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ABSTRACT – Un film tagliente come la lama di un rasoio. Meritatissima la Palma d’oro al Festival di Cannes 2016, che corona cinquant’anni di cinema del suo autore, il britannico Ken Loach, detto «Ken il rosso», interamente calato nel sociale, che non ha ancora cessato d’indignarsi per l’ingiustizia e la mancanza di rispetto con le quali nel Regno Unito vengono trattati coloro che vivono ai margini della società.
Un anziano falegname, colto da infarto, è costretto a ricorrere all’assistenza pubblica. Cade in una rete kafkiana di controlli che gli rendono la vita impossibile. Incontra una madre single con due bambini piccoli, ridotta a subire umiliazioni di ogni genere. La solidarietà tra queste persone non basta a sollevarle dallo stato d’indigenza nel quale si trovano.
Pur indulgendo di tanto in tanto a qualche punta d’ironia, Io, Daniel Blake non è un film comico. Non si limita a stigmatizzare un sistema assistenziale che rasenta l’assurdo e spesso lo oltrepassa. Nel film c’è un soffocato grido di dolore, una collera trattenuta ma impaziente, che potrebbe diventare esplosiva se non fosse sommersa dal dilagare dell’indifferenza, che genera un senso d’impotenza.
«Dan e Katie – ha detto il regista – sono la sintesi delle tante persone che io e il mio amico Paul Laverty, sceneggiatore del film, abbiamo incontrato: i nuovi poveri, i disoccupati, le persone che non possono più permettersi di vivere in città come Londra, i precari che stanno precipitando in un baratro sociale ed economico senza fine».