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Il 18 giugno alle ore 11,00 si è tenuta nell’Aula Nuova del Sinodo, in Vaticano, la conferenza stampa di presentazione dell’enciclica di Papa Francesco Laudato si’. Per la prima volta a presentare questo documento pontificio è stato chiamato un vescovo ortodosso. Si tratta di Ioannis Zizioulas, metropolita di Pergamo. La sua presenza è stata un chiaro segno di attenzione ecumenica, anche perché il Patriarca Bartolomeo I da anni porta avanti la riflessione ecologica come un tema decisivo del suo ministero. Lo stesso Francesco ha detto che, per preparare questa enciclica, ha letto le pagine del Patriarca.
Il Metropolita si è preparato a parlare dicendosi, in una conversazione previa che abbiamo avuto, profondamente onorato per questo invito. Si rende conto che è stato un passo forte, un segno di comunione. Egli stesso ha riflettuto a lungo sul tema ecologico. La sua produzione teologica è vasta e riconosciuta come tra le maggiori in assoluto dell’Ortodossia. Il grande teologo Yves Congar lo ha definito come uno dei teologi più originali e profondi della nostra epoca.
Nato il 10 gennaio 1931 a Kozani, in Grecia, Zizioulas ha studiato presso le Università di Salonicco e di Atene. Tra il 1960 e il 1965 ha fatto gli studi dottorali sotto la guida di Georges Florovsky, che insegnava ad Harvard. Ha conseguito il suo dottorato presso l’Università di Atene. Ha insegnato in questa stessa Università, e poi anche a Edimburgo, Roma e Glasgow, approdando infine al King’s College di Londra. Nel 1986 fu eletto metropolita di Pergamo. Segnaliamo che il 24 gennaio scorso l’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, in qualità di Gran Cancelliere della Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, gli ha conferito la laurea honoris causa in teologia. Sul suo pensiero teologico sono state scritte varie tesi di dottorato in tutto il mondo.
Il nostro colloquio si svolge a partire proprio dalla sua presentazione, molto applaudita, dell’enciclica di Papa Francesco, che egli non fa mistero di aver molto apprezzato.
Si ritiene di solito che la teologia abbia molto poco a che fare con l’ecologia. Questa enciclica di Papa Francesco invece ci fa capire un’altra visione, facendo un discorso teologico sull’ecologia. Che cosa pensa dunque del rapporto tra teologia ed ecologia?
Il rapporto tra le due è molto profondo sia per ragioni positive sia per ragioni negative. Cioè la teologia ha contribuito negativamente a sviluppare una crisi ecologica, ma è anche capace di aiutare a capire meglio il ruolo dell’uomo nel cosmo, un ruolo che non sia di dominatore.
L’enciclica al riguardo è chiara: è rivolta a ogni uomo, e parla anche del ruolo che l’uomo in generale ha all’interno della creazione, un ruolo di custode e non di dominatore.
L’idea della custodia, della cura, è utile soprattutto dal punto di vista di ciò che intende escludere, cioè che il genere umano sia il signore e il padrone della creazione. Quest’ultima concezione ha trovato supporto, nei tempi moderni, soprattutto nell’antropologia dell’Illuminismo e in alcuni teologi occidentali, specialmente di area protestante. A questo riguardo l’Illuminismo ha annoverato i suoi esponenti più tipici fra pensatori come Descartes, Francis Bacon e lo stesso Kant. Secondo Descartes, lo sviluppo della scienza avrebbe reso l’uomo padrone della natura. Dal canto suo, Francis Bacon, con un’espressione piuttosto brutale, invita l’umanità a trattare la natura come la sua «schiava». Kant, d’altra parte, vedeva la relazione dell’umanità rispetto alla natura come quella di un «giudice» la cui funzione è quella di esercitare un giudizio razionale e morale nei confronti della natura, governandola in accordo con ciò che l’uomo stesso considera per sé giusto o sbagliato, buono o cattivo.
