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Il 27 agosto 2016, a Santiago del Estero, Papa Francesco iscrive la serva di Dio argentina, María Antonia de Paz y Figueroa, nel libro dei beati. María Antonia è una di quelle sante evangelizzatrici di popoli che Papa Francesco ama: camminatrice, allegra, comunicativa, di quelle «che escono, che cercano, che vanno… non sotto la spinta del loro carattere soggettivo, né per un incarico divino unilaterale, ma perché, alzando lo sguardo, […] hanno visto folle di popoli che vagano come pecore senza pastore»[1].
Breve biografia
Alcune notizie riguardanti la sua vita possono aiutarci a tracciare un ritratto preliminare di quella promotrice degli Esercizi spirituali popolari che è stata María Antonia de Paz y Figueroa, che da religiosa scelse per sé il nome di María Antonia de San José. Nacque nel 1730, nella provincia di Santiago del Estero, che a quei tempi apparteneva al governatorato del Tucumán e faceva parte del vicereame del Perù. La Spagna aveva diviso l’America in due immensi vicereami, che rimasero in vita per trecento anni: quello della Nuova Spagna (1536-1821), che abbracciava tutto il territorio occidentale e meridionale degli attuali Stati Uniti, il Messico, il Centro America, Cuba e il Venezuela; e il vicereame del Perù (1542-1821), che andava da Panama alla Patagonia, comprendendo gran parte dell’attuale Brasile. Quest’ultimo vicereame venne poi suddiviso in quello di Nuova Granada nel 1717, e in quello del Río de la Plata, che qui ci interessa, nel 1776.
Quando María Antonia aveva quindici anni, vestì l’abito «di “beata gesuita” o della Compagnia»[2] e fece voti privati, consacrandosi all’apostolato, alla preghiera e alla penitenza. Queste collaboratrici dei gesuiti svolgevano compiti di servizio e di apostolato: visitavano e curavano malati, cucivano e ricamavano, insegnavano catechismo ai bambini, distribuivano elemosine ai poveri e aiutavano nell’organizzazione degli Esercizi.
Nel 1768, dopo l’espulsione dei gesuiti, la vita di María Antonia cambiò radicalmente. Lei cominciò il suo apostolato degli Esercizi spirituali, realizzando la sua prima missione popolare a Santiago del Estero. Tra il 1773 e il 1775 compì due missioni: una nella regione di Salta, nel Tucumán, sul confine con la Bolivia, dove ottenne dal vescovo le licenze per svolgere il suo ministero in tutta la diocesi, con le più ampie facoltà; l’altra, nella regione della cordigliera andina, dove organizzò sei turni di Esercizi a La Rioja: la città vi partecipò in massa e, pur essendo poverissima, contribuì con offerte generose.
Tra il 1777 e il 1779 María Antonia portò a compimento la sua quarta missione a Córdoba, organizzando quattordici sessioni di Esercizi. Fin dal 1610 in questa città era attivo il Collegio Massimo dei gesuiti, ai quali il vescovo Trejo nel 1613 aveva affidato l’Università, centro di irradiazione culturale dell’intera regione. In questa città colta María Antonia era arrivata povera, senza alcuna apparente autorità e con la proposta rivolta a tutti di fare quegli Esercizi spirituali che fino ad allora erano stati dati dai gesuiti.
La prima reazione della gente fu di considerarla un’illusa ignorante. Tuttavia ben presto ci si rese conto della sua santità, e le persone accorsero in gran numero ai suoi Esercizi. Fu a Córdoba che María Antonia affidò alle suore teresiane l’incarico di offrire Messe a san Giuseppe per la pronta restaurazione della Compagnia, cosa che lei attendeva con fede certa.
Alla fine del 1779 si trasferì a Buenos Aires. Anche in questa grande città inizialmente fu accolta male e respinta, tanto che dovette letteralmente rifugiarsi nella chiesa della Pietà (dove oggi riposano i suoi resti). Il vescovo e il viceré de Vértiz la tennero sotto esame per un intero anno, e alla fine decisero di approvarne e promuoverne la missione. La donna allora aprì la prima Casa di Esercizi, e trovò sacerdoti che diedero gli Esercizi con grande successo.
