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La prima volta che mons. Maffeo Ducoli, vescovo di Belluno-Feltre, avendo ricevuto non poche sollecitazioni, parlò alla Congregazione dei Santi della possibile apertura della causa per la bea-tificazione di Giovanni Paolo I, gli fu fatto osservare che, oltre a Pio X, già canonizzato, erano allora in corso le cause di Pio IX, Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI, e forse per il momento questi papi potevano bastare. Egli quindi soprassedette, anche se i vescovi brasiliani nel 1990 avevano già presentato a Giovanni Paolo II una petizione in tal senso, firmata dai 226 membri della Conferenza, interpretando l’aspirazione dei loro fedeli.
Ma il successivo vescovo di Belluno-Feltre, mons. Vincenzo Savio, continuando a ricevere molte richieste, riprese l’iniziativa nei primi anni 2000, chiedendo che la sede dell’inchiesta diocesana fosse la sua diocesi e non quella di Roma, luogo della morte di papa Luciani, data la brevità della sua permanenza nell’Urbe. Nel 2003 la Congregazione concesse il nulla osta. Nel lungo lavoro compiuto nella fase diocesana e in quella successiva romana sono stati ascoltati ben 188 testimoni di ogni condizione ecclesiale, fra i quali anche il papa emerito Benedetto XVI, caso finora unico, dato che un papa «in carica» non può testimoniare, essendo il giudice della causa.
Nel novembre del 2017 papa Francesco ha autorizzato il decreto di riconoscimento delle «virtù eroiche» di Luciani e nell’ottobre del 2021 quello relativo alla guarigione miracolosa di una bimba di Buenos Aires, affetta da encefalopatia acuta. Si è aperta così la via per la beatificazione, che sarà celebrata il prossimo 4 settembre in San Pietro.
Il seminarista e il prete bellunese
Albino Luciani nasce il 17 ottobre 1912 a Forno di Canale (oggi Canale d’Agordo), nel Bellunese, in una famiglia di condizioni modeste, e viene immediatamente battezzato dalla levatrice perché in pericolo di vita[1]. Il padre Giovanni, di idee socialiste, lavora come migrante stagionale, da marzo a novembre per 27 anni, in Germania, Francia, Svizzera e Argentina. Gli anni della Prima guerra mondiale, e soprattutto dell’invasione austriaca dopo la rotta di Caporetto, sono durissimi, di vera miseria. La madre Bortola, fervente cattolica, avvicina il marito alla fede, tanto da concedere al figlio Albino l’autorizzazione a entrare in seminario nel 1923 e intraprendere la via del sacerdozio.
L’itinerario della sua formazione è lineare, ordinario: una vocazione senza incrinature e incertezze. Prima gli studi ginnasiali nel seminario minore di Feltre, poi il liceo e la teologia nel seminario di Belluno. Una figura fondamentale della sua giovinezza è il parroco di Canale, don Filippo Carli, modello di vita sacerdotale e di intelligente valorizzazione delle doti del giovane seminarista. Ad esempio, fin da piccolo Albino è un lettore appassionato, divoratore di libri; per questo don Filippo lo incarica di catalogare l’antica biblioteca parrocchiale e lo incoraggia a scrivere sul nuovo Bollettino parrocchiale, sempre con stile semplice e chiaro. Durante la teologia, Albino sente l’attrazione della vita religiosa e chiede al vescovo di entrare nella Compagnia di Gesù, come hanno fatto due suoi compagni[2], ma la richiesta non viene accolta ed egli prosegue serenamente nel solco della vocazione al clero diocesano.
Il 1935 è l’anno del sacerdozio: Albino non ha ancora 23 anni, ma riceve la necessaria dispensa canonica per l’ordinazione. Il suo primo ministero è ad Agordo, come cooperatore parrocchiale e insegnante di religione nella scuola. Già in questo periodo aderisce all’Unione apostolica del clero, un sodalizio i cui membri assumono l’impegno di una vita spirituale e di preghiera intensa e fedele, pur fra gli obblighi di un servizio apostolico molto attivo. Ma dopo due soli anni viene nominato vicerettore del Seminario Gregoriano di Belluno.
