a cura di V. FANTUZZI
La duchessa di Langeais (Francia – Italia, 2007). Regista: JACQUES RIVETTE. Interpreti principali: J. Balibar, G. Depardieu, B. Ogier, M. Piccoli.
Sotto il titolo Storia dei tredici (Histoire des treize) Balzac ha riunito tre racconti (Ferragus; La duchessa di Langeais; La ragazza dagli occhi d’oro), il secondo dei quali, già portato sullo schermo nel 1942 da Jacques de Baroncelli e Jean Giraudoux con Edwige Feuillère e Pierre Richard-Willm come interpreti, torna nelle sale cinematografiche per iniziativa di Jacques Rivette, regista che, all’alba degli anni Sessanta, assieme a Jean-Luc Godard, François Truffaut ed Eric Rohmer, diede vita alla nouvelle vague. La trascrizione sostanzialmente fedele del testo letterario è stata curata da Rivette con l’aiuto di Pascal Bonitzer e Christine Laurent. I «tredici» di cui parla Balzac sono i componenti di una società segreta, che comprende uomini dell’alta società parigina disposti a spingersi fino al delitto pur di riparare ai torti, reali o presunti, subiti da uno di essi. A tale società, guidata da un ex-galeotto, aderisce il generale Armand de Montriveau, coprotagonista assieme alla duchessa Antoinette de Langeais del secondo racconto.
Il titolo originale del film, Ne touchez pas la hache, riprende quello che il racconto aveva prima di essere inserito nel grande affresco de La comédie humaine. «Non toccate la scure!», dice il guardiano del museo di Westminster, evocato in una battuta del film, ai visitatori che entrano nella sala dove è custodita la scure che nel 1647 ha troncato il capo del re Carlo I. La duchessa di Langeais (Jeanne Balibar), che ha stuzzicato i sentimenti di Montriveau (Guillaume Depardieu), uomo d’armi già discepolo di Napoleone, mostrando interesse per i racconti delle sue avventure come militare e come esploratore, fino a suscitare in lui una passione irrefrenabile, ha trasgredito metaforicamente il divieto del guardiano del museo. Dovrà sopportare fino in fondo le conseguenze di un comportamento, frivolo in apparenza ma in realtà molto crudele, che l’ha indotta, quasi senza avvedersene, a giocare con il fuoco.
Storia di un amore contrastato, ma sarebbe preferibile parlare di un amore impossibile, il film si avvale, oltre che della consumata maestria del regista ottuagenario, della straordinaria abilità dei due interpreti, anche se il vigore della loro perfomance risulta attenuato nella versione del film doppiata in italiano. Nei salotti della Parigi che, dopo il tramonto del primo Impero, si crogiola nelle acque stagnanti della Restaurazione, una nobildonna giovane e piacente, trascurata dal marito, attira e respinge un eroe a riposo. Tutta moine e «buone maniere» lei. Impeto e fuoco lui. I due sono fatti per sfiorarsi reciprocamente senza mai incontrarsi. Quando Armand non ne può più, decide di passare all’azione e, con l’aiuto dei «tredici», fa rapire Antoinette. La commedia, che sta per mutarsi in tragedia, assume a questo punto toni grotteschi. Con in mano un ferro arroventato Armand minaccia d’imprimere sulla fronte di Antoinette un marchio d’infamia. Visto che lei non si scompone più di tanto, muta improvvisamente parere. Sceglie di punirla ostentando nei suoi confronti l’indifferenza più totale. Non risponde alle sue lettere. Questa volta è lei a spasimare per lui. Ma il gioco non può durare a lungo.
Quando, mettendo fine ai dispetti, i due decidono di scendere dai rispettivi piedistalli per incontrarsi su un terreno comune, ecco che, sul più bello, un granellino di sabbia (una pendola in panne) fa inceppare l’ingranaggio. Armand manca all’appuntamento decisivo con Antoinette, la quale, avendo perso la propria onorabilità al cospetto del «bel mondo» di cui fa parte, decide di ritirarsi in un monastero di clausura. Passano gli anni. Nel 1823 Armand giunge in un’isola spagnola al comando di una spedizione militare nell’ambito degli aiuti forniti dalla Francia al re Ferdinando VII che intende ristabilire il proprio potere assoluto sulle province che gli si sono ribellate. Il racconto del film, a dire il vero, comincia in questo momento e riserva l’antefatto a un lungo flash-back. Nella chiesa di un monastero appollaiato come un falco sulle rocce che si ergono a strapiombo sul mare, Armand assiste alla celebrazione di una Messa di ringraziamento per l’avvenuto ristabilimento dell’ordine costituito. Le monache di clausura cantano dalla tribuna dell’organo. Armand ha l’impressione di riconoscere la voce di Antoinette.
Grazie ai meriti acquisiti presso l’autorità locale, il generale riesce a vedere per l’ultima volta la donna che ama. L’incontro avviene nel parlatorio del monastero. Antoinette diventata suor Thérèse, è dietro la grata. Quando la conversazione tra i due si fa incandescente, la superiora, che assiste al colloquio, tira una tenda che si abbassa come un sipario al termine di una rappresentazione teatrale. Con l’aiuto dei «tredici» Armand tenta di rapire la religiosa (siamo all’epilogo del film). Penetrato nottetempo nel monastero, trova il cadavere di suor Thérèse composto sul pavimento della sua cella. Gli scogli, le mura del convento, la struttura architettonica, vecchia di secoli, che corrisponde perfettamente allo spirito della regola secondo la quale vivono le recluse, la grata e la tenda nera… Sono altrettanti ostacoli disposti lungo il cammino, tutto in salita, che Armand ha deciso di percorrere per raggiungere la sua meta. Al vertice della piramide c’è Dio, al cui amore suor Thérèse si è definitivamente votata. Dio e la morte sono le realtà ultime con le quali l’uomo deve fare i conti.
Dopo essersi impadronito del cadavere della religiosa, Armand lo fa trasportare su una nave attraccata nei pressi degli scogli sui quali si erge il monastero. Giunto al largo, fa scivolare lentamente la salma nel mare. Il ricordo di Antoinette-Thérèse continuerà a risuonare nella sua mente con la musicalità che hanno i versi di un poema.