto violenza[8]. In questi casi le persone non sono evidentemente consapevoli delle dinamiche in gioco, e tuttavia questi fattori influenzano pesantemente la relazione di coppia, soprattutto fino a quando le motivazioni effettive continueranno a rimanere inconsce. E infatti, finché tali dinamiche non vengono esplicitate, queste situazioni dolorose tendono a ripetersi anche in eventuali nuovi legami, quasi che la persona non sia in grado di imparare nulla dalle esperienze precedenti.
È bene tuttavia dissipare un equivoco frequente: pensare la relazione in termini di sistema, realizzato dal contributo di ciascuno, non significa scusare chi commette violenza o sostenere che la colpa è della vittima. Significa che la situazione potrà essere modificata nel momento in cui ciascuno dei membri comincia a riconoscere il proprio contributo, spezzando automatismi e passività che sono spesso il cuore del problema.
Il modello sistemico è stato elaborato negli anni Sessanta da S. Minuchin e applicato per oltre 50 anni in 26 Paesi di culture differenti, ritrovando similarità sorprendenti. E anche resistenze simili. La più frequente è quella dicotomica, sopra rilevata, di concentrarsi sul membro malato, il «capro espiatorio» responsabile del malessere familiare. La lettura sistemica ribalta la prospettiva: la problematica presentata dalla famiglia in realtà ne copre altre, più nascoste, ma anche più profonde. E difatti, quando il capro espiatorio migliora, il sistema si trova disorientato, perché emergono altri aspetti che rimettono in discussione il ruolo dei partecipanti.
Nel momento in cui il sistema accetta di essere ristrutturato, è possibile percorrere nuove strade, anche se più faticose e sconosciute: «La nostra posizione è che, per quanto le famiglie possano trovarsi cristallizzate in modelli interattivi distruttivi, sono le prospettive da loro adottate a limitare e, al tempo stesso, facilitare il loro modo di pensare e comportarsi; perciò siamo convinti che, per centrare l’obiettivo, dobbiamo considerare i membri di una famiglia non soltanto come attori, ma anche come autori delle loro stesse storie»[9].
In altre parole, l’elemento davvero decisivo per la qualità della relazione non è tanto il cosa, ma come l’avvenimento viene letto. Lo scopo è soprattutto quello di prendere criticamente le distanze da una maniera spontanea, ma anche distruttiva, di leggere la situazione in termini dicotomici, di buono/cattivo, restandone imprigionati. Una cosa, questa, ribadita con chiarezza dall’esortazione: «In ogni nuova tappa della vita matrimoniale, occorre sedersi e negoziare nuovamente gli accordi, in modo che non ci siano vincitori e vinti, ma che vincano entrambi. In casa le decisioni non si prendono unilateralmente, e i due condividono la responsabilità per la famiglia, ma ogni casa è unica e ogni sintesi matrimoniale è differente» (AL 220).
Che cosa aiuta la stabilità di una coppia?
Da qui l’attualità estrema delle questioni presenti nell’esortazione Amoris laetitia. Il Papa rileva una tendenza diffusa nelle coppie che può avere gravi conseguenze per la futura vita matrimoniale: «Purtroppo molti arrivano alle nozze senza conoscersi. Si sono solo divertiti insieme, hanno fatto esperienze insieme, ma non hanno affrontato la sfida di mostrare sé stessi e di imparare chi è realmente l’altro» (AL 210). È la situazione alla base della maggior parte delle storie d’amore «romantiche», dove la coppia si concentra su aspetti piacevoli e attraenti, ma di breve durata, senza fare attenzione ad altri meno appariscenti, che si rivelano però fondamentali per il futuro.
Tali aspetti sono stati evidenziati da chi ha studiato la vita della coppia dal punto di vista psicologico. In una ricerca compiuta su coppie di giovani e adulti di età compresa tra i 17 e i 69 anni, si è notata la presenza di dieci abilità fondamentali, la cui importanza emerge in maniera differente nel corso del tempo. Esse possono aiutarci a leggere la possibile identità e sviluppo della relazione, le sue aspettative e le sue derive[10].
