L’articolo, a circa 50 anni dall’inizio della cosiddetta Ostpolitik vaticana, di cui il maggiore artefice fu mons. Agostino Casaroli, analizza i fondamenti che l’hanno ispirata. Alle prudenti aperture di Giovanni XXIII in materia di rapporti con il mondo comunista (in particolare con l’Urss di Krusciov) fece seguito la svolta voluta da Paolo VI, che impegnò la Santa Sede, e alcuni settori della diplomazia vaticana, in un lento e faticoso tentativo di dialogo con i Paesi del blocco comunista, che avrebbe poi avviato la cosiddetta Ostpolitik, secondo una terminologia coniata dalla diplomazia tedesca nel periodo del cancelliere Willy Brandt, e che dagli osservatori politici fu immediatamente applicata anche all’attività svolta in quel tempo dagli «inviati» della Santa Sede nei Paesi d’Oltrecortina. Tale impresa, volta a tutelare gli interessi cattolici nei Paesi comunisti e a promuovere i diritti umani generalmente misconosciuti, non fu facile e, sebbene contestata da molti sul fronte occidentale, non fu inutile.
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I FONDAMENTI DELLA «OSTPOLITIK» VATICANA

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