In questo compito trascorre 10 anni interi della sua vita, collaborando con la forte personalità del nuovo rettore, mons. Santin, che lo ha voluto con sé nonostante l’ancor giovane età. Il vicerettore è incaricato anzitutto della disciplina, dell’ordine nelle attività dei seminaristi nel corso dell’intera giornata, che inizia con la sveglia alle 5,40 e si conclude con il riposo a partire dalle 21 o le 22. Per la sua preghiera personale don Albino si alza regolarmente intorno alle 4 del mattino. Oltre alla vigilanza, vi sono anche diversi insegnamenti, che spaziano dalla teologia dogmatica al diritto canonico, alla filosofia, alla storia dell’arte e all’eloquenza sacra. Il vicerettore viene descritto come rigoroso e molto attento; non gli sfugge nulla, ma è paziente e non autoritario, vicino ai suoi giovani e disponibile al consiglio e al conforto. Nell’insegnamento è chiaro, didatticamente efficace, favorito da una memoria eccezionale e da una cultura che continua a essere alimentata da numerose letture, anche notturne[3]. Le sue lezioni sono ben preparate e memorizzate, non hanno bisogno di appoggiarsi al testo scritto: questa caratteristica particolare si ritroverà nella sua predicazione e nel suo magistero fino al pontificato.
Per un insegnamento più qualificato era opportuno che i professori del seminario avessero formazione adeguata e titoli accademici, però né il rettore né il vescovo erano disposti a privarsi della presenza di Luciani come vicerettore: perciò la richiesta alla Sacra Congregazione competente perché Luciani potesse iscriversi all’Università Gregoriana per conseguire la licenza e il dottorato in teologia venendo dispensato dall’obbligo della frequenza. Nonostante la grande difficoltà, la dispensa fu ottenuta. Vanno ricordati a questo proposito l’incoraggiamento, l’amicizia e l’appoggio di p. Felice Cappello, gesuita, autorevole canonista della Gregoriana e «compaesano» di Luciani. Fu così che don Albino riuscì a conseguire la licenza in teologia nel 1942, e la laurea nel 1947, magna cum laude, con una tesi su L’ origine dell’anima umana secondo Antonio Rosmini[4]. Ma il raggiungimento di questi traguardi aveva richiesto uno sforzo eccezionale. Non c’è quindi da stupirsi che la sua salute ne risultasse compromessa. Per alcuni mesi don Albino viene ricoverato in sanatorio a Belluno e dopo la convalescenza si rende necessario un secondo ricovero, fortunatamente più breve. Ma il faticoso incarico di vicerettore ha termine.
Anche se l’impegno in seminario e nello studio caratterizza la quotidianità di questo decennio della vita di Luciani, non va dimenticato che questo è allo stesso tempo il periodo drammatico della Seconda guerra mondiale e, dopo l’8 settembre 1943, della lotta partigiana, che coinvolge anche il Bellunese. In questo periodo, nel corso di una rappresaglia tedesca e della reazione partigiana nell’agosto del 1944, si ricorda un intervento di don Albino per salvare dalla fucilazione alcuni uomini sequestrati.
Mons. Girolamo Bortignon, diventato giovanissimo vescovo di Belluno nel corso della guerra, ha un’alta stima di don Albino e gli affida compiti di responsabilità crescente nella vita della diocesi. Nel 1947 è pro-cancelliere vescovile e segretario del Sinodo diocesano, nel 1949 pro-vicario e direttore dell’Ufficio catechistico. Nel campo della catechesi don Albino dimostra non solo un grande impegno, ma un vero dono, di cui è espressione il volumetto Catechetica in briciole, del 1949, per la formazione dei catechisti: uno scritto di chiarezza, concretezza e saggezza che non mancano di suscitare ammirazione a 70 anni di distanza[5]. Si comprende subito che il suo autore, in ogni tappa della sua vita, dedicherà il meglio di sé alla formazione alla fede, con i fanciulli, i giovani, gli adulti…
Il nuovo vescovo, mons. Gioacchino Muccin, nel 1954 lo nomina vicario generale, cosicché il suo coinvolgimento nel governo della diocesi continua a crescere, sia nel campo amministrativo sia in quello apostolico (ad esempio, nella formazione dei giovani impegnati nella vita sociale e politica bellunese). Ma vale la pena notare che in questi anni si sviluppa anche l’attività pubblicistica sul settimanale diocesano L’ Amico del popolo – peraltro mai interrotta fra il 1941 e il 1956 –, senza rifuggire dai temi di attualità: non si dimentichi che nel 1948 il clima elettorale era stato infuocato e la Chiesa si era schierata per la Democrazia Cristiana. Luciani si è sempre impegnato nello scrivere: si può dire che è un vero giornalista, dallo stile scorrevole ed efficace. Ma il suo impegno non si limita alla stampa e si estende agli altri media. Nel 1956 egli promuove il primo Cineforum cittadino, dimostrandosi attivamente partecipe a una forma di dialogo e presenza dei cattolici italiani nella cultura del tempo, allora in pieno sviluppo.
