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PANE, ROSE E LIBERTÀ. LE CANZONI CHE HANNO FATTO L’ITALIA. 150 ANNI DI MUSICA POPOLARE, SOCIALE E DI PROTESTA, a cura di Cesare Bermani, Milano, Bur-senzafiltro, 2010, I-XXXVIII-200, 3 cd.
La difficoltà di tradurre il titolo del Quartetto n. 3 di Gorecki (cfr Civ. Catt. 2012 I 630) ci faceva optare per un’interpretazione — «dei popoli rimangono i canti…» — che ben si presta a giustificare la recensione di una delle tante pubblicazioni o ristampe di antologie cartacee o in cd o in entrambi i supporti (cfr Amadeus, n. 269, aprile 2012, 40-42), come il caso di quella che presentiamo, che intendono celebrare anche dal punto di vista canoro e musicale i 150 anni dell’unità d’Italia. C. Bermani si può considerare più autore che curatore di questa ricca proposta per diversi motivi: tra quelli meno importanti, perché ha redatto un saggio introduttivo esauriente e ha curato la redazione delle 86 schede (ricche di testi, osservazioni critiche e riferimenti), corrispondenti ad altrettanti canti, contenuti nei tre cd, per circa quattro ore di ascolto; tra i motivi più importanti, perché assieme a Roberto Leydi, Franco Coggiola, Gianni Bosio, Sandra Mantovani, Giovanna Salviucci Marini e altri, è stato tra quanti, specie negli anni Sessanta del secolo scorso, ha girato il Paese in lungo e in largo per registrare storie e testimonianze di una tradizione prevalentemente orale, che altrimenti si sarebbe perduta.
Dal sottotitolo si comprende subito che questa raccolta è dedicata quasi esclusivamente a quella che non possiamo chiamare musica di autore e che, anche per necessità di spazio, non include repertori in relazione al mondo dell’opera o della liturgia (e ninne-nanne, scherzi, favolette ecc.), presenti invece in una precedente raccolta di Achille Schinelli (Novissimo canzoniere italiano, Milano, Signorelli, 1968), dedicata alla coralità più facile e spontanea. Quella antologia, presentata dall’illustre compositore Giulio Paribeni, riportava il rigo musicale, che non si trova nel presente lavoro, il quale offre in cambio più note, i testi cantati (con relative traduzioni nel caso dei dialetti), eventuali fonti a stampa, interpreti e curatori degli originali ecc.
Venendo ad altri pregi della raccolta Pane, rose e libertà, il cui titolo risale a un motto attribuibile a Gramsci e ad altri — e che, a sua volta, allude all’evangelico «non di solo pane vivrà l’uomo…» (Mt 4,4) — osserviamo che concede spazio, anche se non in modo omogeneo, a tutto l’arco del tempo trattato, anzi iniziando oltre 200 anni fa con il canto «Or che innalzato è l’albero», risalente ai moti giacobini del 1797 e che piaceva a Giuseppe Mazzini, tanto che lo cantava accompagnandosi alla chitarra! Scorrendo il volume e ascoltando i cd, si possono rivisitare canti famosi, come l’«Inno di Garibaldi», che contese a lungo la miglior fama a quello di Mameli, e poi «Addio, [mia] bella addio», «Garibaldi fu ferito», «O Gorizia tu sei maledetta», «Fischia il vento», «Per i morti di Reggio Emilia», ma non «Addio a Lugano» o la stessa «Fratelli d’Italia», per ragioni di spazio. Altri titoli si prestano a scoperte e considerazioni interessanti: «Cara mamma [Mamma mia] dammi cento lire» e «Per ben che siamo donne» sono entrate nel repertorio di alcune cantanti famose come Anna Identici («L’uva fogarina») e Gigliola Cinquetti («Sciur padrun…»). Altre come «Sentite buona gente» e «Italia bella mostrati gentile», meno famose, hanno però addirittura dato il titolo a spettacoli, concerti e pubblicazioni. «E Menelik cataflik catafruk» del periodo della guerra in Abissinia, si prestava per il repertorio da cabaret, mentre la «Badoglieide», sulla discussa figura del generale Badoglio, fu cantata tra il 1944 e il 1945, con parole diverse, sui due fronti opposti.
La ballata per la fucilazione, il 15 giugno 1847, del barnabita Ugo Bassi, condannato perché garibaldino, consente di rinfrescare la memoria di uno dei tanti fatti non conosciutissimi del nostro Risorgimento. «Siam partiti in cinquecento» riguarda prima la disfatta all’Amba Alagi (1895), poi quella di Dogali (1897) e avanti, mutando testo, la battaglia del Piave… e non è un caso unico in questa antologia. Venendo più vicino a noi, memorie del Sessantotto, come «Contessa» e «Valle Giulia» si potrebbero accostare al repertorio dei cantautori, come «La locomotiva» di Francesco Guccini di solito si confronta con «I treni per Reggio Calabria» (1985) di Giovanna S. Marini, uno degli ultimi documenti di questa antologia, che si conclude con due soli titoli relativi a fatti svoltisi dopo il 2000: lo sgombero di un campo nomadi a Roma e i violenti episodi del G8 a Genova.