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ABSTRACT — Negli ultimi anni il mondo del lavoro è cambiato così in fretta da rivoluzionare stili di vita e modelli etici, portatori di grandi domande di fondo. La quarta rivoluzione industriale, definita Industry 4.0, riguarda gli sviluppi dell’intelligenza artificiale e il digitale. Una rivoluzione che riguarda la stessa definizione di «lavoro» e di «lavoratore»: sul piano culturale è ormai necessario distinguere il worker, il lavoratore tout court, dall’employee (dipendente), il lavoratore subordinato.
Nella Industry 4.0 spicca il concetto di smart working (il lavoro agile): esso mostra che non sono più il «cartellino», il luogo e le mansioni a essere criterio di misurazione, ma la qualità della produttività.
Tra i lavoratori italiani, «coloro che già oggi godono di un grado consistente di autonomia nello scegliere quando, dove lavorare e con quali strumenti, possono essere stimati in circa 250 mila, ma sono almeno 5 milioni i lavoratori che, dal punto di vista delle attività svolte e con le tecnologie attualmente disponibili, potrebbero fare smart working». Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, le imprese che adottano forme di smart working sono passate dal 17% al 30% in un anno. Anche la politica — attraverso un disegno di legge specifico — ha dato una cornice legislativa «leggera» a questa nuova tipologia di lavoro, salvaguardando alcuni diritti. Tuttavia la cultura politica dovrebbe compiere un ulteriore passo avanti. La quarta rivoluzione industriale esige infatti la ristrutturazione dei modelli di organizzazione del lavoro e di un know-how (una specifica conoscenza), specialmente nel campo digitale.
«Dopo Industria 4.0, serve Lavoro 4.0», si afferma da più parti. Come in tutti i cambiamenti epocali, è compito della cultura e delle forze sociali trovare forme di tutela efficaci per il «lavoro degno», che è difeso dal Magistero della Chiesa — per esempio in Evangelii Gaudium si parla di il «lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale» (192) — e affermato nella Costituzione.
L’equilibrio uomo-macchina dell’industria 4.0 è infatti delicato e rischioso. Sul piano antropologico l’uomo è chiamato a rimanere il soggetto della tecnologia, e non un oggetto. Inoltre, il lavoro è valore, ed è alla base della giustizia e della solidarietà. Se eclissiamo il valore, eclissiamo il significato di lavoro.