Credo che questa visione strumentale della natura abbia radici molto antiche e si fondi sulla concezione dell’uomo inteso come «anima». Si è realizzata una sorta di schizofrenia tra anima e corpo…
Nel platonismo l’identità umana era vista risiedere nell’anima, che era pensata come autosussistente, in maniera dunque non relazionata al corpo. L’identificazione tra uomo e anima ha portato a immaginare il corpo come «prigione» dell’anima, come se, per ritrovare se stessi, bisognasse liberarsi dal corpo e vivere un’esistenza immateriale. La conseguenza di un atteggiamento del genere è la perfetta indifferenza rispetto all’eventuale distruzione del mondo della natura, perché solo le anime sopravviveranno. La definizione dell’uomo come essere razionale nasconde questo pericolo. Come diceva un Padre della Chiesa universale, sant’Ireneo, l’anima e lo spirito sono parti dell’essere umano, ma in nessun modo l’uomo nella sua pienezza.
Il corpo viene cancellato dall’intelligenza…
Esatto. Come se le facoltà nobili dell’uomo quali il comunicare, il pensare, e persino l’innamorarsi fossero possibili a prescindere dal corpo. Di conseguenza il corpo è sempre più incapace di metabolizzare la quantità di informazioni fornite dall’intelligenza. La cautela che bisogna avere nei confronti di internet, a cui Sua Santità fa riferimento nella sua enciclica, è proprio questa: intendere la comunicazione come astratta dal corpo, un intreccio di cervelli. Invece no: il corpo è essenziale nella definizione dell’essere umano. L’uomo non «ha» un corpo, ma «è» un corpo. Così l’uomo nella verità del suo essere è inestricabilmente legato al suo ambiente naturale.
E la dottrina cristiana della risurrezione afferma la risurrezione della carne, appunto, non solo la sopravvivenza dell’anima…
E non solo. San Metodio d’Olimpo, nel IV secolo, in polemica con Origene, sosteneva che non era possibile che Dio facesse risorgere i corpi se non salvava anche la creazione materiale nella sua interezza.
Dal punto di vista teologico, qual è la radice del problema? Dov’è nata la confusione?
Certa teologia ha puntato eccessivamente sul versetto biblico «soggiogate e dominate la terra» (Gen 1,28), al fine di promuovere, direttamente o indirettamente, la visione capitalista del lavoro e dell’economia, come Max Weber ha dimostrato chiaramente. È probabile che senza queste idee religiose sarebbe difficile spiegare storicamente l’insorgere della crisi ecologica. Dunque, si può riconoscere una responsabilità della teologia. Nello stesso tempo si sottolinea il dovere della teologia di correggere questo atteggiamento e di promuovere il vero insegnamento biblico e patristico, che mette in risalto la sacralità e il valore di tutta la creazione, compresi gli animali e l’ambiente naturale e materiale, che gli esseri umani devono rispettare e trattare come un dono di Dio, che è l’unico sovrano della creazione. Proprio l’enciclica dedica un capitolo a dimostrare le profonde implicazioni ecologiche della dottrina cristiana della creazione. E afferma che, secondo la Bibbia, l’esistenza umana si basa su tre relazioni fondamentali connesse tra loro: la relazione con Dio, quella con il prossimo e quella con la terra.
Ma si potrebbe avere persino una visione errata dell’uomo come custode, intendendolo come «amministratore», manager…
Il termine greco oikonomos, che soggiace alla nozione di «amministratore», fa riferimento alla capacità umana di «gestire» una qualche «proprietà» e di farne «uso», sebbene entro i limiti di ciò che è stato affidato all’umanità. In questo senso, certo, l’amministratore sarebbe una sorta di fiduciario. Questo modello sembra suggerire un’implicazione utilitaristica della relazione tra l’uomo e la natura. La natura non è una «cosa», un «oggetto» da gestire, organizzare, distribuire da parte dell’umanità: essa è un ambiente di cui l’uomo è chiamato a prendersi cura come casa comune, come scrive Sua Santità.
Il Patriarcato ecumenico sta svolgendo un ruolo significativo attraverso interventi e iniziative ecologiche pionieristiche del Patriarca Bartolomeo I dal 1994 a oggi, quali i simposi internazionali sull’isola di Patmos e vari seminari.
