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«Il traguardo del cammino dell’universo è nella pienezza di Dio, che è stata già raggiunta da Cristo risorto, fulcro della maturazione universale». Così si esprime Papa Francesco nella sua enciclica Laudato si’ (LS), n. 83. In nota, il riferimento si fa esplicito sulle radici di questo pensiero: «In questa prospettiva si pone il contributo del P. Teilhard de Chardin».
Teilhard (1881-1955), gesuita, antropologo e figura spirituale di grande rilievo, ha attraversato le tensioni forti di un Novecento complesso, segnato da guerre, ideologie e grandi scoperte[1]. La sua è stata una vicenda singolare. Il suo pensiero di «frontiera», capace di confrontarsi con i fermenti più vivi e complessi della sua epoca, non è stato esente da fraintendimenti. Ma quel che oggi rimane a noi come eredità è il suo tentativo di mettere insieme la conoscenza di Cristo e l’idea di evoluzione.
Dopo aver presentato in una sintesi estrema il suo pensiero, qui proveremo a illustrare il percorso della ricezione che esso ha avuto nel magistero pontificio da Paolo VI a Francesco. Quindi ci concentreremo su un punto, messo in evidenza da Benedetto XVI e implicitamente ripreso nell’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco: il sacerdote e la sua azione di «salvezza universale» che coinvolge il cosmo. E infatti, da sacerdote, Teilhard pregava così: «Io, o Signore, per la mia umilissima parte, vorrei essere l’apostolo, e (per così dire) l’evangelista del tuo Cristo nell’Universo. — Vorrei, con le meditazioni, la parola, con la pratica dell’intera mia vita, rivelare e predicare le relazioni di continuità che fanno, del Cosmo in cui ci muoviamo, un ambiente divinizzato dall’Incarnazione, divinizzante dalla comunione, divinizzabile dalla nostra cooperazione»[2].
L’universo, un immenso moto ascensionale
Non è facile sintetizzare il pensiero di Teilhard. Egli parla della storia del mondo nei termini dello sviluppo di un unico disegno che, a partire dalla creazione, va verso il Punto Omega, il fine della storia, indicato da Cristo risorto, e così ci accompagna a vedere il succedersi delle diverse tappe della vicenda del nostro pianeta. C’è il formarsi della litosfera, del nucleo della Terra ancora senza vita; poi attorno ad essa si sviluppa la pellicola sottile ma dinamica della biosfera, vegetale e animale; poi, con l’ominizzazione e l’avvento della specie umana, abbiamo un nuovo strato, fragile e sottile, in cui si sviluppa il pensiero: è la noosfera, la sfera della conoscenza. Commentando il pensiero di Teilhard, il cardinale Christoph Schönborn ha descritto questo sviluppo come «un immenso moto ascensionale verso una sempre più elevata complessità e interiorità, dalla materia alla vita, allo spirito».
Il movimento «ascendente» è completato solamente quando giunge all’apice con l’apparizione di Cristo. Egli, prosegue il Cardinale, «diviene il centro visibile dell’evoluzione e anche il suo fine, il “punto Omega”. Il Logos incarnato, che ad un certo punto si manifesta in forma visibile sull’asse evolutivo, era stato in precedenza l’invisibile “motore dell’evoluzione”. Cristo, alla testa del corpo cosmico, completa ogni cosa, guida ogni cosa e perfeziona ogni cosa. “L’intero universo è ipso facto modellato dalla sua personalità, determinato dalle sue scelte e animato dalla sua forma”». Dunque, secondo Teilhard, Cristo diviene «l’energia dello stesso cosmo». Con la sua risurrezione, egli, svincolato da ogni restrizione della sua potenza e dell’efficacia della sua azione, è in grado di guidare lo sviluppo cosmico verso la parusia.