L’importanza di questa rilevazione è confermata dal fatto che, nel corso del tempo, gli elementi più appariscenti della prima fase della vita di coppia (aspetto fisico, attrattiva, piacere, intesa sessuale) tendono a decadere e richiedono la presenza di altri parametri: i valori, la conoscenza e comprensione dell’altro, la religiosità, l’educazione dei figli, le necessità di tipo economico. Si tratta di aspetti che non trovano la dovuta attenzione nelle fasi iniziali, e rimangono marginali anche nel momento in cui si decide di sposarsi. La loro assenza si fa tuttavia sentire nel momento della crisi: la vita insieme conosce tappe differenti e richiede di rimotivare a più riprese la scelta compiuta[11].
Se tutto ciò all’inizio era facile e spontaneo, in seguito può diventare piuttosto frutto di decisione e di impegno. Il primo periodo, quando è soprattutto presente la bellezza e freschezza dell’incontro, è anche il più idoneo a esplorare altre dimensioni — come quelle sopra rilevate —, apparentemente marginali ma che si rivelano essere decisive per il tempo successivo. Essersi divertiti insieme è importante, ma non basta per conoscersi, e questa mancata conoscenza farà sentire i suoi effetti più avanti, quando la dimensione dell’intimità tenderà a diminuire e si richiederanno ulteriori basi capaci di cementare l’unione.
Per ragioni di spazio ci limitiamo a commentare l’abilità più rilevante per conservare in salute la coppia nel corso del tempo: l’ascolto come espressione di comunicazione intima.
Si tratta di un’abilità tanto fondamentale quanto impegnativa e rara a livello educativo: nelle scuole si insegna a leggere e a scrivere, a parlare in pubblico, ma quasi mai ad ascoltare. Eppure essa è indispensabile per la qualità delle relazioni: un ascolto attento, empatico, capace di accogliere, può portare a grandi risultati per conoscere e aiutare l’altro, condividendone i momenti più significativi. E questo non solo per la coppia. Chi è stato pesantemente segnato dalla vita, per malattia o handicap invalidanti, ha riconosciuto che il punto di svolta è stato l’incontro con persone capaci di ascolto attento e affettuoso, che ha consentito di cambiare radicalmente la maniera di vedere le cose[12].
Ascoltare è difficile, perché richiede forti motivazioni, in particolare la disponibilità a perdere tempo per l’altro/a. Gli impegni professionali non rappresentano un ostacolo, se si è costruita una relazione bella e appagante; essa è anzi di stimolo anche per svolgere al meglio le proprie attività: «Quando il successo del lavoro con il coniuge diventerà una necessità categorica quanto lo è il successo nella carriera, non si domanderà più: come si fa a trovare il tempo? Saprà come farlo. Questa è una cosa che le coppie felici comprendono perfettamente […]. Non possiamo riprenderci le serate passate con persone che non ci interessano o che non ci interessano tanto quanto la persona che amiamo, per riviverle con lei in maniera diversa. Le coppie felici sanno molto bene che tutto si gioca sull’“ora o mai più”»[13].
Il ruolo delle difficoltà nelle fasi successive della vita di coppia
Naturalmente si tratta di elementi circolari: più la relazione è soddisfacente e fondata sulla conoscenza effettiva dell’altro/a, più sarà facile trovare occasioni di incontro e apprezzamento della diversità dei punti di vista. In tal caso le difficoltà non saranno motivo di divisione, ma di sfida, che racchiude nuove possibili opportunità, contribuendo alla qualità e alla salute della coppia: «Se viviamo una relazione felice, tendiamo a sottolineare l’importanza degli aspetti positivi e a sminuire quella degli aspetti negativi, mentre, se la relazione ci fa sentire infelici, facciamo il contrario. Questa tendenza è importante, perché le emozioni e i comportamenti negativi sono predittivi del grado di soddisfazione più di quelli positivi — vale a dire che gli aspetti negativi hanno la capacità di distruggere una relazione più di quanto gli aspetti positivi siano in grado di salvarla»[14].