Nel 1781 gli Esercizi furono dati ininterrottamente a gruppi che superavano le duecento persone. E nel giro di quattro anni, erano già più di quindicimila le persone che avevano partecipato agli Esercizi organizzati da lei e, sebbene la sua presenza fosse richiesta sia a Córdoba sia in Uruguay, lei rimase a Buenos Aires.
Tra il 1782 il 1784, mentre proseguiva la fondazione della seconda Casa di Esercizi, María Antonia chiese regolarmente alle autorità ecclesiali di riconoscere e benedire il suo lavoro. Sebbene, infatti, non le fosse mai piaciuto cercare raccomandazioni, ora ne aveva bisogno per la sua missione. Si atteneva così allo stile di sant’Ignazio, il quale di solito richiedeva l’approvazione della Chiesa riguardo al suo agire. Fece chiedere al Papa di concederle la facoltà di eleggere una donna a succederle, e anche quella di scegliere i sacerdoti che davano gli Esercizi, perché il suo carisma era proprio quello di scegliere buoni predicatori, vicini alla gente. Era la stessa grazia che, anni dopo, avrebbe avuto il beato José Gabriel Brochero.
Nel 1785 diede inizio al Beaterío, un gruppo di donne che si consacravano al servizio dell’opera degli Esercizi. In essi non si faceva distinzione di persone: le dame e i signori servivano i loro servi secondo un criterio di uguaglianza. Scriveva María Antonia: «Non rifiutano di mescolarsi (parlo delle signore importanti) con le povere domestiche, nere e meticce, che ammetto insieme a loro»[3].
Nel 1787 María Antonia ricevette la tanto desiderata «Lettera di Fratellanza gesuitica» da parte del Vicario Generale della Compagnia di Gesù in Russia (lettera datata aprile 1786).
Nel 1788 la sua salute cominciò a vacillare. Venne sottoscritto l’atto di acquisto per i terreni di quella che è oggi la Casa di Esercizi nel quartiere di La Concepción.
Negli anni 1790-97 María Antonia proseguì l’opera ininterrotta degli Esercizi e la faticosa costruzione della Casa.
Nel marzo 1799 si ammalò gravemente e redasse il proprio testamento. Morì il 7 marzo 1799.
Un personaggio singolare
Possiamo dire che l’immagine di María Antonia passata alla storia è quella di un personaggio singolare. Come episodio aneddotico si ricorda che, dopo l’espulsione dei gesuiti, avvenuta nel 1767, María Antonia si dedicò a diffondere gli Esercizi spirituali; ne organizzò sessioni molto affollate, e alle quali si verificarono miracoli di moltiplicazione di pani per coloro che svolgevano gli Esercizi e per i poveri.
È meno risaputo il fatto che le sue lettere e i suoi scritti — soprattutto il fascicolo El estandarte de la mujer fuerte[4] — furono diffusi e tradotti dai gesuiti della Compagnia soppressa. Se ne ricorda il soprannome, «Mama Antula», diminutivo di Antonia, che, ormai caduto in disuso, aveva perso la connotazione affettuosa con cui risuonava alle orecchie dei suoi contemporanei.
In questo articolo vogliamo mettere in risalto il fatto che María Antonia veniva chiamata «mamma», oltre a sottolineare lo spirito gesuitico che lei ha saputo incarnare, compiendo opere maggiori dei suoi maestri e delle sue guide spirituali. Alla luce dell’imminente beatificazione, si comincia ad apprezzare, nella sua reale dimensione, il significato profondo della grazia della sua maternità spirituale per il popolo argentino, alla fine dell’epoca coloniale e nel primo periodo dell’indipendenza.
La cornice geopolitica
Per contestualizzare la figura di María Antonia nella sua epoca, è necessaria una breve riflessione sulla cornice geopolitica e su ciò che l’espulsione della Compagnia di Gesù ha significato per i popoli latinoamericani.