Il card. Schönborn, nella sua sintesi, nota che questa visione di «Cristo come forza direttrice nell’evoluzione è andata a imbattersi in contraddizioni di natura teologica». Tuttavia, malgrado le critiche, prosegue il Cardinale, «molte persone sono riuscite a cogliere le sue preoccupazioni e le hanno apprezzate. Colpisce soprattutto il modo in cui egli fu affascinato dal Cristo. Il suo amore per Cristo lo fece entrare in una sorta di “mistica dell’evoluzione”. In ciò egli è ben lontano dalle concezioni materialistiche dell’“evoluzionismo” oggigiorno diffuso». La sua impresa è «nello stesso tempo piena di rischi e tuttavia necessaria» e, «attraverso la sua opera, Teilhard de Chardin ha aiutato molti scienziati a superare il pregiudizio che la fede ostacoli la scienza»[3].
Dal «Monito» del Sant’Uffizio al giudizio di Giovanni Paolo II
Già da questa sintesi comprendiamo come il linguaggio di Teilhard, tra lo scientifico e il poetico, abbia potuto inquietare a tal punto che l’allora Sant’Uffizio pubblicò, il 30 giugno 1962, un «Monito» che metteva in guardia circa il suo pensiero. Nello stesso anno Henri de Lubac, che sarebbe diventato cardinale, scrisse il volume Il pensiero religioso del padre Teilhard de Chardin, mettendo in evidenza la continuità di Teilhard con la tradizione della Chiesa. Ovviamente il volume suscitò diverse polemiche.
Ma già pochi anni dopo Paolo VI, visitando, il 24 febbraio 1966, uno stabilimento chimico-farmaceutico, ebbe a dire che «un celebre scienziato affermava: «Più studio la materia, più trovo lo spirito». Poi il Pontefice rivelava il nome dello scienziato: «Teilhard de Chardin, che ha dato una spiegazione dell’universo e, tra tante fantasie, tante cose inesatte, ha saputo leggere dentro le cose un principio intelligente che deve chiamarsi Iddio». Paolo VI comprendeva che, se si attraversano le fantasie e le inesattezze di questo pensatore, non si trovano «errori», ma la lettura di Dio «dentro le cose» del mondo.
Poco più tardi, il teologo Joseph Ratzinger, nella sezione cristologica della sua Introduzione al cristianesimo (1968), a proposito del rapporto tra Gesù e l’intera umanità, diceva di Teilhard: «Va ascritto a grande merito di Teilhard de Chardin il fatto di aver ripensato queste connessioni nel quadro moderno del mondo, riassestandole in maniera nuova e, nonostante una certa tendenza non del tutto immune da qualche sospetto di simpatie per il biologismo, comprendendole in maniera esatta e comunque rendendocele nuovamente accessibili»[4].
Secondo Ratzinger, il valore del contributo di Teilhard consiste nella comprensione dell’universo orientato verso un punto trascendente e personale, dove l’uomo è «come una figura che s’inquadra in un “Super-io”, il quale non lo spegne, ma lo abbraccia; ora, è soltanto in questo stadio di unificazione che può apparire la forma dell’uomo futuro, nella quale il fattore umano potrà dirsi giunto davvero al suo traguardo. Crediamo che si possa tranquillamente ammettere che qui, prendendo le mosse dall’odierna concezione del mondo e certo con un vocabolario di sapore talvolta un tantino troppo biologico, si è però in sostanza afferrata e resa nuovamente comprensibile l’impostazione della cristologia paolina»[5].
Per Ratzinger, dunque, occorre rivalutare l’intuizione teilhardiana capace di scorgere in Cristo-Omega il punto di vista unificante ed escatologico dell’umanità. E per questo si può anche «perdonare» a Teilhard la simpatia per il vocabolario «biologista», e ciò perché, dal punto di vista del contenuto, vi si riscontra una sostanziale coerenza con la cristologia di Paolo. La sostanza del «Monito» di 6 anni prima era de facto venuta meno. Notiamo infine che proprio il tema delle «connessioni», a cui si riferisce Ratzinger, ritorna spesso nella Laudato si’ di Papa Francesco (LS 16; 42; 111; 117; 138).