I conflitti sono parte della vita, e dunque anche della vita di coppia. Ma possono essere vissuti e affrontati in maniera differente a seconda di come vengono interpretati, soprattutto se alla base c’è il desiderio reciproco di venirsi incontro, inviando il messaggio che la relazione è più importante del problema. Una delle sfide più delicate a questo proposito è la capacità di notare la possibile diversità di valutazione delle azioni dell’altro/a. Quando commettiamo uno sbaglio, tendiamo a giustificarlo con motivazioni varie, per lo più involontarie (fretta, stanchezza, sbadataggine, superficialità). Quando invece subiamo un torto, capita tutto il contrario: esso tende a essere letto come un gesto grave, compiuto dall’altro in modo intenzionale.
Vedere l’altro/a in termini negativi, e se stessi positivamente, può avere conseguenze distruttive per la coppia: «Quando lo sguardo verso il coniuge è costantemente critico, questo indica che non si è assunto il matrimonio anche come un progetto da edificare insieme, con pazienza, comprensione, tolleranza e generosità. Questo fa sì che l’amore venga sostituito a poco a poco da uno sguardo inquisitore e implacabile, dal controllo dei meriti e dei diritti di ciascuno, dalle proteste, dalla competizione e dall’autodifesa» (AL 218).
A questo si deve aggiungere la differenza di valutazione propria della psicologia maschile e femminile. L’approccio femminile è più legato alla globalità e cerca, di fronte al problema, soprattutto una rassicurazione; l’uomo tende a concentrarsi sui dettagli e, in presenza di una difficoltà, si preoccupa di trovare una soluzione pratica[15]. Questa diversità presenta conseguenze notevoli anche sul piano della comunicazione. Gli uomini parlano solitamente uno alla volta, le donne tutte insieme, eppure entrambi comunicano. La capacità di fermarsi e trovare tempo insieme per rileggere il comune cammino di vita, esplicitando i criteri di lettura, risulta fondamentale di fronte alle difficoltà, perché abitua a lavorare sulla motivazione e sulla cooperazione, mettendo in conto diversità strutturali.
Il frutto più bello che può nascere da questa comprensione vicendevole è la capacità di perdonarsi. Presentando a un gruppo di persone situazioni offensive, di varia gravità, si è notato come la possibilità di perdonare aumentava quando si inserivano nel filmato in modo subliminale nomi di persone con cui si aveva una relazione affettiva, indipendentemente dal tipo di offesa subita. In altre parole, la vicinanza affettiva aiuta a perdonare.
Il perdono, anche se inizialmente difficile nel contesto coniugale, è di indubbio aiuto per la vita di coppia e rafforza il legame: «Un ampio sondaggio d’opinione realizzato negli Usa sul finire del secolo scorso ha documentato che i coniugi felicemente sposati da oltre un ventennio ritengono che il perdono sia tra i dieci fattori che più hanno contribuito alla durata e al benessere del loro matrimonio […]. Ciò è possibile perché il perdono porta sia la persona che lo concede sia quella che lo riceve a sviluppare atteggiamenti e comportamenti “prorelazionali”, cioè che non sono tanto a vantaggio del singolo quanto piuttosto della relazione in cui è coinvolto […]. Così i coniugi che si perdonano tendono a essere meno aggressivi gli uni nei confronti degli altri e a gestire più efficacemente i propri conflitti, adottando modalità comunicative più costruttive»[16].
Coltivare un atteggiamento prorelazionale significa entrare nell’ottica del bene più grande della coppia e della famiglia, superando le contrapposizioni individuali, che invece lo minano alla radice.