Il Patriarcato ecumenico è stato da sempre sensibile e aperto ai problemi reali dell’umanità. E si è reso conto di come la crisi ecologica del nostro tempo costituisca una grave minaccia per la creazione di Dio e per l’essere umano stesso. Così, nel 1989 il precedente Patriarca ecumenico Dimitrios pubblicò un’enciclica, indirizzata ai fedeli ortodossi, a tutti i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà, invitandoli a prendere coscienza della gravità della crisi ecologica e ad agire in modo responsabile per la protezione della creazione materiale di Dio. A seguito di questa iniziativa del Patriarca Dimitrios, il suo immediato successore, l’attuale Patriarca ecumenico Bartolomeo, ha guidato una serie di simposi internazionali, in cui leader religiosi e scienziati rinomati si sono ritrovati per esaminare le modalità di cooperazione per la soluzione di problemi ecologici specifici, legati in particolare all’inquinamento dell’acqua del mare. Nello stesso tempo, sono stati organizzati seminari presso il Monastero di Halki, con la benedizione del Patriarca, al fine di promuovere consapevolezza e sensibilità ecologica tra il clero ortodosso, tra i giovani ecc…, in modo che l’ecologia possa diventare parte dell’educazione religiosa e pastorale. Adesso, a nome del Patriarca ecumenico, ho espresso a Sua Santità Francesco la grande gratitudine del mondo ortodosso per aver levato la sua voce autorevole in questo momento critico della storia dell’umanità.
Ma da dove nasce questo interesse dell’Ortodossia per il problema ecologico?
Questo interesse per il problema ecologico nasce da due fonti fondamentali della tradizione ortodossa. La prima è la vita eucaristica e liturgica: nella Santa Eucaristia la creazione materiale è santificata dal divenire il Corpo di Cristo, e l’essere umano agisce come «sacerdote» della creazione. L’altra fonte è la tradizione ascetica, che pone limiti all’avidità umana e all’egoismo, cause della crisi ecologica del nostro tempo. Questo dimostra quanto importante possa essere il contributo della Chiesa nello sforzo di affrontare il problema ecologico del nostro tempo.
Adesso si apre un fronte ecumenico. Il fatto che lei sia stato coinvolto nella presentazione ufficiale dell’enciclica «Laudato si’» ha un grande valore in questo senso. L’ecologia è un tema nel quale non possiamo restare separati, divisi…
Nel 2002, Papa Giovanni Paolo II, di venerata memoria, e il Patriarca ecumenico Bartolomeo hanno firmato la Dichiarazione di Venezia, un documento comune in cui i due leader della Chiesa hanno dichiarato la loro preoccupazione per la tutela del nostro pianeta minacciato dall’attuale crisi ecologica. Un paragrafo di contenuto analogo è stato incluso nella Dichiarazione comune di Papa Francesco e del Patriarca Bartolomeo, firmata nel loro incontro a Gerusalemme, nel maggio 2014. Il significato simbolico di questo gesto è di particolare importanza. Le due Chiese si sono impegnate, negli ultimi 50 anni, in un dialogo teologico ufficiale, attraverso il quale sperano di risolvere i problemi che le dividono dagli ultimi mille anni. Il riavvicinamento teologico, importante in se stesso, non può avvenire in un vuoto storico. Le Chiese devono cercare la loro unità, non solo rispetto al passato, ma anche rispetto alle attuali condizioni in cui vivono. Anche i bisogni reali dell’umanità devono essere presi in considerazione nell’ecumenismo. Abbiamo bisogno oltretutto di un ecumenismo esistenziale, e questo significa che problemi come la giustizia sociale e la salvaguardia del creato devono rivestire un posto centrale nelle relazioni ecumeniche. Gli ortodossi e i cattolici romani condividono una visione eucaristica del mondo e una spiritualità ascetica che può essere di grande valore per farci agire in modo più responsabile verso il nostro ambiente naturale. Sua Santità nell’enciclica scrive che l’Eucaristia è un «atto di amore cosmico». Afferma inoltre che in essa è già realizzata la pienezza: essa è il centro vitale dell’universo.
Lei, durante la conferenza stampa di presentazione dell’enciclica, ha proposto una data comune per pregare per la terra. Questa proposta ha colpito molti.