Sotto il pontificato di Giovanni Paolo II abbiamo un documento significativo. Nel 1981, proprio per il centenario della nascita di Teilhard, il card. Agostino Casaroli inviò, a nome del Papa, una lettera a mons. Paul Poupard, in seguito creato cardinale, e allora rettore dell’Institut Catholique di Parigi. Questa bella missiva — pur non intervenendo sulle precedenti prese di posizione della Santa Sede — apprezzava il tentativo dello studioso gesuita di conciliare fede e ragione, non escludendo «lo studio critico e sereno, sia sul piano scientifico che su quello filosofico e teologico, di un’opera fuori del comune».
Lo stesso Giovanni Paolo II successivamente, in una lettera inviata al gesuita George V. Coyne, direttore della Specola Vaticana, il 1° giugno 1988, formulò una serie di domande dal sapore pienamente teilhardiano: «Come le antiche cosmologie del vicino Oriente poterono essere purificate e assimilate nei primi capitoli del Genesi, non potrebbe la cosmologia contemporanea avere qualcosa da offrire alle nostre riflessioni sulla creazione? Può una prospettiva evoluzionistica contribuire a far luce sulla teologia antropologica, sul significato della persona umana come “imago Dei”, sul problema della cristologia, e anche sullo sviluppo della dottrina stessa? Quali sono, se ve ne sono, le implicazioni escatologiche della cosmologia contemporanea, specialmente alla luce dell’immenso futuro del nostro universo? Può il metodo teologico avvantaggiarsi facendo proprie le intuizioni della metodologia scientifica e della filosofia della scienza?».
Non sono mancati pastori che hanno ripreso il pensiero di Teilhard proprio su questi punti esplicitati da Giovanni Paolo II. Uno di questi è, ad esempio, mons. Ägidius Johann Zsifkovics, vescovo di Eisenstadt, Austria, nel XIII Sinodo Ordinario dei Vescovi su «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana» (2012). Nel suo intervento egli ha affermato, a proposito di Teilhard: «Che ci piaccia o meno, i fenomeni globali da lui intuiti oltre sessant’anni fa oggi ci attorniano. Viviamo tutti in un mondo in cui è diventata precaria l’esistenza non solo della singola persona, ma anche dell’intera umanità. Teilhard vedeva la vita e l’universo come un movimento creativo operato da Dio, movimento non ancora giunto alla sua meta. Sono convinto che questa visione della Chiesa e del mondo possa indicare un’uscita dalla crisi e, sulla divisione esistente tra fede e vita, avrà un effetto altrettanto benefico quanto sui problemi di comprensione tra ragione cristiana e ricerca tecnologica».
Il vescovo ha proseguito segnalando l’urgenza di una riflessione sul pensiero di Teilhard: «Solo una visione cosmica profonda, comprensiva, della Persona di Gesù, nel momento in cui riesce a trascinare con sé l’anima dell’uomo moderno, non rimarrà individualistica, ma costituirà una comunità in cui questo nuovo modo di vedere venga davvero vissuto, a partire dalla famiglia e dalla Chiesa domestica, fino alle comunità e alle Chiese locali. E solo quando la si vive, questa visione può costituire uno stile di vita nuovo, considerato naturale e normale, e produrre in tal modo una nuova cultura cristiana in grado di permeare e di modificare tutto l’ordine temporale».
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Dalla riflessione di Benedetto XVI all’Enciclica «Laudato si’»
Joseph Ratzinger, divenuto Pontefice, ha citato due volte il nome di Teilhard. La seconda volta fu l’11 novembre 2012, per salutare in piazza San Pietro un gruppo di studiosi che si erano riuniti per studiare il suo pensiero: «Sono lieto di salutare i partecipanti al convegno sul Padre Teilhard de Chardin, tenutosi in questi giorni alla “Gregoriana”».