L’espulsione dei 2.630 gesuiti[5] che operavano nel territorio della corona spagnola in America fu, a detta dei documenti ufficiali dell’epoca[6], un’operazione «perfetta»: non trapelò affatto e venne realizzata contemporaneamente in tutto quell’immenso territorio tra la notte del 31 marzo e il 2 aprile 1767. Questo fatto rende l’idea di ciò che significava essere governati da un potere centrale, che da trecento anni dirigeva la vita di gran parte del continente americano. Era un potere troppo lontano per influire su molti aspetti della vita quotidiana delle colonie, che svilupparono una vita culturale propria, ma decisivo nel momento di dividere un territorio, di dirigere in modo unitario l’intera attività commerciale, di imporre o rimuovere un’autorità o, come nel caso dei gesuiti, di cancellare in due giorni un lavoro di duecento anni.
Se osserviamo in quali contesti María Antonia trascorse la sua vita, notiamo che la società in cui era cresciuta era stata protetta, in grande misura, dalle guerre europee e organizzata in un tutto unitario durante i 234 anni di vita del vicereame del Perù. Questa società diventerà parte di un vicereame del Río de la Plata, più piccolo e di breve durata (34 anni), e poi parteciperà alle vicissitudini delle guerre d’indipendenza e delle divisioni politiche delle nuove nazioni.
La città di Buenos Aires, in cui María Antonia svolgerà per diciannove anni il suo lavoro apostolico, è, al suo arrivo, la sfavillante capitale del nuovo vicereame. Le città dei vasti territori dell’America meridionale erano piccole: Buenos Aires contava 37.679 abitanti (secondo il primo censimento del 1778); Córdoba ne aveva 40.000; Santiago del Estero più o meno 30.000; Salta poco più di 10.000. Nella seconda metà del XVIII secolo, la popolazione dell’intero territorio in cui è vissuta María Antonia era di circa 400.000 abitanti. Ebbene, si calcola che questa donna abbia organizzato Esercizi spirituali ignaziani per più di 100.000 persone. Nei dieci giorni di silenzio, preghiera e umile servizio reciproco, in gruppi di duecento o perfino quattrocento persone, convivevano viceré e servitori, vescovi, sacerdoti e laici, che María Antonia, da vera madre di tutti, riuniva e curava diligentemente. Quella convocazione, che mobilitava un’intera società attorno a una pratica esigente come quella degli Esercizi, indicava un popolo unito e dalla forte identità.
La rottura politica con il passato coloniale fece sì che cadesse in qualche modo nel dimenticatoio quella memoria che possiamo chiamare «culturale». È una memoria che invece non dovrebbe andare mai perduta, perché è una ricchezza che dà identità a una società, oltre che ai cambiamenti politici stessi. María Antonia è una figura di quelle che fanno da ponte tra il passato della «Patria grande» e il presente della nazione Argentina.
L’impatto culturale dell’espulsione dei gesuiti
Al momento dell’espulsione dei gesuiti, nelle province di Buenos Aires, Córdoba e Tucumán la Compagnia di Gesù aveva sessanta case, quattordici delle quali erano collegi; dirigeva sedici reducciones sul fiume Uruguay, tredici sul Paranà, otto nel Gran Chaco, dieci tra gli indios Chiquitos. I gesuiti erano 457, dei quali 53 tedeschi, 17 italiani, 4 inglesi; 81 erano creoli, e i restanti trecento spagnoli[7].
È difficile valutare l’impatto avuto dall’espulsione dei gesuiti sulla società del vicereame del Río de la Plata. L’accoglienza ricevuta dalla proposta di María Antonia di fare gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio può fornire un valido indicatore — individuale e collettivo — di quanto il popolo di Dio apprezzasse i suoi pastori. Va detto che la Prammatica Sanzione, con cui il re espulse i gesuiti dai suoi territori, negli articoli 13-19 imponeva severi castighi a quanti si fossero azzardati a mantenere rapporti con loro, anche soltanto epistolari; con ciò si voleva «cancellare la memoria» dei gesuiti. Pertanto affermiamo che la risposta popolare alla proposta spirituale di María Antonia fu molto significativa, se viene letta in chiave di «conservare la memoria».