Il Patriarcato ecumenico ha deciso nel 1989 di dedicare la data del 1° settembre alla preghiera per l’ambiente. Per il nostro calendario liturgico questa data segna l’inizio dell’anno ecclesiastico. In questo giorno noi preghiamo per il creato anche con preghiere composte appositamente da un innografo del Monte Athos. Sarebbe un segno, se questa data avesse valore per tutti i cristiani.
Lei ha parlato di un «ecumenismo esistenziale» proprio a proposito dell’ambiente.
L’ecumenismo ha varie dimensioni. Una di esse è quella esistenziale. Questo comporta lo sforzo di affrontare insieme i problemi più rilevanti dell’umanità nel suo complesso. L’ecologia è certamente uno di tali problemi. La Laudato si’ è un appello a questo ecumenismo esistenziale. Di fronte ai grandi problemi dell’umanità e del pianeta, le nostre differenze e divisioni si relativizzano. C’è su alcune questioni un ecumenismo già realizzato. Dunque, l’enciclica è davvero un richiamo all’unità dei cristiani, alla preghiera comune e alla conversione dei nostri cuori e dei nostri stili di vita divenuti insostenibili. Del resto, sia la tradizione occidentale sia quella orientale hanno espresso figure di rilievo in questo senso. In Occidente troviamo san Francesco di Assisi. In Oriente i «padri del deserto». La loro attenzione nasceva da un cuore compassionevole e da una visione del mondo inteso come un’unità organica e interconnessa. Vorrei ricordare qui san Gregorio Palamas, il quale vedeva l’intera creazione permeata dalla presenza di Dio e dalla sua energia divina. Il cosmo, così come lo vedeva Palamas — come pure altri Padri greci —, proclama la gloria di Dio.
Dunque la «crisi ecologica» ha una dimensione profondamente spirituale….
La crisi ecologica è essenzialmente un problema spirituale: l’enciclica lo dice con chiarezza. Con il peccato originale il corretto rapporto tra l’uomo e il suo ambiente naturale si è rotto. Questa rottura è peccato, il peccato ecologico, che è sia individuale sia sociale. Chi pensa alla propria salvezza non può non considerare il peccato ecologico, frutto dell’avidità umana. Ne vediamo gli effetti sociali di ingiustizia, e l’enciclica li descrive molto bene. Dobbiamo cambiare il nostro modo di agire. In particolare, notiamo un individualismo diffuso nella nostra cultura. Ci concentriamo sulla felicità come se fosse un bene individuale. E perdiamo di vista le connessioni, di cui Sua Santità parla spesso nell’enciclica. Perdiamo il legame tra tutti noi e con tutto il creato. L’individualismo ci fa perdere di vista anche la responsabilità che abbiamo nei confronti delle generazioni future.
Sta proponendo un certo ascetismo?
Questo ascetismo è iscritto nella tradizione cristiana. La sofferenza per le creature è un tema di riflessione di tante figure della grande tradizione ascetica. Citavo prima san Francesco d’Assisi e san Gregorio Palamas. Non sto parlando dunque di un puro sentimento estetico o romantico; parlo invece anche di uno spirito di preghiera per il creato, unita all’impegno di ridurre il consumo delle risorse naturali. Nessun romanticismo, ma sano realismo.
Ma, certo, il messaggio dell’enciclica di Papa Francesco e anche di tutte le iniziative del Patriarcato ecumenico non riguardano solamente i cristiani, mi pare di poter affermare…
Nelle pagine di Laudato si’ c’è ampia materia di riflessione per tutti: scienziati, economisti, sociologi, politici. Ma anche per ogni singola persona. Ciascuno è chiamato a fare il possibile, a sentire la propria responsabilità.
Quindi ritorna il tema dell’uomo-custode che abbiamo trattato all’inizio della nostra conversazione…
Sì, ma vorrei aggiungere una considerazione. Il custode non deve essere un manager, come abbiamo detto. Tuttavia non deve essere neppure il custode di un museo. L’uomo è chiamato anche a «coltivare», cioè a far fruttificare la terra. Bisogna avere un altro modello che vada al di là del manager e del custode del museo.
Lei ha già trovato questa figura?