La prima volta fu, in maniera più estesa, all’interno di una meditazione sull’orazione conclusiva dei Vespri del venerdì della VIII Settimana del tempo ordinario: «Padre misericordioso, che hai redento il mondo con la passione del tuo Figlio, fa’ che la tua Chiesa si offra a te come sacrificio vivo e santo e sperimenti sempre la pienezza del tuo amore». Soffermandosi sulla prima parte della preghiera, Benedetto XVI vi riconosce un accenno a due testi della Lettera ai Romani: «Nel primo san Paolo dice che noi dobbiamo divenire un sacrificio vivo (cfr 12,16). Noi stessi, con tutto il nostro essere, dobbiamo essere adorazione, sacrificio, restituire il nostro mondo a Dio e trasformare così il mondo. E nel secondo, dove Paolo descrive l’apostolato come sacerdozio (cfr 15,16), la funzione del sacerdozio è consacrare il mondo perché diventi ostia vivente, perché il mondo diventi liturgia: che la liturgia non sia una cosa accanto alla realtà del mondo, ma che il mondo stesso diventi ostia vivente, diventi liturgia».
Benedetto XVI riconobbe che questa era la visione alla base del pensiero teilhardiano, affermando: «È la grande visione che poi ha avuto anche Teilhard de Chardin: alla fine avremo una vera liturgia cosmica, dove il cosmo diventi ostia vivente. E preghiamo il Signore perché ci aiuti a essere sacerdoti in questo senso, per aiutare nella trasformazione del mondo, in adorazione di Dio, cominciando con noi stessi. Che la nostra vita parli di Dio, che la nostra vita sia realmente liturgia, annuncio di Dio, porta nella quale il Dio lontano diventa il Dio vicino, e realmente dono di noi stessi a Dio».
Papa Francesco, nella sua Enciclica Laudato si’, riprende l’itinerario di riflessione dei suoi predecessori, portandolo a compimento e inserendolo dentro l’Enciclica, testo peraltro passato da quella stessa Congregazione — allora Sant’Uffizio — che 53 anni fa aveva emesso il «Monito». Per Francesco il traguardo del cammino dell’universo è nella pienezza di Dio, che è stata già raggiunta da Cristo risorto, fulcro della maturazione universale (cfr LS 83). Con la sua risurrezione Cristo guida lo sviluppo cosmico verso il suo compimento nella parusia.
Le riflessioni teilhardiane si fanno presenti in maniera implicita lì dove Francesco scrive dell’Eucaristia: «Il Signore, al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia. Non dall’alto, ma da dentro, affinché nel nostro stesso mondo potessimo incontrare Lui. Nell’Eucaristia è già realizzata la pienezza, ed è il centro vitale dell’universo, il centro traboccante di amore e di vita inesauribile. Unito al Figlio incarnato, presente nell’Eucaristia, tutto il cosmo rende grazie a Dio. In effetti l’Eucaristia è di per sé un atto di amore cosmico» (LS 236). E qui Francesco cita Giovanni Paolo II, che ha espresso lo stesso pensiero teilhardiano nella sua Enciclica Ecclesia de Eucharistia (2003): «Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo» (n. 8; LS 236). Qui Giovanni Paolo II citava il celebre libro di Teilhard Messa sul mondo (1923), scritto nel deserto di Ordos, in Cina.
L’Eucaristia, prosegue Francesco, «unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato. Il mondo, che è uscito dalle mani di Dio, ritorna a Lui in gioiosa e piena adorazione: nel Pane eucaristico — continua Francesco, citando alla lettera Benedetto XVI — “la creazione è protesa verso la divinizzazione, verso le sante nozze, verso l’unificazione con il Creatore stesso” (Benedetto XVI, Omelia nella Messa del Corpus Domini, 15 giugno 2006)» (LS 236).