Il ruolo dei valori
Le abilità decisive per la relazione nel lungo periodo possono essere ricomprese nella più generale categoria dell’impegno. Più alto è il livello dell’impegno e della soddisfazione conseguita, maggiore è la consistenza della coppia nel corso del tempo[17]. Introdurre l’impegno nella relazione coniugale significa considerare l’amore in termini di affetto e non di emozione, intensa, ma di breve durata: l’affetto può esprimere il meglio di sé quando è unito alla conoscenza, alla volontà e ai valori che le ispirano.
Questo è il motivo per cui nel Vangelo l’amore viene presentato come un comandamento (cfr Gv 13,31-35); esso può scaturire da un impegno e una frequentazione voluti, dove si riscontra una somiglianza sugli aspetti della vita ritenuti fondamentali, perché li si è scoperti e coltivati anzitutto in se stessi.
L’amore può essere comandato: esso non disdegna l’uso dell’imperativo («Amami!»). È un imperativo unito alla valutazione e al sentimento, e spinge l’amato a compiere quanto è in suo potere, e che non potrebbe mai essere comandato da una legge. È quanto rileva con finezza F. Rosenzweig: «Si può comandare l’amore? […]. Il comandamento dell’amore può venire soltanto dalla bocca dell’amante. Solo l’amante (ma l’amante lo può realmente) può dire, e infatti dice: “Amami”. Sulla sua bocca il comandamento dell’amore non è un comandamento estraneo, ma non è altro che la voce stessa dell’amore. L’amore dell’amante non ha altra parola per esprimersi se non il comandamento […], l’“amami” dell’amante è espressione totalmente perfetta, purissimo linguaggio dell’amore»[18].
Si tratta evidentemente di un amore integrato, non limitato alla passione passeggera o a un mero atto di volontà: è l’espressione più bella e stabile dell’unione tra valutazione, affetto e decisione, fino al dono di sé. La capacità di integrare la dimensione affettiva e valutativa è fondamentale per le scelte di vita, per la fedeltà ad esse e la capacità di coinvolgersi in profondità, per amare e rimanere nell’amore, affrontando quanto possa rendere imprevedibile, frustrante, conflittuale e faticosa la scelta compiuta. Si ama l’altro/a non solo per la gratificazione che se ne può ricavare, ma perché è lui/lei, mostrando una fedeltà che supera il dato immediato dell’innamoramento o della simpatia superficiale, capace di perseverare in tali scelte, affrontando la durata e il logorio del tempo.
L’amore può essere la conseguenza di un impegno e di una decisione che gli consentono di durare nel corso degli anni. Queste sono d’altronde anche le caratteristiche dell’affetto che i figli chiedono ai propri genitori: che esso non sia a tempo, ma stabile, personale, unico. Senza un tale affetto, essi si sentono deprivati della loro infanzia e della capacità di dare fiducia, soprattutto di spendersi per qualcosa di bello.
Non si fugge dalla propria ombra
La perdita dell’intimità, inizialmente molto presente, è invece il primo segnale di una possibile crisi della coppia. Ciò accade quando si è spenta la tendenza a comunicare un aspetto di sé, allontanandosi sempre più dall’altro/a, che spesso se ne accorge troppo tardi. Il segreto resta così «insabbiato» e contribuisce a formare un fossato sempre più profondo nella relazione: «In una crisi non affrontata, quello che più si compromette è la comunicazione. In tal modo, a poco a poco, quella che era “la persona che amo” passa ad essere “chi mi accompagna sempre nella vita”, poi solo “il padre o la madre dei miei figli”, e alla fine un estraneo» (AL 233)[19].
