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Il Natale che celebriamo quest’anno ci trova in stato di guerra, al margine di una situazione drammatica dove si distrugge, si uccide, si muore. Una furia incontrollata si abbatte su uomini e donne sepolti sotto le macerie delle loro case, su anziani smarriti rimasti senza più sostegno e assistenza, su bambini travolti nel loro innocente quotidiano.
Al margine, ma emotivamente partecipi, sentiamo il pericolo bussare alla nostra porta: le conseguenze del conflitto ci stanno raggiungendo e graveranno durissime, soprattutto sulle frange più deboli della popolazione. Realtà, queste, che ci rimandano a un passato lontano decenni che pensavamo esserci lasciati definitivamente alle spalle.
Eppure il Signore Gesù nasce ancora una volta per noi, in una situazione che ci chiama con severità maggiore a interrogarci e ad aprirci all’accoglienza del mistero del Natale.

Sandro Botticelli, “Natività mistica”.
Come può il Creatore dell’universo incarnarsi in un modo tanto povero di dignità e di rilevanza? Perché ha fatto sua la nostra carne corruttibile, le nostre contraddizioni, il nostro peccato, fino allo scandalo della croce? Non c’è altra risposta se non nella contemplazione del mistero dell’amore di un Dio che per amore si fa bambino.
Per una coscienza di fede il Gesù storico è il Figlio di Dio, è la rivelazione del volto del Padre: nel Natale è Dio che si fa uomo, l’Onnipotente che diviene bambino, l’Altissimo che si umilia e diviene addirittura un neonato bisognoso di cure.
Il fatto che Gesù abbia scelto questa strada per entrare nella storia e farsi uomo come noi rivela fino in fondo la natura dell’amore del Padre per gli uomini: un amore che è condivisione, partecipazione, comunione, dono, servizio.
Come preghiamo nel Credo, Dio si incarna «per noi e per la nostra salvezza» (propter nos et propter nostram salutem): dunque viene per liberarci; diventa uomo per donarci la pace a cui aspiriamo, per rivelarci la tenerezza divina e colmarci della sua benedizione.
L’Atteso da secoli entra nella storia
Il Vangelo di Luca narra come Maria e Giuseppe debbano recarsi a Betlemme per il censimento, in obbedienza all’editto imperiale. Ma in città non c’è posto per loro nemmeno ai margini dell’abitato. Gesù nasce come ogni bambino, ma in una grotta, in povertà e in solitudine: l’Atteso da secoli entra nella storia e non trova alloggio. Due poveri forestieri devono arrangiarsi in un rifugio di fortuna: situazione davvero paradossale per un Dio che si incarna.
Intanto per Maria «si compirono i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia» (Lc 2,6-7). Come tutti i bambini, Gesù che nasce è avvolto in fasce e la sua culla improvvisata è una mangiatoia, dove viene posto il foraggio per il bestiame.
Le fasce e la mangiatoia sono un segno per i pastori che si trovano nelle vicinanze. A loro viene annunciato da un angelo lo straordinario avvenimento: «Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,10-12). Gesù, il Messia atteso, è colui che salva; è Cristo, l’unto, il consacrato di Dio; è il Signore, Kyrios, e gli viene attribuito il nome di Dio nell’Antico Testamento. L’angelo rivela anche la missione di quel bambino: è Dio che entra visibilmente nella storia degli uomini per essere loro vicino, è il Signore che per primo si fa conoscere ai pastori che vegliano il gregge, a persone che lavorano, ma che non hanno grande importanza.
Se la vita cristiana è un cammino e un’assimilazione progressiva nella vita di Cristo, cosa indica alla nostra coscienza l’esperienza di povertà e di solitudine che segna l’ingresso di Gesù nella storia? Come ci interroga per tutto ciò che riguarda la vicinanza, la solidarietà con gli altri, l’accoglienza del fratello, la semplicità, la sobrietà, l’essenziale nella nostra vita? Che cosa indica il suo rivelarsi a chi non conta, a chi è emarginato, a chi svolge i lavori più umili?