Questa connessione tra l’Eucaristia e il cosmo è inquadrata all’interno del cammino dell’universo nella pienezza di Dio[6]. Essa mette il rilievo la connessione tra il sacerdozio cristiano e la «liturgia cosmica», che comprende Cristo risorto come pienezza, fulcro della maturazione universale.
Il metropolita di Pergamo Ioannis Zizioulas, che è stato invitato dal Pontefice a presentare ufficialmente la sua Lettera enciclica Laudato si’, ha espresso con chiarezza, in una nostra intervista, come la figura del sacerdote sia quella più pertinente per dire il compito dell’uomo davanti al cosmo[7].
Il sacerdote e la liturgia cosmica
Proprio su questo tema eucaristico e sacerdotale Pierre Teilhard de Chardin plasma un linguaggio poetico, perché, davanti a quello che contempla, non mette a tacere la sua capacità immaginativa e rappresentativa, ma piega il suo discorso in forma di preghiera poetica, che proprio per questo ha potenza speculativa.
Non abbiamo timore a riconoscere Teilhard come fratello di Dante, come pure di un grande poeta cristiano come Mario Luzi, che di Teilhard del resto fu avido lettore[8].
In una meditazione dal titolo Le prêtre, il pensatore gesuita offre una visione sacerdotale sulla realtà che si dispiega come un’opera in quattro movimenti. Poi egli stesso la approfondirà più volte e in vari luoghi. Teilhard scrive questo testo nel 1918, in piena guerra mondiale: ha 37 anni, è sacerdote da sette, e vive da prete-soldato sul fronte come barelliere.
Su questa meditazione, i cui contenuti ritroviamo in filigrana in alcune riflessioni degli ultimi Pontefici, intendiamo soffermarci[9].
Consacrazione
La visione si apre con un contrasto fortissimo di vuoti e di pieni: il sacerdote non ha né pane né vino, ma è proprio per questo vuoto di elementi che egli stende le sue mani sulla «totalità dell’Universo» (p. 19), per cui la materia del sacrificio diventa la sua dimensione immensa. Teilhard vede queste mani che si stendono con la loro potenza consacratoria, e l’attenzione si volge subito a questa materia. E che cosa vede? Ciò che Luzi amava chiamare «il magma» — è il titolo di una sua raccolta — e che originariamente per Teilhard è «il crogiuolo effervescente, in cui si mescolano e ribollono le attività di ogni sostanza vivente e cosmica» (ivi). Le mani del sacerdote si stendono su questa effervescenza di forze che ribollono: sulla vita.
In Teilhard c’è una tensione al tutto, alla sintesi, che obbliga il lettore di queste pagine ad avere uno sguardo di ampio respiro capace di abbracciare tutta la realtà come in un colpo d’occhio. La visione interiore deve esercitarsi, e dunque le parole richiedono una lettura fluida, ma molto calma, per cogliere l’intuizione mistica che è una «maniera di guardare il Mondo» (ivi). C’è in esso pluralità e incoerenza, e tuttavia lo sguardo sacerdotale vede la sua unità vivente, il «cerchio infinito delle cose», che è «l’Ostia definitiva che Tu vuoi trasformare», scrive Teilhard; il brulicare delle sue attività è «il calice doloroso che Tu desideri santificare» (ivi). Il titolo di quest’«opera» in quattro movimenti è, appunto, Consacrazione.
Allora il sacerdote è colui che sa dare compimento ultimo alle cose. Pronunciare le parole: «Questo è il mio Corpo» sul pane eucaristico significa far cadere l’ostacolo che impedisce a Dio di raggiungere il Creato. Il pane eucaristico è fatto di chicchi di grano premuti e macinati; il pane stesso è stato spezzato prima di essere stato consacrato nell’Ultima Cena. Queste forze di pressione e frattura sono dirette alla crescita, all’elevazione. La Presenza eucaristica divinizza il reale, e la «potenza plasmatica» (p. 24) del Verbo scende sul mondo per vincere «il suo nulla, la sua malignità, la sua vanità, il suo disordine» (ivi). Conclude Teilhard: «Il Cristo è il pungiglione che sprona la creatura sulla via dello sforzo, dell’elevazione, dello sviluppo» (p. 26).