P. Guillermo Furlong, nel suo libro Los jesuitas y la cultura rioplatense[8], fa notare che tra il 1586, anno in cui i primi gesuiti giunsero a Santiago del Estero, e il 1767, anno della loro espulsione, in quelle regioni australi lavorarono più di mille gesuiti, dei quali almeno trecento, in vita e dopo la morte, furono ritenuti dal popolo uomini santi e di virtù eroiche. Altri quattrocento si distinsero per una dedizione al di fuori del comune. Questi uomini sono per lo più sconosciuti, ma la loro opera d’insieme la si può riconoscere dai frutti.
Quando si contemplano le Rovine gesuitiche, senza dubbio si apprezza il lavoro di costruzione e di organizzazione politica delle reducciones del Paraguay, dell’Argentina e del sud del Brasile. Ma non di minore ampiezza è stato il lavoro di inculturazione che i gesuiti hanno condotto, imparando lingue e consuetudini dei popoli che evangelizzavano. Nei documenti della Compagnia si ricorda la riunione che nel settembre del 1578, a Cuzco, il visitatore p. Juan de la Plaza ebbe con i padri José de Acosta (provinciale), Juan de Montoya, Jerónimo Ruiz del Portillo, Alonso de Barzana e Luis López. In quella occasione fu disposto che nelle missioni e nei collegi si facilitasse per i gesuiti l’apprendimento delle lingue[9]. Del p. Alonso de Barzana, che all’epoca veniva paragonato a san Francesco Saverio, diceva il suo compagno p. Añasco: «Vecchio di sessantacinque anni, senza denti, in grandissima povertà, con profondissima umiltà […] si siede dunque a terra con gli indios, per guadagnarli a Cristo: con i caciques, con i notabili […] e con i ragazzi e i bambini, con tanto desiderio di portarli al Signore che sembra che il suo cuore ne bruci»[10].
P. Barzana incoraggiò l’apprendimento sistematico delle lingue in tutto il vicereame. Cominciò lo studio del quechua a Siviglia, nel 1567, mentre era in attesa di imbarcarsi per Lima, nella prima spedizione di gesuiti. Gli si aprì un nuovo campo di azione nelle lingue aymara e puquina, con la fondazione di case nella missione di Juli nel 1577 e nella città di La Paz (nell’attuale Bolivia) nel 1582. Inviato nel Tucumán (nell’attuale Argentina) nel 1585, vi apprese le lingue tonocoté e kakana, nelle quali lasciò appunti manoscritti di grammatica e di catechismo. Destinato ad Asunción nel 1594, incominciò a imparare il guaraní a 64 anni.
D’altra parte, possiamo immaginare la soddisfazione di Nicolás Yapuguay, cacique del paese di Santa María la Mayor (oggi Misiones, in Argentina), considerato il migliore scrittore guaraní della sua epoca[11], quando ebbe in mano il primo esemplare del suo libro Explicación del catecismo en lengua guaraní (1724), stampato nella sua tipografia, che da ventiquattro anni era in funzione nel territorio che egli governava (mentre a Buenos Aires non ce ne fu nessuna fino al 1780).
In quella tipografia di frontiera, con caratteri di piombo in guaraní, che stampava su carta la traduzione del catechismo fatta da un cacique aborigeno, si poteva riconoscere quella che oggi chiamiamo «inculturazione del Vangelo» ed «evangelizzazione della cultura». L’immagine di questo libretto di catechismo assomiglia a quella di María Antonia, che si dedicava a sua volta a un altro libretto: quello degli Esercizi di sant’Ignazio. Libro che, come è stato detto, non si legge, ma si pratica. La raffigurazione tradizionale di María Antonia ce la mostra mentre ha in una mano il libro degli Esercizi Spirituali, e nell’altra la croce.
