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La polivalenza del termine «cultura» rinvia alla ricchezza di significati del verbo latino colere: coltivare un campo, curare o adornare il proprio corpo, proteggere, abitare, praticare una virtù o lo studio, ma anche onorare, circondare di un culto un certo dio o un santuario ecc.
Da qui la stretta parentela, nelle lingue latine, di agricoltura, cultura (costumi e saperi) e «culto», religioso o civico. È sempre presente l’idea della cura, attenta e avveduta, accordata alla terra, ai poteri che la governano, agli uomini che la abitano, o anche al «terreno» morale e fisico che io sono e che devo coltivare.
Naturalmente, le risonanze differiscono da una famiglia linguistica all’altra. In cinese, il termine utilizzato per «cultura (letteraria)», wen, si riferisce anzitutto all’osservazione e alla conoscenza dei segni, prima celesti, poi scritti. Il carattere jiao designa un insegnamento, una dottrina, in seguito una religione, e si applica anche all’idea di «civilizzare» (jiaohua).
Coltivare, arare sono azioni espresse in particolare dal carattere geng. Ma, tra gli altri, Mencio (ca. 380-289 a.C.), uno dei principali pensatori confuciani, insiste sulla stretta associazione tra «lo sviluppo [letteralmente: l’approfondimento] dell’aratura» (shen geng), da una parte, e «la cultura della pietà filiale» (xiu xiao), dall’altra. In tutti i testi classici dell’antichità cinese, le pratiche agrarie, le prescrizioni rituali e l’osservanza della virtù costituiscono un trittico di cui non si può trascurare un termine senza danneggiare gli altri due.
Come le colture cerealicole hanno plasmato società e rituali
In gran parte del mondo le colture sono principalmente cerealicole. Certo, le fonti di alimentazione fornite dai legumi, dalle colture oleoproteaginose o dalla coltivazione dei tuberi sono anch’esse legate a modi di fare, a una visione del mondo, a miti e a una memoria da cui si plasma l’ethos del gruppo che ne dipende…