Come appare chiaro, queste pagine offrono una visione del mondo e del significato del suo sviluppo e delle tensioni che lo agitano. In questa visione Dio illumina le cose dall’interno: è come la luce che fa vedere al nostro occhio i colori e le sfumature dell’alabastro.
Adorazione
Il sacerdote che legge le pagine di Teilhard è fortemente spronato a guardare la realtà in modo differente, a porsi nel mondo in maniera nuova, a comprenderla con categorie diverse, e ad adorare Dio: è questo il secondo movimento, l’Adorazione. Non c’è briciolo di realtà che non sia possibile ritrovare nella pienezza di Dio. Viceversa, è possibile «cercare e trovare Dio in tutte le cose», come aveva scritto sant’Ignazio di Loyola nei suoi Esercizi Spirituali.
Teilhard riesprime questa convinzione con potenti echi biblici, scrivendo: «Mescolato all’intera atmosfera creata, Dio mi sta attorno e mi assedia» (p. 29). In questa folgorante meditazione che la poesia e la spiritualità hanno sempre fatta propria — dal Pascal dei Pensieri al Foscolo dell’Ortis, a Whitman e al primo Ungaretti — si esprime la reale posizione dell’uomo sulla terra. Anzi, essa sembra la risposta al Foscolo lettore di Pascal, che nell’Ortis scrive: «Io non so né perché venni al mondo; né come; né cosa sia il mondo: né cosa io stesso mi sia. […] Io non vedo da tutte le parti altro che infinità le quali mi assorbono come un atomo»[10]. Su questa meditazione scendono le parole di Teilhard, che ripetiamo: «Mescolato all’intera atmosfera creata, Dio mi sta attorno e mi assedia» (ivi).
Solo che in alcuni autori la via da perseguire a partire da questa intuizione è l’ascesi, il nada, la via negativa o anche un petrarchesco ritiro nel secretum. Per Teilhard, invece, la via è positiva. Il suo riferimento è alla terra, in un tentativo di far comprendere che tutti i suoi «più squisiti gusti» (p. 32) non devono essere semplicemente lasciati, ma ritrovati in Dio. Qui sembra che il gesuita voglia farsi carico delle istanze di coloro che non comprendono il senso della realtà senza prendere in una considerazione seria — e ben al di là dell’edonismo — ciò che Gide chiamava les nourritures terrestres.
Gesù è «Pienezza» (ivi), è la pienezza del mio essere personale (plenitudo entis mei), non l’utopia di qualcosa che si raggiunge abbassando, attutendo lo slancio vitale buono di ogni essere umano: «In Te, e solo in Te, come in un abisso sconfinato, le nostre potenze possono slanciarsi ed espandersi — dare la loro piena misura —, senza cozzare contro una qualsiasi barriera» (ivi). Gesù «sveglia» (ivi) l’anima e le energie. Sarebbe riduttivo leggere queste parole in maniera esteriormente vitalistica.
Se si prendono sul serio le parole di Teilhard, con lui si arriva a comprendere che godere delle energie brulicanti della creazione — e cioè della nostra vocazione come creature — significa liberarsi dalla loro ricerca egoistica per giungere a un «rigoroso distacco» (p. 34) dai vincoli e dalla possessività: tutto si vede, perché ogni cosa è illuminata dall’interno dalla luce di Cristo. Tutto è diafano. Qui c’è l’appello a prendere sul serio le parole del Vangelo di Giovanni: «Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).