Io userei l’immagine dell’uomo come il «sacerdote» della creazione. Il modello non è certo mio. Esso emerge naturalmente dalla tradizione patristica e liturgica della Chiesa ortodossa, ma il suo significato esistenziale è universale. Per spiegarmi, devo prima chiarire alcune premesse antropologiche. Non possiamo non affrontare l’idea di ciò che è l’essere umano, nel senso di anthropos, maschio e femmina. Uso la parola «uomo» in questo senso, e non nel suo abituale uso sessista. Che cos’è l’essere che chiamiamo «uomo»? Tutti cercano di rispondere a questa domanda: la scienza, la filosofia, la teologia… Per la scienza, l’uomo è un animale. La scienza sottolinea questa connessione dell’uomo con gli altri animali. La filosofia ammette che l’uomo è un animale, ma insiste in ciò che lo distingue dagli altri animali. Adesso la differenza sembra consistere, piuttosto, nel fatto che gli animali sostanzialmente si adattano al mondo attorno a loro, riuscendoci spesso benissimo, meglio di noi umani. Ma noi uomini vogliamo crearci un nostro mondo, utilizzando il mondo esistente al fine di farne qualcosa di specificamente umano.
Infatti, è per questo che l’uomo si fabbrica strumenti «tecnici», gli utensili. Anzi, la stessa natura spesso è considerata un materiale grezzo dal quale l’uomo crea realtà nuove, a volte anche di valore artistico. È ciò che chiamiamo «arte»…
Soltanto l’uomo può guardare un albero, per esempio, e ricavarne un altro albero, un albero che è il «suo» albero, che riflette l’impronta della persona che lo ha dipinto. Dunque, è la creatività a caratterizzare l’essere umano, e non la si può ritrovare negli animali. L’uomo è un essere creativo. Questo è molto importante.
Più volte, anche nell’intervista che gli feci due anni fa, Papa Francesco ha parlato dell’importanza della creatività. Leggendo l’enciclica «Laudato si’», ho contato che in essa la creatività viene evocata ben 15 volte.
La creatività rende l’uomo se stesso. E tuttavia questo intento creativo che lo spinge a crearsi il proprio mondo spesso rimane frustrato. L’uomo, in fondo, ambisce e desidera creare, come Dio, dal nulla, ed essere del tutto libero da ciò che gli è stato dato come il suo ambiente, il suo «mondo». Da qui il fatto che egli possa sfruttare la creazione in modo tale da assoggettarsela, e l’ambiente naturale in modo da dominarlo.
Dunque, fino a questo momento abbiamo detto che l’essere umano è organicamente legato al mondo naturale, e in particolare a quello degli animali. La seconda constatazione è che, sebbene sia unito al resto della creazione, egli tende a elevarsi al di sopra della creazione e a farne libero uso. E può agire sia per costruire sia anche per distruggere.
Esatto. E fin qui abbiamo parlato della scienza e della filosofia.
E la teologia, a questo punto?
Per la teologia, l’uomo non soltanto è legato al resto della creazione, ma anche a un altro fattore, che la scienza non vuole ammettere, mentre talvolta la filosofia lo propone, ma meno spesso di quanto non faccia l’opposto. In una parola: Dio. Per la teologia, Dio è decisivo per capire che cosa sia l’uomo. L’uomo deve emergere come qualcosa di diverso, come un’identità differente rispetto agli animali, rispetto al resto della creazione, e anche rispetto a Dio. Infatti l’uomo è una connessione tra Dio e il mondo. Questo in termini teologici viene espresso tramite l’idea dell’«immagine e somiglianza con Dio». Uno degli elementi in cui i Padri hanno visto l’espressione di tale «immagine di Dio» nell’uomo è la razionalità, il logos. L’uomo è un essere vivente razionale, ed è attraverso la sua razionalità che egli riflette l’essere di Dio nella creazione.
Quindi siamo alla razionalità, al logos. Ma in che senso questo ha a che fare con il nostro discorso? Come possiamo dedurre un’immagine valida per l’uomo «custode» del cosmo che vada al di là del ruolo manageriale o del mero ruolo conservativo?