L’onnipotenza di Dio si rivela nella debolezza
Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua tenda in mezzo a noi (cfr Gv 1,14). Giovanni annuncia l’incarnazione con queste parole. Gesù ha assunto la nostra stessa carne; si è fatto bambino, cioè «in-fante», incapace di parlare. Il Verbo, la Parola di Dio, non ha voce se non nel vagito di un neonato. Tale è la realtà dell’ingresso di Dio nella storia: divenire uomo come tutti, assumendo la corruttibilità della carne, la precarietà dell’esistenza, la fragilità e la debolezza di un bambino.
Eppure, paradossalmente, questo rivela l’onnipotenza di Dio: «Il fatto di essere una potenza che parla attraverso la debolezza dice che è una potenza divina, infinita: solo Dio onnipotente è in grado di parlare attraverso il linguaggio della debolezza. Tale linguaggio […] non è solo un’esibizione di potenza, non esprime un gioco di contrasti, ma è la condizione per raggiungere l’uomo dal basso, dalle radici. La salvezza non ti arriva da qualcuno che ha tutto e dà qualcosa, o dà molto di questo tutto, soverchiandoti con l’abbondanza: è invece la potenza di qualcuno che si mette al tuo livello, e partendo dal tuo livello più basso ti rialza, ti fa diverso; qualcuno che ti fa partecipe della sua pienezza dopo aver partecipato alla tua miseria, e che in questa comunione affettiva con un’impotenza e una miseria a te ben note, non immaginarie, sofferte giorno per giorno, ti garantisce della reale consistenza di quella sua pienezza che vuole condividere con te» (S. Corradino, Il potere nella Bibbia, Roma, Acli, 1977, 4).
Il Natale è dunque la festa dell’umiliazione di Dio. Lo esprime chiaramente l’apostolo Paolo nella Lettera ai Filippesi, quando parla di kenosis (Fil 2,7): «farsi nulla», «svuotarsi», privarsi della gloria divina. Gesù, venendo in mezzo a noi come uno di noi, ha accettato anche la povertà e l’umiliazione della nostra storia, fino a raggiungerne i livelli più bassi, anzi quello infimo: «Si è fatto obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,8). Gesù muore in croce innocente, come un rifiutato, un condannato, subendo la pena dei criminali più reietti. È il mistero del Natale che si dipana nella vita.
La luce splende nelle tenebre
La vita era la luce degli uomini e splende nelle tenebre (cfr Gv 1,4-5). La vita che il Signore dona è luce per tutti gli uomini del mondo, e illumina ogni vita, dando gioia, speranza e futuro. Per un’umanità assunta da Gesù non può non esserci un domani: se il Signore si è fatto viandante come noi, fragile come tutti, affaticato e sofferente in un itinerario simile al nostro, il nostro vivere, il soffrire, il peregrinare hanno un senso nuovo. C’è luce e gioia nella vita dell’uomo: per il cristiano la gioia di vivere non è una emozione tra le tante, ma ha una sua profonda radice teologica. Nel cuore dell’uomo c’è gioia, c’è il bene della creazione divina, c’è la bellezza che viene da Dio, c’è la vita stessa di Dio, c’è l’illuminazione dall’alto. Aprirsi alla luce per ogni cristiano è impegno, è responsabilità, è dovere che gli deriva dall’unione e dalla comunione con il Signore e con i fratelli.
Tuttavia Giovanni afferma: «La luce splende nelle tenebre», perché nel mondo ci sono le tenebre. E continua: «Le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1,5). Nonostante la storia degli uomini e la stessa vita di ogni persona siano attraversate dalle tenebre – le tenebre dell’egoismo e del disimpegno, della corruzione e dell’ipocrisia –, la Parola di Dio è per noi una grande speranza che il nostro tempo non deve offuscare. Gli orrori, le devastazioni, le morti del conflitto che ci tocca da vicino e di cui continuamente ci giunge notizia, e ancora di più le tante guerre nel resto del mondo colpevolmente dimenticate, non sono l’ultima parola nella storia dell’umanità. Il Verbo che ha posto la sua tenda in mezzo a noi è Presenza donata per sempre, perché è dal Padre, e sarà con noi «fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
E ancora: «Ma i suoi non lo hanno accolto». Non è accolto perché gli occhi degli uomini sono rivolti altrove. Ma il Natale torna a interrogarci sulla nostra disponibilità all’accoglienza qui ed ora. Come orientiamo la nostra vita, come andiamo incontro ai fratelli? Perché, se apriamo loro il nostro cuore, diventiamo figli di Dio, fratelli di Gesù, e in lui fratelli dell’umanità intera. Il Natale è la celebrazione della fraternità.