È significativo il fatto che tutto lo spirito che i gesuiti avevano messo nelle reducciones, nelle fattorie, nei collegi e nei templi, nelle attività agricole, educative, di organizzazione economica, politica, artistica e religiosa, sia scomparso, per così dire, in un istante. Tutto questo spiegamento di forze non è stato ripreso dai loro successori. Le reducciones, trasformate in «famose» Rovine, sono come un grido di pietra divorata dalla selva, che mostra a tutti che questo spirito ha cessato di ardere nelle opere. L’immagine silenziosa di un’intera società che pratica i suoi Esercizi spirituali è un altro grido silenzioso, indice di uno spirito che aveva incendiato il cuore del popolo fedele. Quelle stesse persone che non sono riuscite a proseguire la gestione di molte opere, hanno saputo invece continuare ciò per cui quelle stesse opere erano state intraprese. Questo è il paradosso: una società che espelle gente valida — ne permette, o ne subisce l’espulsione — e che nello stesso tempo ne recupera l’aspetto migliore.
Questo elenco delle attività dei gesuiti ci fa immaginare l’impatto avuto dalla loro «scomparsa istantanea» su queste piccole città dove la loro presenza animava la vita della gente in tutte le sue dimensioni. L’esperienza personale che si può fare percorrendo le cosiddette «Rovine gesuitiche», in mezzo a paesi che oggi sono poverissimi, è quella di uno splendore culturale, sociale, religioso, economico e politico che non è stato mai più recuperato.
La visione dei suoi contemporanei
Gli scritti che parlano di come María Antonia fosse stata accettata a Buenos Aires (1780-99) — dopo le forti opposizioni per il fatto che era donna, povera, e organizzava cose che di solito facevano i gesuiti — la dipingono in tono materno, conferendole grande considerazione. Tutto il popolo contribuisce agli Esercizi portando elemosine, cibo e coperte. Vescovi, governatori e viceré appoggiano María Antonia, le concedono tutte le licenze che chiede, l’aiutano in tutti i sensi, le spianano la strada… e fanno gli Esercizi[12].
Le persone accorrono in massa in quelle Case, di cui lei è vera madre, perché si preoccupa di mettere tutti a loro agio, affinché possano fare bene i loro Esercizi (cfr PB 74-77). Tutti i sacerdoti fanno gli Esercizi (PB 82, Lettera 29). Le autorità si mescolano con la gente comune. María Antonia, come madre, «affida tutto al Bambino Gesù» (PB 83), in quell’immagine del «Manuelito» (per Emmanuele) che tuttora viene venerata nella Casa di Esercizi.
Il vescovo del Tucumán diceva: «Vennero espulsi i gesuiti, ma non il loro spirito […]. Mai, come al tempo della Madre Antula, gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio furono l’alimento solido e corroborante delle moltitudini, tanto a Buenos Aires quanto a Montevideo, nel Tucumán, a Santiago del Estero e a Córdoba. Quella donna forte, vestita con un abito simile a quello dei gesuiti, rimpiazzò l’azione dei gesuiti»[13].
Il «modus operandi» di María Antonia
Il metodo che la futura beata usava consisteva nel presentarsi, non appena arrivata — camminando scalza[14] —, alle autorità cittadine, per chiedere l’autorizzazione. Poi distribuiva biglietti d’invito nei quartieri; chiedeva a qualche sacerdote di predicare gli Esercizi (in questo aveva occhio e sapeva scegliere i migliori); cercava una casa grande, in grado di ospitare molte persone (i gruppi superavano le cento persone, e María Antonia giunse a riunirne più di quattrocento alla volta). Inoltre raccoglieva elemosine e provviste e si incaricava del necessario per i pasti di tutti, per i dieci giorni di Esercizi[15].
Tenendo conto di quanti aiutavano con le elemosine e del numero di corsi di Esercizi che si tenevano, si può affermare che questa pratica coinvolgeva l’intera popolazione di ogni città e contava sull’appoggio esplicito delle autorità civili e religiose, mentre il clero locale interveniva per le prediche, le Messe e le confessioni.
Ma la prerogativa fondamentale del modus operandi di María Antonia era il suo affetto materno, che seppe esprimersi in mille modi. La caratteristica principale era l’uscire sempre in cerca dei suoi figli. E una volta che li radunava, María Antonia si preoccupava che non mancasse loro nulla. Senza sprechi, faceva in modo che tutto riuscisse bene: offriva un cibo saporito e qualche volta un dolce per rallegrare coloro che facevano gli Esercizi; e parte di quello che veniva cucinato andava sempre ai poveri.