Spesso si ritiene che, quando emerge la conflittualità, la soluzione migliore sia la separazione e la decisione di intraprendere nuovi legami. La vicenda successiva mostra invece che, se tali aspetti di sé e della mancata relazione con l’altro/a — quello che R. Weiss chiama lo script, la narrazione della perdita[20] — non sono stati esplorati e riletti (in particolare la «tendenza dicotomica» a leggere la storia della coppia in termini di colpevole/vittima), essi tendono a ripresentarsi nelle relazioni successive. È significativo che in molti casi la persona scelta presenti caratteristiche straordinariamente simili alla precedente: è quello che viene chiamato il «partner fotocopia», come nella vita sentimentale di personaggi famosi (tra cui R. Stewart, B. Willis)[21]. Al di là della rinomanza dei vip in questione, si tratta di un fenomeno sempre più frequente: si cerca in un’altra persona ciò che non si è riusciti a trovare in legami precedenti.
La mancata elaborazione del lutto di un rapporto fallimentare, liquidato con sbrigatività, porta a replicare il medesimo modello, ritrovando in breve le medesime dinamiche. Come notavano i Padri del deserto, non si può fuggire dalla propria ombra: quando si è condivisa un’intimità profonda, diviene sempre difficile sciogliere il legame. Non solo a motivo di eventuali figli o problematiche economiche da concordare (come la casa in cui si abitava o le spese per gli alimenti). L’introduzione del divorzio non ha risolto tali problematiche, perché in molti casi la coppia non è sposata, ma soprattutto perché il dissidio e la sofferenza interiore continuano anche una volta effettuata la separazione, ed è all’origine degli esiti tragici che, sempre più spesso, sanciscono la fine di una relazione.
La vera difficoltà che sta alla base di tali derive è che alla separazione legale non corrisponde quasi mai la separazione affettiva e psicologica, il vero aspetto del legame, che continua a essere presente nella rappresentazione interiore dell’altro/a, e di cui spesso i più deboli, in particolare i figli, sono chiamati a farsi carico, causando ulteriori sofferenze: «È irresponsabile rovinare l’immagine del padre o della madre con l’obiettivo di accaparrarsi l’affetto del figlio, per vendicarsi o per difendersi, perché questo danneggerà la vita interiore di quel bambino e provocherà ferite difficili da guarire» (AL 245). Chi coltiva questi atteggiamenti, punisce anzitutto se stesso, impedendosi di tornare a vivere.
Neppure la morte dell’altro/a può portare la tranquillità cercata: la sua presenza interiore permane e continua a inquietare chi è rimasto. Non ci si sente affatto liberati; al contrario, permane una tristezza sconosciuta a chi invece ha costruito una relazione felice. È un altro aspetto paradossale della vita di coppia: chi ha vissuto una relazione bella e appagante soffre meno la perdita del coniuge rispetto a chi aveva vissuto una relazione triste e conflittuale. In quest’ultimo caso sembra che emerga, insieme al dolore della perdita, anche il rimpianto di aver sprecato possibilità importanti della propria vita, che si sarebbero potute vivere diversamente[22].
Il ruolo della comunità
La dimensione dell’impegno nella vita di coppia è senza dubbio la più disattesa dall’immaginario culturale e affettivo delle nostre società. Si tratta di una deriva pericolosa per la salute della famiglia, ben rimarcata dalla Amoris laetitia. Papa Francesco rileva una tendenza spontanea che può diventare nociva per la coppia, lo smarrimento della sua dimensione pubblica: «Il piccolo nucleo familiare non dovrebbe isolarsi dalla famiglia allargata, dove ci sono i genitori, gli zii, i cugini ed anche i vicini. In tale famiglia larga ci possono essere alcuni che hanno bisogno di aiuto o almeno di compagnia e di gesti di affetto, o possono esserci grandi sofferenze che hanno bisogno di un conforto. L’individualismo di questi tempi a volte conduce a rinchiudersi nella sicurezza di un piccolo nido e a percepire gli altri come un pericolo molesto. Tuttavia, tale isolamento non offre più pace e felicità, ma chiude il cuore della famiglia e la priva dell’orizzonte ampio dell’esistenza» (AL 187). Alla base dell’impegno ci sono due aspetti essenziali: che esso sia concepito come non revocabile e la capacità di spendersi per questa fedeltà. In tal caso la scelta può diventare fonte di gioia e di soddisfazione, per sé e per l’altro[23].