Il vescovo del Concilio Vaticano II
È naturale che i vescovi che lo avevano scelto come principale collaboratore – Bortignon (nel frattempo passato a Padova) e Muccin – lo propongano per l’episcopato. All’inizio del pontificato di Giovanni XXIII don Albino viene nominato vescovo di Vittorio Veneto. Ordinato dal Papa stesso in San Pietro alla fine di dicembre del 1958, entra in diocesi pochi giorni dopo: ha 46 anni.
Anche questo periodo durerà esattamente un decennio e sarà decisivo nella vita di Luciani. La disposizione spirituale con cui accoglie il nuovo servizio è profonda e limpida, come egli stesso scrive nella prima lettera alla diocesi: «Io la polvere; la insigne dignità episcopale e la diocesi di Vittorio Veneto sono le cose belle che Dio si è degnato di scrivere su di me»[6]. Il motto episcopale che sceglie è la sola parola humilitas, secondo l’esempio di san Carlo Borromeo.
Il nuovo vescovo si immerge totalmente nella vita pastorale, si dedica alla formazione del clero e del laicato, consapevole delle trasformazioni in atto nella società italiana, cura la catechesi, compie due visite pastorali dell’intera diocesi, conduce una vita austera, ben ordinata nella distribuzione delle pratiche religiose e dello studio e aggiornamento, come pure delle visite ai malati. Talvolta il primo appuntamento del mattino era fissato già alle sette! Il rapporto con le suore che si occupano del vescovado è semplice e familiare, pieno di rispetto e gentilezza: sono le suore di Maria Bambina, fra cui suor Vincenza Taffarel, che lo accompagnerà fedelmente per tutta la vita, anche a Venezia e infine a Roma…
Ma nei primi anni di episcopato non mancano le difficoltà. Nel 1962 viene alla luce ed esplode una gravissima situazione di dissesto finanziario della diocesi, di cui sono responsabili due sacerdoti. Il vescovo affronta con coraggio il problema, muovendosi con tempestività e saggezza e riesce in alcuni mesi a trovare soluzioni soddisfacenti, per cui riceve da vescovi, sacerdoti, autorità e laici attestazioni di solidarietà e di ammirazione. Riesce a coniugare il rispetto dei diritti dei creditori, la collaborazione con la giustizia civile, la carità verso i colpevoli condannati, la giusta informazione alla diocesi coinvolta nei sacrifici da affrontare: insomma, un modello di intervento coraggioso e trasparente.
Ma il periodo vittoriese di Luciani è caratterizzato soprattutto dalla partecipazione al Concilio Vaticano II, in tutte e quattro le sue sessioni, dal 1962 al 1965. Egli non interverrà mai nell’Aula conciliare, presenterà solo un voto durante la preparazione e un intervento scritto sulla collegialità episcopale nel 1963; ma sarà sempre presente con viva attenzione, prendendo appunti e studiando approfonditamente i documenti, come appare dalle sue annotazioni e osservazioni sulle bozze dei testi[7]. La sua partecipazione umile e intelligente è accompagnata da una informazione assidua della diocesi e dalla trasmissione degli orientamenti e insegnamenti conciliari, tramite gli scritti e la parola. Egli manifesta entusiasmo per la riforma liturgica e si impegna per la sua attuazione, avvia i consigli pastorale e presbiterale diocesani. La novità del Concilio lo sorprende e lo coinvolge in un cammino paziente e profondo, verso orizzonti più larghi. Vive la novità nella continuità e con piena disponibilità, alieno da entusiasmi superficiali e dalla mera enfasi verbale sui «segni dei tempi», sull’«aggiornamento» o sul «rapporto Chiesa-mondo». Riflette con attenzione sulle posizioni teologiche presentate dagli episcopati europei più preparati, sviluppa conoscenze e rapporti con vescovi del «Terzo Mondo» che sono all’origine del suo accresciuto interesse per le missioni e dei suoi successivi viaggi in Africa e in Brasile. La sua esperienza ecclesiale e spirituale negli anni del Concilio sviluppa in lui una sintonia molto profonda con Paolo VI e con la sua guida della Chiesa, coraggiosa, prudente ed equilibrata allo stesso tempo. Si può ben dire che l’episcopato di Luciani rispecchia a livello diocesano lo spirito e lo stile del papato montiniano.