Il logos ha uno specifico significato, profondamente correlato con la capacità dell’uomo di raccogliere ciò che in questo mondo è diverso e anche frammentato e di ricavarne un mondo unificato e armonioso, un cosmos. La razionalità non era, come sarebbe stata intesa più tardi, semplicemente la capacità di ragionare con la propria testa. Gli antichi Greci pensavano piuttosto al logos come alla capacità umana di cogliere l’unità del mondo e farne un cosmos. L’uomo ha la capacità di unire il mondo.
Il logos è la capacità di unire il mondo!
Per esprimere l’«immagine di Dio» i Padri mettevano in rilievo un altro elemento. Si tratta di quella che Gregorio di Nissa chiama autoexousion, la libertà dell’essere umano. Gli animali non possiedono un logos in quanto comprensione universale della realtà, e nemmeno la libertà dalle leggi della natura; invece l’essere umano ha in certa misura entrambe le cose, e ciò è molto importante per lui al fine di essere, come vedremo, il sacerdote della creazione. Un altro aspetto secondo cui l’uomo è rappresentato nella teologia ortodossa e patristica è che egli è il microcosmo dell’intera creazione. San Massimo il Confessore, nel VII secolo, ha sviluppato in modo particolare questa idea, ovvero che nell’essere umano si ritrova presente il mondo intero, come una sorta di microcosmo di tutto l’universo.
E quale potrebbe essere, a questo punto, l’immagine più adeguata?
L’essere umano possiede questo vincolo organico con la creazione e nello tempo stesso ha la capacità di unire la creazione e di essere libero dalle leggi della natura. Dunque può fungere da «sacerdote della creazione». Il sacerdote prende il mondo nelle mani per presentarlo a Dio e, in contraccambio, riceve la benedizione di Dio sulla sua offerta. Attraverso questo atto la creazione viene portata alla comunione con Dio stesso. Sua Santità nell’enciclica Laudato si’ afferma che l’Eucaristia unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato. Il mondo, uscito dalle mani di Dio, ritorna a Lui nell’adorazione. E l’essenza del sacerdozio è riunire il mondo nelle proprie mani per offrirlo a Dio, così che possa essere unito a Dio, e dunque salvato e compiuto. Ciò è possibile perché, come abbiamo già detto, soltanto l’essere umano è unito alla creazione, ma è al tempo stesso capace di trascenderla attraverso la libertà. Adesso l’essere umano non sta assolvendo a questa sua funzione, e qui risiede, per la teologia, il cuore del problema ecologico. L’uomo ha ceduto alla tentazione di ergersi a riferimento ultimo, cioè a Dio. Rimpiazzando Dio con se stesso — vale a dire, con una creatura finita —, l’uomo ha condannato il mondo alla finitezza, alla mortalità, al decadimento e alla morte. In altri termini, facendosi Dio nella creazione, l’essere umano ha rigettato il suo ruolo di sacerdote della creazione.
E questa è la «caduta» così come viene raccontata nel libro della Genesi.
Quando la caduta si è verificata, Dio non ha voluto che il mondo morisse, e ha ideato una strada per restaurare la perduta comunione tra sé e il creato. L’Incarnazione del Figlio di Dio è stata appunto questa strada. Cristo è colui che è venuto per fare ciò che Adamo non ha fatto: essere il sacerdote della creazione. Con la sua morte e risurrezione, egli mirava proprio a quest’unità e comunione dell’intero creato con Dio. Cristo è «il secondo Adamo», e la sua missione è vista come la ricapitolazione dell’intera creazione.
Adesso è questo ruolo che Cristo ha assegnato alla sua Chiesa, che è il suo Corpo. La Chiesa esiste proprio per agire da sacerdote della creazione, che unisce il mondo e torna a riferirlo a Dio, conducendolo alla comunione con Lui. Questo nella Chiesa avviene in modo particolare attraverso i sacramenti.
Nella sua riflessione lei spesso si è riferito al creato come Eucaristia. Lo ha fatto anche nella conferenza stampa di presentazione dell’enciclica di Papa Francesco. Lì ha detto che nella celebrazione eucaristica la Chiesa offre a Dio il mondo materiale nella forma del pane e del vino; che nello spazio sacramentale il tempo e la materia sono santificati, e la creazione è solennemente dichiarata come dono di Dio.