Comunione
Questa ampiezza di visione è circolare, a 360 gradi, e apre lo sguardo e il respiro. La vita del sacerdote è una vita votata «ad un’opera di salvezza universale» (p. 47), non all’essere un funzionario o un burocrate del sacro. Il sacerdote, per Teilhard, è chiamato per vocazione a respirare Dio e a percepirlo — secondo la considerazione paolina sul Pleroma — come una Persona, ma anche come un Mondo (cfr p. 35). Scrive Teilhard sull’Eucaristia: «La piccola Ostia inerte è diventata ai miei occhi vasta quanto il Mondo, divorante quanto un braciere» (p. 37 s).
Quando egli parla di braciere, pensa al fuoco, ma il suo fuoco non distrugge in un’amalgama. Il suo pensiero non è hegeliano. Al contrario, esso fa esistere le differenze e le individualità: «Tu non distruggi gli esseri che adotti, o Signore. Ma li trasformi conservando tutto ciò che i secoli della creazione hanno elaborato di valido in essi» (p. 47). Solo in Dio è possibile questa coincidentia oppositorum tra unità e differenze. Ed è un’unità che si compie nella persona, non soltanto nello sviluppo storico di sistemi: «Sento agire — confessa Teilhard — nel punto più segreto del mio essere lo sforzo totale dell’Universo» (p. 39). «Tu m’impasti, o Signore; — Tu plasmi e Tu spiritualizzi la mia argilla informe; — Tu mi trasformi in Te…» (p. 38).
Il mistero dell’Eucaristia, per Teilhard, è intrinsecamente in rapporto con il mistero dell’Universo. Ecco il terzo movimento della sua opera: Comunione. Fare la comunione è essere in comunione con il divenire, cioè essere in comunione con Cristo attraverso tutte le circostanze di una vita che va verso la comunione totale dell’intero Universo raccolto nella totalità di Dio, «tutto in tutti» (1 Cor 15,28).
Apostolato
Per questo motivo la vocazione del sacerdote non ha confini o recinti, supera le dimensioni di un gregge ordinato e composto in un recinto ben difeso dal «mondo», dagli «altri» che non sono del gregge. Il pastore, nella visione teilhardiana, va persino nella tana del lupo: «Portare il Cristo, in virtù dei legami propriamente organici, nel cuore stesso delle Realtà ritenute più pericolose, più naturalistiche, più pagane, ecco il mio vangelo e la mia missione» (p. 48). Questo è il quarto movimento della riflessione teilhardiana: l’ Apostolato.
Per maggiore chiarezza, ecco l’indicazione che il sacerdote riceve: «A coloro che sono paurosi, timidi, puerili, oppure gretti nella loro religione, voglio ricordare che lo sviluppo umano è richiesto dal Cristo per il suo Corpo, e che esiste, nei confronti del mondo, un dovere assoluto della ricerca» (p. 49).
Il sacerdote è un chimico che si immerge nelle cose del mondo ed «estrae» (p. 52) da esse ciò che contengono di vita eterna. Non è un chimico da «laboratorio», ma un chimico che si immerge nelle reazioni e ne è parte. Non un osservatore, dunque, né semplicemente un catalizzatore.
Più avanti nel tempo Teilhard approfondirà il senso del dovere della ricerca per il sacerdote. Sentendosi mosso da un appello del Superiore Generale del suo Ordine, egli si chiederà: «Perché è importante, proprio per noi gesuiti, partecipare alla Ricerca umana fino a penetrarla e impregnarla della nostra fede e del nostro amore per Cristo?». La sua risposta è: «Perché la Ricerca è la forma sotto la quale si dissimula e opera più intensamente, nella Natura attorno a noi, il potere creatore di Dio. […] Dunque, il posto di noi sacerdoti è esattamente al punto di emergenza di ogni verità e di ogni nuova potenzialità: perché Cristo dia forma ad ogni crescita dell’Universo in movimento, attraverso l’Uomo»[11]. Qui il pensiero di Teilhard si fa luminoso e vede il sacerdote au point d’émergence de toute puissance nouvelle.