Il Luciani degli anni Sessanta dopo il Concilio è un vescovo sempre fedelissimo ai suoi impegni diocesani, ma maggiormente coinvolto nella Conferenza episcopale triveneta e che deve confrontarsi con le sfide assai difficili dei cambiamenti della cultura e della società italiana ed europea. Lo troviamo impegnato nei problemi del mondo del lavoro e delle lotte sindacali; nel dibattito sulla legislazione italiana sul divorzio; nelle tensioni della «contestazione», che si diffonde anche nella Chiesa, con la conseguente crisi di vocazioni; nel dibattito sui rapporti fra i compiti del magistero e la libertà di ricerca dei teologi. Degna di nota è l’intensità di studio e di riflessione con cui egli si coinvolge nella delicata e discussa questione della regolazione delle nascite. La sua sensibilità pastorale lo fa propendere per una posizione «possibilista», offrendo alla vita affettiva e sessuale della coppia sposata una «moderata libertà», senza una preclusione egoista nei confronti della vita. È stato detto che «il suo intento era quello di non tradire il Vangelo e di non porre pesi troppo grandi agli sposi». La sua posizione era quindi diversa da quella che sarà assunta da Paolo VI nella Humanae vitae, a cui tuttavia egli si adegua prontamente e pienamente, non senza leggerla e interpretarla sempre alla luce di uno sguardo ricco di comprensione e di misericordia.
Patriarca di Venezia in un tempo difficile
Nell’autunno del 1969 muore improvvisamente il patriarca di Venezia, card. Giovanni Urbani, e il 15 dicembre Paolo VI annuncia la nomina di Luciani come suo successore. Una nuova tappa dunque, ancora in Veneto, ma in un contesto sociale e urbano diverso, con responsabilità e orizzonti sempre più vasti. Luciani diventa presidente della Conferenza episcopale triveneta, entra nella presidenza della Conferenza episcopale italiana e ne è eletto vicepresidente. Paolo VI lo nomina membro del Sinodo dei vescovi del 1971 e, quando visita Venezia nel 1972, compie il famoso e inaspettato gesto di imporgli la propria stola davanti alla gente in piazza San Marco; infine nel 1973 lo crea cardinale.
Nel suo stile di vita e di pastorale, il nuovo patriarca rimane fedele a sé stesso, sobrio e attento ai poveri e ai malati, semplice e amabile nel tratto. Nella sua omelia di ingresso in diocesi, l’8 febbraio 1970, ritorna il tema della «polvere»: «Se non mi scoraggio di fronte a un’impresa che fa tremare le vene e i polsi, gli è perché confido nell’aiuto che il Signore concede anche a chi vale poco. Dio, infatti, certe cose grandi ama talvolta scriverle non sul bronzo o sul marmo, ma addirittura sulla polvere, affinché se la scrittura resta, non scompaginata o dispersa dal vento, risulti chiaro che il merito è tutto e solo di Dio. Sono io la polvere: l’ufficio di patriarca e la diocesi di Venezia sono le grandi cose unite alla polvere; se un po’ di bene verrà fuori da questa unione, è chiaro che sarà tutto merito della misericordia del Signore»[8].
Luciani non scrive alcun documento programmatico. Interverrà con le omelie e le lettere per i maggiori appuntamenti della Chiesa italiana, con gli articoli per il quotidiano veneziano Il Gazzettino e per il settimanale diocesano – prima La Voce di San Marco e poi Gente veneta – e sulla popolare rivista Messaggero di Sant’Antonio. I suoi contributi mensili a questo periodico, nella forma originale della lettera a personaggi famosi, in stile colloquiale, ma sempre su temi di grande attualità, saranno raccolti nel volume Illustrissimi, la sua opera più nota[9]. Luciani è uno scrittore e un predicatore di vaglia. La semplicità del linguaggio non deve ingannare: i testi sono molto curati, ricchi di esempi e di riferimenti tratti da grandi autori, anche se spesso questi non vengono esplicitamente citati. La sua cultura non viene esibita: è vissuta e assimilata così profondamente da esprimersi con spontaneità in una grande varietà di interventi su temi spirituali, pastorali, morali, sociali, educativi, di cui il vescovo deve occuparsi nel corso degli anni. Il Patriarca sarà sempre molto impegnato nel sostenere e promuovere la stampa cattolica.