Chi accoglie il Signore che nasce?
Accolgono il Signore Gesù innanzitutto Maria e Giuseppe: il mistero della circostanza di quella nascita non può non averli turbati. In viaggio non hanno con sé nulla di quanto può essere necessario a un neonato. Essi accettano di vivere il mistero del volere di Dio in una situazione che, comunque, non li solleva da nessuno degli impegni e delle responsabilità che attengono al quotidiano. Sono genitori poveri, come tanti, alle prese con problemi che li fanno simili a tutti i genitori del mondo. Ma sono persone in ascolto, disponibili al piano di Dio che entra nella loro vita e la sconvolge. È il mistero di Dio che rende la loro vita diversa da quella che avevano accarezzato nel proprio cuore.
Ci sono poi i pastori che accolgono Gesù: gente semplice, povera, umile. Gente senza storia e senza diritti, senza un volto preciso se non quello segnato dal lavoro. Gente che del mondo conosce solo il colore del cielo, l’erba del prato, il latte munto alle pecore, il tempo della tosatura della lana e come si porta in spalla un agnellino appena nato. Eppure è gente che veglia e che accorre. I pastori sono i primi che scoprono il mistero di Dio nel Figlio di Maria.
Più tardi verranno i magi, persone istruite ma libere da ogni forma di presunzione, sono alla ricerca. Conoscono le Scritture del popolo ebraico e sanno riconoscere i segni del cielo. Soprattutto sanno mettersi in cammino quando scoprono una stella che li guida e, dopo un lungo viaggio, liberi dalla loro scienza e dal loro sapere, incontrano anch’essi il bambino che è nato.
Lasciarsi trasformare dal mistero del Natale
Come sarà il nostro prossimo Natale? Dietrich Bonhœffer, pastore luterano, martire del nazismo, ci illumina: «Dio non si vergogna della bassezza dell’uomo, vi entra dentro. […] Dio ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato, l’insignificante, ciò che è emarginato, debole e affranto; dove gli uomini dicono “perduto”, lì egli dice “salvato”. […] Dove gli uomini distolgono con indifferenza o altezzosamente il loro sguardo, lì egli posa il suo sguardo pieno di amore ardente incomparabile. Dove gli uomini dicono “spregevole”, lì Dio esclama “beato”. Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e a Dio, […] proprio lì Dio ci è vicino come mai lo era stato prima, lì egli vuole irrompere nella nostra vita, lì ci fa sentire il suo approssimarsi, affinché comprendiamo il miracolo del suo amore, della sua vicinanza e della sua grazia» («Sermone della 3a Domenica di Avvento», in Id., Riconoscere Dio al centro della vita, Brescia, Queriniana, 2004, 12 s).
Chiediamo al Signore Gesù che nasce per noi il dono di accogliere il mistero del Natale e lasciarci trasformare dalla sua venuta. «Si vive senza pane, senza casa, senza amore, senza felicità: non si vive senza mistero. La natura umana è fatta così. Non ci si può sottrarre al mistero quando si è fatti ad immagine e somiglianza di Dio» (L. Bloy, «Introduzione», in P. Van der Meer, Diario di un convertito, Alba, Paoline, 1969, 9).
Con i migliori auguri di un Buon Natale.
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CHRISTMAS AT A DIFFICULT TIME
The Christmas we celebrate this year is different from those of previous years. The consequences of the conflict in Ukraine are being beyond the confines and are weighing heavily, especially on the weaker fringes of the population. This situation reminds us of a distant past from decades ago that we thought we had left behind. Yet the Lord Jesus is born once again for us, in a situation that calls upon us in greater severity to question ourselves and open ourselves to welcoming the mystery of Christmas. How can the Creator of the universe become incarnate in such a way that is so lacking in dignity and relevance? Why did he take our corruptible flesh, our contradictions, our sin, unto himself to the cross? There is no other answer but contemplation of the mystery of the love of a God who out of love became a child.