Qui si trova meglio precisata anche la vocazione sacerdotale di un religioso che ha fatto i voti di povertà, castità e obbedienza: «Voglio ricuperare nella rinuncia quanto di fiamma celeste è racchiuso nella triplice concupiscenza —, santificare, nella castità, nella povertà e nell’obbedienza, la potenza contenuta nell’amore, nell’oro e nell’indipendenza» (p. 52). E chiaramente la visione della Chiesa in Teilhard tende a coincidere con la sua missione nel mondo: la Chiesa è chiamata a comprendere se stessa anche alla luce della sua esperienza nella storia, perché in questo divenire è presente Dio in maniera sempre operosa.
* * *
Ecco dunque la «funzione universale» del sacerdote secondo Teilhard, giovane prete-soldato, che in trincea — e non davanti a paesaggi campestri o idilliaci — intende realizzare «l’offerta a Dio del Mondo tutto intero». Questa meditazione teilhardiana potrà aiutare a comprendere meglio il senso della vocazione sacerdotale come parte di quello che Papa Francesco presenta come il cammino di maturazione dell’universo verso la pienezza di Dio, che è stata già raggiunta da Cristo risorto (cfr LS 83).
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[1]. Pierre Teilhard de Chardin nasce in Francia, a Sarcenat, il 1° maggio 1881. Entra nella Compagnia di Gesù nel 1899 e viene ordinato sacerdote nel 1911. Partecipa alla Prima Guerra Mondiale come barelliere e, per il suo eroismo, viene insignito della Legion d’onore. Insegna geologia all’Institut Catholique di Parigi, ma, a causa del suo orientamento evoluzionista, deve lasciare la Francia. Dal 1926 al 1946 la sua vita si svolge in Cina, dove compie ricerche e studi paleontologici che gli danno fama internazionale. Dopo la Seconda Guerra Mondiale ritorna a Parigi. Si reca varie volte in Nord America e in Sud Africa. Infine si trasferisce negli Stati Uniti. Muore a New York il 10 aprile 1955, nel giorno di Pasqua, come egli desiderava. È autore di numerosi studi scientifici. Gran parte delle sue opere di contenuto filosofico-religioso sono apparse dopo la sua morte e sono state tradotte in molte lingue.
[2]. P. Teilhard de Chardin, Il sacerdote, Brescia, Queriniana, 20152, 47.
[3]. Ch. Schönborn, Ziel oder Zufall? Schöpfung und Evolution aus der Sicht eines vernünftigen Glaubens, Freiburg im Breisgau, Herder, 2007 (tr. it. Caso o disegno? Evoluzione e creazione secondo una fede ragionevole, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 2007).
[4]. J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Brescia, Queriniana, 200312, 187; corsivo nostro.
[5]. Ivi, 189.
[6]. A questo proposito, è da leggere I. Zizioulas, Il creato come eucaristia. Approccio teologico al problema dell’ecologia, Bose (Bi), Qiqajon, 1994.
[7]. Cfr A. Spadaro, «Liturgia cosmica ed ecologia. Intervista al Metropolita ortodosso Ioannis Zizioulas», in Civ. Catt. 2015 III 164-176.
[8]. Cfr M. Luzi, Nell’opera del mondo, Milano, Garzanti, 1979.
[9]. P. Teilhard de Chardin, Il sacerdote, cit. Le citazioni delle pagine nel testo si riferiscono a questa edizione
[10]. U. Foscolo, Le ultime lettere di Jacopo Ortis, Lettera del 20 marzo 1799.
[11]. P. Teilhard de Chardin, La scienza di fronte a Cristo. Credere nel Mondo e credere in Dio, San Pietro in Cariano (Vr), Il Segno dei Gabrielli, 2002, 231.