Durante gli anni veneziani, Luciani partecipa ai tre Sinodi dei vescovi di quel periodo: nel 1971, nel 1974, nel 1977. Si consolidano così le sue conoscenze, le sue relazioni e il suo senso di appartenenza alla Chiesa universale. Il Sinodo del 1977 è dedicato alla catechesi: un argomento in cui la sua competenza ed esperienza sono di prim’ordine e su cui la Chiesa in Italia ha fatto un grande cammino per la redazione dei nuovi catechismi. Il contributo del Patriarca nel corso della preparazione e nel Sinodo stesso merita davvero di essere ricordato. La trasmissione della fede era la gioia e l’impegno prioritario della sua vita.
La situazione della diocesi ereditata dal card. Urbani non è facile, e Luciani, che a differenza del predecessore non viene dal clero veneziano, deve governarla nel tempo critico del postconcilio e delle sue tensioni. Rileggere quegli anni significa ripercorrere un periodo dinamico, ma anche assai travagliato della storia della Chiesa italiana: è il tempo della «scelta socialista» delle Acli e della loro rottura con i vescovi; del «compromesso storico» e della discussione sulla collaborazione con i marxisti; del terrorismo; della crisi dell’Azione Cattolica; delle divisioni in occasione del referendum sul divorzio e delle posizioni dei «cattolici democratici»; del «dissenso cattolico», che si manifesta in varie forme, nella stampa come in situazioni locali. Anche a Venezia, come in molte altre città italiane, si giunge a situazioni di conflitto del vescovo con qualche comunità concreta: in particolare, con la comunità di San Trovaso, della Fuci. Non mancano problemi per l’insegnamento della teologia nel seminario, come per le libertà eccessive nell’attuazione del rinnovamento liturgico in certe parrocchie.
Luciani è persona di dialogo, ma anche di posizioni ferme, a cui si ritiene obbligato dal suo ministero di vescovo. In generale i suoi interventi seguono registri molto chiari: non vengono messi in discussione la dottrina della Chiesa e il ruolo del magistero nella Chiesa; sia l’evangelizzazione sia la promozione umana fanno parte della missione della Chiesa, ma la prima precede l’altra. Di conseguenza non mancano fratture, che non si riusciranno a sanare, e momenti di grande sofferenza[10]. Ma il suo senso di responsabilità e prudenza, di fedeltà alla tradizione della Chiesa e di solidarietà con il Papa e i confratelli vescovi gli attirano una stima e una fiducia crescente nella Chiesa italiana, e non solo. Ancora una volta, non possiamo non osservare che le croci del pontificato di Paolo VI e lo spirito con cui vengono portate trovano un profondo parallelo nell’episcopato di Luciani.
«Lo spazio di un sorriso»
Forse è anche per questo che alla morte di Paolo VI, pur con sua sorpresa, Luciani viene eletto papa dopo un conclave brevissimo. La sua continuità con la linea di papa Montini era probabilmente diventata col tempo assai più chiara ai suoi elettori di quanto egli non pensasse. «Ieri mattina io sono andato alla Sistina a votare tranquillamente. Mai avrei immaginato quello che stava per succedere», dirà all’Angelus domenicale del 27 agosto 1978.
Se gli otto anni e mezzo di patriarcato veneziano lasciano il ricordo di un tempo di generoso e fedele servizio ecclesiale, ma anche di difficoltà e sofferenza, il brevissimo mese di pontificato, nonostante l’improvvisa e inattesa conclusione, lascia un ricordo indelebile di serenità e di luce. Come è stato detto efficacemente: «lo spazio di un sorriso».
Bastarono pochi giorni per vedere e sentire novità durevoli. Non più il rito dell’incoronazione e la tiara, a cui Paolo VI aveva rinunciato a vantaggio dei poveri; non più il plurale maiestatico nei discorsi e nelle catechesi, che assumono uno stile semplice e diretto inconfondibile e manifestano la precisa volontà di farsi capire da tutti, anche dalle persone più umili. E la libertà originale di assumere un doppio nome, quel «Giovanni Paolo» che, ripreso dal suo successore, sentiremo ripetere ancora per decenni. Esso evoca di per sé stesso il Concilio, il rinnovamento della Chiesa nel nostro tempo, i due pontefici – ormai proclamati santi – di cui il vescovo Luciani si è sentito discepolo e debitore.
Il pontificato si apre con un messaggio inaugurale in latino che – articolato in sei «vogliamo» – esprime i punti di un programma di piena continuità: attuazione del Concilio, custodia della grande tradizione della Chiesa, primato dell’evangelizzazione, ecumenismo, dialogo, servizio della pace. Tuttavia rimarranno più impressi nella memoria i cinque brevi Angelus domenicali e le quattro udienze generali sulle virtù dell’umiltà, della fede, della speranza e della carità. Possiamo aggiungere l’attenzione e la preghiera del Papa per i colloqui di pace per il Medio Oriente a Camp David; alcune altre udienze e diverse lettere ufficiali di circostanza.