L’ispirazione materna
In una delle sue lettere al p. Gaspar Juárez (1731-1804)[16], anch’egli nato a Santiago del Estero ed esiliato a Roma, con il quale mantenne una costante amicizia spirituale, María Antonia scriveva, riguardo alla sua missione: «Degli inizi io non so dire, soltanto Dio saprà com’è che questa ispirazione mi è entrata così fortemente»[17].
Lei stessa lo racconta al viceré Cevallos, nel 1777, in questi termini: «Vostra Eccellenza deve sapere che dall’anno stesso in cui vennero espulsi i padri gesuiti, vedendo la carenza di ministri evangelici e di dottrina che c’era, e i mezzi da promuovere, mi sono dedicata a lasciare il mio ritiro e sono uscita — sebbene donna di poco conto, ma con fiducia nella divina Provvidenza — nelle giurisdizioni e nei distretti, con la venia dei signori vescovi, […] a raccogliere elemosine per mantenere i santi Esercizi spirituali del grande sant’Ignazio di Loyola, affinché non perisse del tutto la sua opera così utile alle anime e di tanta gloria per il cielo»[18].
Ci resta l’immagine di questa sua forza, che María Antonia definisce come «ispirazione che le è entrata così fortemente» e che ha trovato una così grande risposta da parte di una società che viveva un momento di transizione verso una nuova identità politica.
Come coloro che fanno gli Esercizi spirituali ne conservano sempre il ricordo come di un evento decisivo della loro vita spirituale, è bene che anche un popolo intero, che ha avuto la grazia di praticare gli Esercizi in modo comunitario, apprezzi e conservi questo avvenimento come parte della memoria fondante, che ha dato identità a una nazione in procinto di nascere.
La grazia degli Esercizi consiste nel fatto che, come dice sant’Ignazio, la Parola di Dio «si incarna nuovamente» e, incarnandosi, rende uguali tutti gli uomini. In questo senso, gli Esercizi sono un vero laboratorio in cui il Vangelo «si incultura» e la cultura «viene evangelizzata». In essi è presente una matrice spirituale, che dà a un popolo la capacità di generare altri processi d’inculturazione: processi come quelli che l’Argentina visse nel secolo successivo, in cui accolse, su un piano di uguaglianza, un’immigrazione che ne raddoppiò la popolazione nell’arco di cinquant’anni.
Unire Esercizi e inculturazione non è azzardato. Caratteristica dell’inculturazione, infatti, è coniugare una certa povertà di mezzi con una certa ricchezza di fini, in modo da apprezzare il meglio di altre culture, senza perdere la propria identità, in un incontro di vera amicizia interpersonale.
È di questa uguaglianza, che ci rende popolo e che soltanto una madre ottiene per i suoi figli, che siamo grati a «Mama Antula» con le stesse parole pronunciate dal domenicano p. Julián Perdriel in occasione dei suoi funerali: «L’umile contadino starà dicendo: è morta la madre. Ah! Vada in gloria. Dio le ripaghi la sua carità. È grazie a lei che ho cominciato a conoscere Dio; nella sua casa ho imparato a detestare il peccato e a gustare la vita cristiana. Donna santa! […] È morta la madre beata, diranno i magistrati, il clero e i suoi prelati, il negoziante e l’artigiano, il nobile e il plebeo, il grande e il piccolo. Donna necessaria! È morta la madre beata, griderà un triste clamore dalla foce del Río de la Plata fino alle gole delle Ande…»[19].
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[1]. Cfr D. Fares, «I santi evangelizzatori di popoli», in Civ. Catt. 2015 III 358.
[2]. Cfr Testamento de Doña María Antonia de San José, Buenos Aires, 6 marzo 1779, in J. L. Gutiérrez, Positio Beatificationis et Canonizationis servae Dei Maríae Antoniae a S. Ioseph, Roma, Nova Res, 28 s, nota 6. D’ora in poi viene citato con la sigla PB.