La dimensione pubblica del matrimonio è stata ampiamente svalutata in Occidente, a motivo di una visione sostanzialmente romantica della vita di coppia, che ha fatto dell’emozione il suo fondamento. L’amore romantico ha avuto certamente il pregio di rivalutare l’importanza del sentimento nella scelta matrimoniale, contestando la tendenza a trasformarla in affare economico o di alleanza politica. Ma, se viene privato del suo aspetto istituzionale, il legame diviene troppo fragile per affrontare le inevitabili difficoltà dell’esistenza. La passione non è sufficiente a mantenerlo in vita. Questa visione dell’amore è in realtà una illusione pericolosa, ben presto smentita dai fatti: «I rapporti sono degli edifici e, come tutti gli edifici che non vengono mantenuti e migliorati, subiscono l’affronto del tempo. Come non ci aspetteremmo mai che un edificio si mantenga da solo in buone condizioni, così non possiamo pensare che un rapporto amoroso si mantenga in vita da sé: siamo noi che dobbiamo assumere la responsabilità di renderlo sempre migliore»[24].
Tutto ciò era stato ben colto dagli stessi scrittori romantici; i loro personaggi vanno quasi sempre incontro a una sorte tragica, come si è visto; la morte viene considerata come uscita di sicurezza di fronte alle difficoltà della vita ordinaria. L’idealizzazione del sentimento ha finito per pregiudicare la stabilità dell’unione, rendendo gli amanti non solo più insicuri, ma anche più infelici.
La famiglia ha una dimensione istituzionale irrinunciabile, non solo per la società, ma per gli sposi stessi. Per questo l’esortazione raccomanda alla comunità ecclesiale di non abbandonare a loro stesse le coppie, sia accogliendo la sofferenza di chi ha visto frantumarsi una delle relazioni più importanti della vita, sia accompagnando efficacemente chi intende prepararsi al matrimonio in maniera coscienziosa. I gruppi di famiglie hanno in questo un ruolo prezioso e insostituibile (cfr AL 206; 230).
La dimensione dell’impegno nel matrimonio è legata alla visione dell’amore come comandamento, nel senso visto sopra. In questo paradosso è racchiuso un insegnamento decisivo, che può correggere lo sbilanciamento della mentalità occidentale. Un aiuto per rivalutarne l’importanza può giungere da culture differenti da quella europea, nelle quali il matrimonio è frutto di un impegno e insieme un ideale bello per cui vale la pena spendersi. Ciò è reso possibile dall’aiuto delle famiglie di provenienza, che esercitano un ruolo non intrusivo, ma di accompagnamento alla giovane coppia, che in fondo ha appreso dai propri genitori che cosa significa amarsi e affrontare insieme le difficoltà della vita[25].
La testimonianza di una sposa indiana, che qui riportiamo, può apparire lontana dalla mentalità occidentale, eppure rivela una verità preziosa, più volte emersa in queste pagine. L’impegno può generare un amore capace di dare stabilità alla relazione, consentendo alla coppia di provare una soddisfazione che dura nel tempo: «Noi basiamo il nostro matrimonio sull’impegno rappresentato dalle promesse matrimoniali, non sui sentimenti. Man mano che il nostro matrimonio va avanti, si sviluppano anche i sentimenti. Altrove, dove il matrimonio si basa sui sentimenti, cosa succede quando questi diminuiscono? Non ti resta niente per tenere il matrimonio unito»[26].
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[1]. Francesco, Esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia, 19 marzo 2016.