Ma forse il discorso che vale più la pena di ricordare è quello tenuto il 30 agosto al collegio dei cardinali che lo hanno eletto. È stato pubblicato per la prima volta poche settimane fa, perché finora era stato diffuso solo un testo ufficiale, quasi insopportabile nella sua aulicità maiestatica, e perciò lasciato completamente da parte dal Papa[11]. Nella trascrizione della registrazione custodita alla Radio Vaticana ritroviamo invece tutta la spontaneità di papa Luciani. Ascoltiamone qualche brano: «Qui vedo il cardinal Felici. Con la sua solita amabilità, prima che finisse lo scrutinio è venuto, perché era appena davanti a me, e ha detto: “Messaggio per il nuovo Papa”. “Grazie”, ho detto io, ma non ero ancora fatto. Ho aperto. Cosa c’era? Una piccola Via Crucis. Quella è la strada dei papi, però nella Via Crucis uno dei personaggi è anche il Cireneo. Spero che i miei confratelli cardinali aiuteranno questo povero cristo, Vicario di Cristo, a portare la croce con la loro collaborazione, di cui io sento tanto bisogno… Al Concilio abbiamo tentato di dare con frasi bibliche una qualche idea della Chiesa, “vigna di Cristo, famiglia, gregge del Signore, popolo di Dio” ecc. Nessuno che io sappia ha osato dire – non sarebbe stato biblico – che la Chiesa è anche, almeno nella sua organizzazione esterna, un orologio che, con le sue lancette, segna al mondo certe direttive. Può essere detta anche così: ma allora quelli che silenziosamente danno ogni giorno la carica, ricaricano, sono quelli della Congregazione, un lavoro umile, nascosto, però molto prezioso, che va apprezzato, del quale io sono del tutto ignorante, proprio devo dire… La prima roba che ho fatto, appena fatto papa – ho avuto un po’ di tempo – prendere in mano l’annuario, studiarlo un po’… gli organismi della Santa Sede, tanto sono ignorante e distante dal conoscere bene gli ingranaggi della Santa Sede. Spero che mi aiutiate». E dopo aver letto alla fine il testo ufficiale della benedizione apostolica: «In nome di Cristo imparto… le primizie della mia propiziatrice Apostolica Benedizione», papa Luciani non può trattenersi dal commentare: «Un po’ aulico il linguaggio. Abbiate pazienza! Devo dare la benedizione? Sit nomen Domini benedictum…».
Sulla morte inattesa di papa Luciani e sulle sue cause è stato scritto molto. Non ci dilungheremo. I sospetti e la confusione sono stati in realtà favoriti dall’improvvida decisione delle autorità della Segreteria di Stato – prese di sorpresa dagli eventi la mattina del 29 settembre – di dare, nel comunicato ufficiale della Sala Stampa, una versione non vera. Vi si diceva che il Papa era stato trovato morto dal segretario particolare, p. John Magee. Invece era stato trovato da suor Vincenza Taffarel, accompagnata da suor Margherita Marin, preoccupate perché il Papa non era ancora andato a pregare in cappella all’ora solita, poco dopo le 5 del mattino. Il Papa era nel suo letto, con ancora fra le mani i fogli che leggeva, in atteggiamento composto e con un leggero sorriso, stroncato la sera prima da morte del tutto subitanea. Ai monsignori era però sembrato sconveniente dire che il Papa morto fosse stato trovato da due suore entrate nella sua camera, e avevano loro imposto di attenersi alla versione ufficiale.
In occasione della raccolta della documentazione per la beatificazione, nel 2009 viene finalmente richiesta autorevolmente la testimonianza di suor Margherita Marin, l’unica ancora in vita fra le quattro suore presenti nell’appartamento papale in quei giorni, e la sua narrazione, precisa e limpida, scioglie ogni dubbio. Il racconto della suora – che è stato poi anche videoregistrato e che tutti possono vedere e ascoltare – è davvero toccante. La Biografia documentata ricostruisce con precisione, in modo del tutto esauriente, gli eventi degli ultimi giorni del Papa e del suo ritrovamento ormai morto, e riporta le dichiarazioni del medico, il dottor Renato Buzzonetti, che constata il decesso e lo considera «morte improvvisa», naturale, istantanea, avvenuta presumibilmente verso le ore 23 per infarto miocardico acuto. Si aggiunge anche un’ampia e completa «storia clinica» sulla salute di papa Luciani nel corso della sua vita fino agli ultimi giorni. In conclusione, risulta che la morte improvvisa non era prevedibile[12].