[3]. Ivi, 217, Lettera 3 (9 ottobre 1780).
[4]. Anonimo, «El Estandarte de la mujer fuerte», in J. M. Blanco, Vida documentada, Buenos Aires, 1942, 421-436. Traduzione dell’opuscolo L’ Étendart de la femme forte, Francia, 1791. Cfr PB 160-175.
[5]. La Compagnia venne espulsa progressivamente, prima dal Portogallo, per mano del marchese di Pombal, ministro del re (1759); quindi dalla Francia (1763); poi da tutti i territori della corona spagnola (Prammatica Sanzione del 2 aprile 1767, emessa da Carlo III); e infine fu soppressa da Papa Clemente XIV con il Breve Dominus ac Redemptor (21 luglio 1773). Quarant’anni più tardi, il 31 luglio 1814, venne restaurata da Pio VII con la Bolla Sollicitudo omnium. Tredici anni prima, il 7 marzo 1801, il Papa aveva riconosciuto la permanenza della Compagnia in Russia, dove essa non venne mai soppressa.
[6]. Cfr www.cervantesvirtual.com/portales/expulsion_jesuitas/expulsion_espana
[7]. Secondo Vicuña Mackena, citato da Furlong, vennero espulsi 316 gesuiti dal Cile, 437 (o 457) dal Río de la Plata, 413 dal Perù, 562 dal Messico, 229 dall’Ecuador, e 201 dall’attuale Colombia.
[8] . G. Furlong, Los jesuitas y la cultura rioplatense, Buenos Aires, El Salvador, 1984, 188.
[9] . Cfr MHSI, Mon. Per., II, 655, 687, in http://javierbaptista.blogspot.it/2008/02/los-jesuitas-y-las-lenguas-indgenas.html
[10]. G. Furlong, Los jesuitas y la cultura rioplatense, cit., 189. Cfr P. Lozano, Historia de la Compañía de Jesus en la provincia del Paraguay, Madrid, 1775, I, c. 20.
[11]. Cfr I. Talesca, «La literatura guaraní religiosa», in Id. (ed.), Historia del Paraguay, Asunción del Paraguay, Taurus historia, 2010. Ad approntare la tipografia furono nel 1700 i padri gesuiti Johannes Baptista Neumann, viennese, Sigmund Asperger, tedesco, e José Serrano, andaluso. La tipografia rimase in funzione fino all’espulsione dei gesuiti.
[12]. Nel luglio 1782 il viceré del Perù, Manuel Guirior, e sua moglie, di passaggio a Buenos Aires, fanno gli Esercizi. La viceregina, «col suo agire umile e di continua assistenza», dà un esempio alle dame più in vista. María Antonia, che all’inizio non viene trattata bene dal viceré Vértiz (1778-84), entra poi in relazioni eccellenti con i viceré del Campo (1784-89) e Arredondo (1789-95).
[13]. G. Furlong, Los jesuitas y la cultura rioplatense, cit., 199. Cfr Id., «Estudio sobre María A. de S. José», in Estudios 38 (1929) 124.
[14]. «Ho sempre camminato a piedi scalzi, senza che mi sia mai successo niente di male» (PB, Documenti, 211).
[15]. Cfr Lettera 17, scritta dal p. Juárez a un amico, probabilmente anch’egli gesuita (Roma, 8 settembre 1784), in PB 48-49.
[16]. Il gesuita Gaspar Juárez si preoccupò di diffondere in Europa tra altri gesuiti e religiose molte lettere di María Antonia, che vennero tradotte in latino, francese, inglese e tedesco. María Antonia veniva considerata un modello; in Francia, diversi conventi vennero riformati grazie alla forte testimonianza che trapelava dalle sue lettere.
[17]. PB 46, nota 92. Cfr Summ., 283. Lettera 26, De la Sierva de Dios al P. Juárez (Buenos Aires, 26 maggio 1785).
[18]. PB 47, nota 94. Cfr Summ., 116-117. Dco 7: Solicitud de la Sierva de Dios al Virrey Cevallos (Córdoba, 6 agosto 1777).
[19]. PB 94-95.