[2]. Cfr V. Cesari Lusso, Se Giulietta e Romeo fossero invecchiati insieme… Vivere «felici e contenti» imparando a comunicare, Trento, Erickson, 2007, 10.
[3]. «L’abbaglio iniziale porta a cercare di nascondere o di relativizzare molte cose, si evitano le divergenze, e così solamente si scacciano in avanti le difficoltà. I fidanzati dovrebbero essere stimolati e aiutati a poter esprimere ciò che ognuno si aspetta da un eventuale matrimonio, il proprio modo di intendere quello che è l’amore e l’impegno, ciò che si desidera dall’altro, il tipo di vita in comune che si vorrebbe progettare» (AL 209).
[4]. Cfr K. Paige Harden, «True Love Waits? A Sibling-Comparison Study of Age at First Sexual Intercourse and Romantic Relationships in Young Adulthood», in Psychological Science, September 25, 2012; E. Berscheid – H. T. Reis, «Attraction and close relationships», in D. T. Gilbert – S. T. Fiske – G. Lindzey (eds.), The handbook of social psychology, vol. 2, Boston, McGraw-Hill, 1998, 193–281; M. Jay, «The Downside of Cohabiting Before Marriage», in The New York Times, April 14, 2012.
[5]. W. Shakespeare, Antonio e Cleopatra, I, 1.
[6]. «La convivenza prematrimoniale non è una garanzia di lunga durata dell’unione, anzi essa sembra favorirne lo scioglimento […], perché considera l’avvenire coniugale a breve scadenza. Questo spiega sia perché le convivenze si spezzino più frequentemente dei matrimoni, sia perché questi ultimi, quando sono preceduti da un’unione libera, si dimostrino più fragili degli altri» (A. L. Zanatta, Le nuove famiglie, Bologna, il Mulino, 1997, 39). Cfr M. Francesconi, «Divorzio e convivenza in Gran Bretagna. Quale futuro per la famiglia?», in Aggiornamenti Sociali 51 (2000) 417-430.
[7]. V. Mathieu, «Tipologia dei sistemi e origine della loro unità», in Memorie dell’Accademia dei Lincei, Roma, 1994, serie IX, vol. IV, 91.
[8]. Cfr i casi discussi in R. Norwood, Donne che amano troppo, Milano, Feltrinelli, 1998.
[9]. S. Minuchin – P. M. Nichols – W. Lee, Famiglia: un’avventura da condividere. Valutazione familiare e terapia sistemica, Torino, Bollati Boringhieri, 2009, 17.
[10]. Ecco l’elenco, in ordine di importanza: 1. Comunicazione intima/sostegno; 2. Comprensione/apprezzamento; 3. Tolleranza/accettazione; 4. Flessibilità/modificabilità; 5. Valori/abilità; 6. Famiglia/religione; 7. Questioni finanziarie/lavori domestici; 8. Attrazione fisica/passione; 9. Simpatia/amicizia; 10. Fedeltà (cfr R. Sternberg, La freccia di Cupido. Come cambia l’amore: teorie psicologiche, Trento, Erickson, 2014, 177 s.).
[11]. «Quando l’amore diventa una mera attrazione o una vaga affettività, questo fa sì che i coniugi soffrano una straordinaria fragilità quando l’affettività entra in crisi o quando l’attrazione fisica viene meno» (AL 217).
[12]. È questa, ad esempio, l’esperienza di Claudio Imprudente, fondatore a Bologna dell’associazione Accaparlante, affetto da grave handicap motorio e di parola. Egli indica la svolta avvenuta nella sua esistenza quando ha trovato accanto a sé delle persone che lo hanno ascoltato con affetto e interesse, coinvolgendolo nei loro progetti (cfr C. Imprudente, Una vita imprudente. Percorsi di un diversabile in un contesto di fiducia, Trento, Erickson, 2003).