Quale santità?
Per concludere, possiamo domandarci quali siano le caratteristiche della santità di Albino Luciani.
Fra le virtù risalta certamente l’umiltà. Quando parla di sé come «polvere», Luciani non manifesta un atteggiamento affettato o artificioso. È proprio quello che pensa: si riconosce chiamato per grazia a un servizio più grande di lui. Parlando dei documenti personali lasciati da papa Luciani, il prefetto dell’Archivio apostolico vaticano, mons. Sergio Pagano, commentandone l’esiguità rispetto a quelli di altri personaggi, ha fatto un’osservazione molto eloquente: «Nella sua innata umiltà, Giovanni Paolo I non pensava affatto di passare alla storia»[13]. Quando fu eletto papa, a Vittorio Veneto la gente, che lo conosceva bene, diceva: «A forza di tirarsi indietro è diventato papa!». Sull’intensità e fedeltà della sua vita di preghiera, specchio di una fede vissuta, come pure sulla sua carità verso gli altri, a cominciare dai malati e dai poveri, si potrebbero riportare testimonianze a non finire. Ma non è necessario.
Riteniamo invece importante mettere in luce che la sua testimonianza è quella di un sacerdote, e soprattutto di un vescovo, che vive fino in fondo, giorno dopo giorno, la sua missione, in umiltà appunto, in povertà e spirito di servizio. Il Concilio Vaticano II ha messo in risalto il ministero del vescovo, la sua responsabilità di servizio per il popolo che gli è affidato, in unione con il papa e nel contesto della collegialità episcopale. Luciani ne è stato certamente un modello. Parlando ai cardinali che lo hanno eletto papa, ricorda – con un po’ di nostalgia – il suo servizio in diocesi: «Il mio lavoro era: ragazzi, operai, malati, visite pastorali. Non potrò più fare questo lavoro. Ma voi potete farlo. Non dovete però pensare solo alla vostra diocesi. I vescovi devono pensare anche alla Chiesa universale»[14]. Per la fedeltà alla sua missione, Luciani ha dovuto e saputo soffrire, dimostrando fortezza pur nella sua naturale timidezza. È un punto su cui ha insistito l’allora cardinale Ratzinger: «Personalmente sono convintissimo che era un santo. Per la sua grande bontà, semplicità, umiltà. E per il suo grande coraggio. Perché aveva anche il coraggio di dire le cose con grande chiarezza, anche andando contro le opinioni correnti. E anche per la sua grande cultura di fede. […] Era un uomo di grande cultura teologica e di grande senso ed esperienza pastorale»[15].
Ma l’aspetto della santità per cui alla fine più ci piace ricordare Giovanni Paolo I, e che meglio si è manifestato al mondo intero nel suo brevissimo pontificato, è la gioia vissuta nell’annuncio del Vangelo, nella sua impareggiabile catechesi diretta a tutti, a cominciare dai piccoli e dai semplici. Parlandone sulle pagine di questa rivista, pochi giorni dopo la sua morte, un nostro caro confratello ebbe a scrivere: «Queste conversazioni piane, alla portata di tutti, rappresentano il vertice di una vita dedicata per intero alla contemplazione delle cose divine e all’elaborazione di un modo di comunicarle che fosse insieme concreto e avvincente. Il richiamo alla gioia e alla serenità cristiana, fatto in un momento che per il Papa non era privo di gravi preoccupazioni, ci dice che la vita è un dono che va ricevuto con amore e offerto senza calcoli. Per chi vive nella luce del Signore, non è da poco poter morire col sorriso sulle labbra»[16].
Una vocazione di maestro della fede pienamente realizzata.
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[1]. La biografia più completa di Giovanni Paolo I è quella redatta per la Positio della causa di beatificazione e che costituisce il quarto dei cinque volumi della stessa. Nel 2018 ne è stata autorizzata una prima edizione a parte, e nel 2020 è stata edita dalla Fondazione vaticana Giovanni Paolo I e dalla Libreria Editrice Vaticana: S. Falasca – D. Fiocco – M. Velati, Giovanni Paolo I. Biografia ex documentis, con prefazione del card. Beniamino Stella. Si tratta di un volume di grande formato, di 984 pagine, con oltre 4.300 note. Su di essa ci siamo basati per questo articolo.