Nell’Eucaristia, la Chiesa proclama e realizza proprio questa funzione sacerdotale dell’umanità. Esattamente all’opposto dell’atteggiamento di Adamo, il quale prese il mondo per sé e se ne impossessò. Sua Santità nell’enciclica afferma, appunto, che nell’Eucaristia il creato trova la sua maggiore elevazione.
Questa prospettiva teologica ha un valore nella comprensione della crisi ecologica…
Certo. Non si tratta più di una questione di etica, di moralità, come nel caso dell’uomo inteso come amministratore o manager della creazione. Nel caso del sacerdozio, quando distruggiamo la natura, noi semplicemente cessiamo di essere: le conseguenze del peccato ecologico non sono morali, ma esistenziali. L’ecologia, in questa prospettiva, riguarda il nostro essere, non il nostro benessere. Non bisogna considerare il rispetto dell’integrità dell’ambiente naturale per pure ragioni utilitaristiche, in quanto la natura è un valore che può darci del profitto, ma, e lo ribadisco, perché siamo parte organica della natura, senza la quale l’essere umano cessa semplicemente di essere quello che è.
E da questa visione emerge anche la grandezza e la statura dell’essere umano.
Bisogna avere sempre presente il rispetto per la dignità, l’integrità e la libertà di ogni persona, senza alcuna discriminazione. Perché tutti gli esseri umani sono immagini di Dio e quindi degni di massimo rispetto. E ogniqualvolta il progresso scientifico e tecnologico tende a contravvenire a questo principio, esso deve essere contestato. Ogni conoscenza che danneggia direttamente o indirettamente la dignità o la libertà di essere persona umana è una maledizione per l’umanità, non una benedizione.
Ma che ruolo ha lo sviluppo in questo quadro? Non c’è il rischio di avere un’immagine di pura e statica offerta?
La protezione della natura non si oppone allo sviluppo della natura. L’uomo è il sacerdote della creazione nel senso in cui il mondo materiale, che egli prende nelle sue mani, viene trasformato in qualcosa di meglio di quanto esso non fosse naturalmente. La natura va incrementata tramite l’intervento umano, non va semplicemente preservata in quanto tale. Noi non siamo i custodi di un museo. Nell’Eucaristia non offriamo a Dio chicchi di grano e acini d’uva, ma pane e vino, ovvero elementi naturali sviluppati e trasformati tramite il lavoro umano, nelle nostre mani. L’ecologia non è preservazione, ma sviluppo.
Sembra per alcuni romantici o sostenitori di una visione idilliaca del mondo che ecologia e sviluppo siano contrapposti.
L’ecologia e lo sviluppo sono sempre stati due termini bisognosi di una qualche riconciliazione. Ma la natura stessa attende di essere sviluppata da noi per compiere il proprio essere e acquisire un significato che altrimenti non raggiungerebbe. La natura va sviluppata per il suo stesso bene.
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Alla fine del nostro colloquio ringrazio il Metropolita di Pergamo per il colloquio spirituale che abbiamo avuto, molto più che una intervista giornalistica[1]. Dalle sue parole ho colto l’importanza che egli attribuisce alla crisi ecologica, intesa non soltanto come una conseguenza di un’etica sbagliata o di modelli di comportamento negativi. Nella nostra cultura occidentale abbiamo fatto di tutto per desacralizzare la vita, per riempire le nostre società di legislatori, moralisti e pensatori, e abbiamo sottovalutato il fatto che l’essere umano è anche, o forse in primo luogo, un essere «liturgico», come egli ama dire, messo fin dalla nascita a confronto con un mondo che egli deve trattare o come un dono sacro o come materia bruta da sfruttare e da usare. E il cristianesimo, come scrisse san Giovanni Paolo II, citato da Francesco nella Laudato si’, «non rifiuta la materia, la corporeità; al contrario, la valorizza pienamente nell’atto liturgico» (n. 235).
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[1]. Ringrazio in maniera particolare anche il dott. Nikos Tzoitis per aver facilitato l’incontro con il Metropolita di Pergamo.