[13]. N. Branden, «Un punto di vista sull’amore romantico», in R. J. Sternberg – M. L. Barnes (eds), Psicologia dell’amore, Milano, Bompiani, 2004, 254. Cfr anche AL 225: «Quando non si sa che fare col tempo condiviso, uno o l’altro dei coniugi finirà col rifugiarsi nella tecnologia, inventerà altri impegni, cercherà altre braccia o scapperà da un’intimità scomoda».
[14]. R. J. Sternberg, La freccia di Cupido…, cit., 196; cfr N. S. Jacobson – W. C. Follette – D. W. McDonald, «Reactivity to positive and negative behavior in distressed and nondistressed married couples», in Journal of Consulting and Clinical Psychology 50 (1982) 706–714; N. S. Jacobson et Al., «Attributional processes in distressed and nondistressed married couples», in Cognitive Therapy and Research 9 (1985) 35-50.
[15]. Cfr H. Fisher, The First sex, London, Random House, 1999, 8.
[16]. C. Regalia – G. Paleari, Perdonare, Bologna, il Mulino, 2008, 70. Sui diversi possibili significati del perdono, cfr G. Cucci, «Il perdono, un atto difficile, ma necessario», in Civ. Catt. 2015 I 142-156.
[17]. Cfr G. Levinger – D. J. Senn – B. W. Jorgensen, «Progress towards permanence in courtship: A test of the Kerckhoff-Davis hypothesis», in Sociometry 33 (1970) 427–443; M. L. Clements – S. M. Stanley – H. J. Markman, «Before they said “I do”: Discriminating among marital outcomes over 13 years», in Journal of Marriage and the Family 66 (2004) 613–626.
[18]. F. Rosenzweig, La stella della redenzione, Casale Monferrato (Al), Marietti, 1985, 189.
[19]. Cfr D. Vaughan, Uncoupling: Turning Points in Intimate Relationships, New York, Vintage Books, 1990, 76-78.
[20]. R. S. Weiss, Marital Separation, New York, Basic Books, 1975, 71-82. Cfr AL 241 s.
[21]. Cfr R. Salemi, «Sedotti dalla moglie fotocopia», in La Stampa, 25 marzo 2009.
[22]. Cfr I. Yalom, Sul lettino di Freud, Vicenza, Neri Pozza, 2015, 100 s.
[23]. «La condizione dell’impegno è che la persona si renda incapace di rovesciare la sua condizione […]. Deve mantenere un atteggiamento inequivocabile verso l’alternativa scelta e rinunciare all’altra; tale rinuncia darà un contenuto di gioia all’alternativa scelta» (H. B. Gerard, «Basic features of commitment», in R. P. Abelson et Al. [eds], Theories of Cognitive Consistency: a Sourcebook, Chicago, Rand MacNally, 1968, 457).
[24]. R. J. Sternberg, «La triangolazione dell’amore», in R. J. Sternberg – M. L. Barnes (eds), Psicologia dell’amore, cit., 161. Per il sociologo Luhmann, alla base dell’amore come passione «è comune il proposito di evitare il matrimonio» (N. Luhmann, Amore come passione, Milano, B. Mondadori, 2006, 99).
[25]. «Probabilmente quelli che arrivano meglio preparati a sposarsi sono coloro che hanno imparato dai propri genitori che cos’è un matrimonio cristiano, in cui entrambi si sono scelti senza condizioni e continuano a rinnovare quella decisione. In questo senso, tutte le azioni pastorali tendenti ad aiutare i coniugi a crescere nell’amore e a vivere il Vangelo nella famiglia, sono un aiuto inestimabile perché i loro figli si preparino per la loro futura vita matrimoniale» (AL 208; cfr 213).
[26]. T. D’Paula, «Il matrimonio nella cultura indiana. Stato del Karnataka», in J. Kowal – M. Kovač (eds), Matrimonio e famiglia in una società multireligiosa e multiculturale, Roma, Gregorian & Biblical Press, 2012, 300.