[2]. Uno è p. Roberto Busa, che diventerà noto per l’applicazione dell’informatica all’analisi linguistica dei testi di san Tommaso, e resterà amico di Luciani per tutta la vita.
[3]. La lista degli autori frequentati e amati da Albino Luciani, e da lui citati nei suoi scritti e nei suoi discorsi, è vastissima. Possiamo ricordarne solo alcuni. Fra gli ecclesiastici: sant’Agostino, san Gregorio Magno, san Bernardo, san Francesco di Sales, santa Teresa di Lisieux, Charles de Foucauld ecc. Fra i letterati: Dante, Petrarca, Shakespeare, Pascal, Molière, Goldoni, Manzoni, Dostoevskij, Papini, Dickens, Chesterton, Trilussa ecc. L’ampiezza della sua cultura letteraria è tanto più impressionante quando si pensa che non è dovuta a studi sistematici, ma alla convinzione che la grande letteratura gli permettesse di entrare in profondità nella vicenda e nella sapienza umana e fosse così lo strumento adatto per nutrire il suo sermo humilis, che parlava della realtà della vita e del Vangelo con le parole del popolo.
[4]. La tesi è stata ripubblicata nel primo volume di A. Luciani/Giovanni Paolo I, Opera omnia, a cura di G. Fedalto, Padova, Messaggero, 1988. L’Opera omnia, in 9 volumi, raccoglie la quasi totalità degli scritti pubblicati di Luciani, comprese le omelie, le lettere, i numerosissimi articoli sulla stampa cattolica ecc.
[5]. Anche questo scritto è ripubblicato nel primo volume di Opera omnia, cit.
[6]. A. Luciani/Giovanni Paolo I, Opera omnia, cit., vol. II, 11.
[7]. I documenti sono conservati nell’archivio personale di Giovanni Paolo I, custodito e studiato dalla Fondazione vaticana Giovanni Paolo I, presieduta dal card. Pietro Parolin e diretta dalla vice-presidente e vice-postulatrice della causa, dr.ssa Stefania Falasca. La Fondazione lavora anche per la ricostruzione della biblioteca personale di Luciani, che era stata sempre per lui uno strumento prezioso di studio e lavoro, ma scorporata nei successivi traslochi.
[8]. A. Luciani/Giovanni Paolo I, Opera omnia, cit., vol. V, 14.
[9]. Anch’essa è ripubblicata nel primo volume di Opera omnia.
[10]. Drammatica la partecipazione, in preghiera e assoluto silenzio, inginocchiato nel presbiterio, durante il funerale di un sacerdote suicida, che era stato allontanato dalla parrocchia per volontà del patriarca (S. Falasca – D. Fiocco – M. Velati, Giovanni Paolo I. Biografia ex documentis, cit., n. 1, 508).
[11]. È uno dei testi più interessanti del nuovo volume: Giovanni Paolo I, Il Magistero. Testi e documenti del Pontificato, a cura della Fondazione Vaticana Giovanni Paolo I, Libr. Ed. Vaticana – San Paolo, 2022, 67-75. Il volume, di 470 pagine, comprende tutti i testi del mese di pontificato, non solo nella versione ufficiale già pubblicata, ma anche – a fronte – i testi effettivamente pronunciati, con tutte le integrazioni e varianti desunte dalla trascrizione delle registrazioni conservate alla Radio Vaticana. Inoltre vengono riprodotti integralmente l’agenda e il block-notes autografi del pontificato, con la loro minuziosa trascrizione e un ampio corredo di note: si può così penetrare nella dinamica della preparazione degli interventi del Papa.
[12]. Riteniamo che l’intero capitolo XII della Biografia ex documentis si possa considerare del tutto affidabile e «definitivo». Ogni ipotesi complottistica o fantasiosa sulla morte di papa Luciani può essere tranquillamente archiviata.
[13]. Intervento alla Giornata di studio: «Il magistero di Giovanni Paolo I alla luce delle carte d’archivio», organizzata dalla Fondazione vaticana Giovanni Paolo I presso la Pontificia Università Gregoriana, 13 maggio 2022.
[14]. Giovanni Paolo I, Il Magistero, cit., 72.
[15]. J. Ratzinger, «Il Signore sceglie la nostra povertà», intervista in 30Giorni, 2003, n. 8-9, 16.
[16]. V. Fantuzzi, «La catechesi di Giovanni Paolo I», in Civ. Catt. 1978 IV 111.