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Il temporale (Italia, 2000). Regista: GIAN VITTORIO BALDI. Interpreti principali: M. Trifunov, A. Makarevic, R. Caroli, N. Perroni.
Lontano, il brontolio di un tuono; vicino, l’esplosione di una bomba. Il temporale scoppia a mezzogiorno: dal cielo piovono lacrime di sangue. Padron Sveto, vecchio usuraio paralizzato dalla cintola in giù, passa le giornate in una casa che assomiglia a una gabbia. Gli tiene compagnia un uccellaccio nero, chiuso anch’esso in una gabbia più piccola, che gracida di tanto in tanto. Sveto è ortodosso. A pochi metri dalla sua casa c’è quella di una famiglia di ebrei sefarditi. Sveto si muove a fatica tra il letto e una sedia a rotelle. Si trascina a volte per le scale, carponi come un povero cristo sotto il peso della croce. Impreca contro gli altri e contro se stesso. Se la prende con il proprio corpo, che non risponde più alla sua volontà. Non è buono Sveto. Per tutta la vita ha imbrogliato e sfruttato il prossimo. Ha approfittato in tutti i modi dei più deboli e dei più poveri. Ora che è ridotto all’immobilità, si sente oppresso da una forza con la quale non è in grado di competere: la guerra che incombe su Sarajevo, la sua città.
Siamo nel 1992. Un tempo, questo era il luogo dove convivevano pacificamente turcomanni, serbi ortodossi, austroungarici, dalmati di origine veneta, ebrei… Comunità cresciute nel rispetto delle reciproche differenze etniche, culturali, religiose. Un vero modello per l’Europa. Ora non lo è più. Una ragazza ebrea di 14 anni, Blanka, figlia dei vicini di casa di Sveto, è morta. Il suo cadavere, che galleggia sul fiume Miljacka, scende trascinato dalla corrente, passa sotto un ponte a schiena d’asino, da dove un bambino e una bambina (entrambi musulmani) lo guardano. Come è morta Blanka? Chi l’ha uccisa? Nessuno può dirlo con precisione. Gian Vittorio Baldi, autore del film Il temporale (girato un paio di anni fa un po’ al di là e un po’ al di qua dell’Adriatico, tra Sarajevo e Premilcuore in provincia di Forlì, e ora distribuito in sale cinematografiche selezionate), ha evitato di esporre il racconto seguendo l’ordine cronologico dei fatti.
Come i vetri della veranda, nella quale il vecchio Sveto trascorre ore penose, anche il film è in frantumi. Tre racconti diversi (quello di Sveto; quello di Djula, una zingarella coetanea e amica di Blanka; quello di Suljo, bambino musulmano) si susseguono illustrando aspetti diversi della vita di Blanka, in parte concordanti e in parte divergenti. Ognuno interpreta la sua morte sulla base dei dati di cui dispone, selezionati e filtrati dalla propria sensibilità. Ai punti di vista dei tre narratori, che con reciproche sovrapposizioni rendono non poco intricato il percorso del film, se ne aggiunge, nel finale, un quarto, che in parte coincide con riprese effettuate da una cinecamera issata su una gru, sospesa a perpendicolo sul brulicare della realtà sottostante. Tutto è già accaduto nel primo minuto del film. Le immagini che scorrono sullo schermo (come quelle relative a un elefante bianco che attraversa il ponte sul Miljacka) appartengono a una realtà mentale non sempre in sintonia con i fatti concreti.
Creatura fatta di aria e di luce, Blanka attraversa il film come un miraggio. Avvolta da veli trasparenti, incede con passo leggero. Il volto ovale sfiorato dal sorriso, oppure attraversato da un’ombra fugace di malinconia, si apre ai primi trasalimenti dell’amore. Bellezza e verità si fondono in lei come in un’opera d’arte perfetta. Ingres e Canova sembrano aver collaborato per modellare le sue membra snelle, per accendere qua e là con sfumature rosa il candore della sua pelle. La bellezza, come è naturale, attira lo sguardo. Fatta per la contemplazione, la bellezza produce una gioia che, partendo dai sensi, giunge direttamente allo spirito, senza passare attraverso i tortuosi meandri del pensiero.
Ora che Blanka è morta, la sua bellezza è solamente un ricordo che balena di tanto in tanto nel pensiero di coloro che l’hanno conosciuta. Tra questi c’è Sveto che, amandola come un padre può amare una figlia (qualcuno dice nel film che il suo vero padre sia lui), l’ha vista crescere sotto i suoi occhi, l’ha osservata a lungo, non visto, dalla veranda senza vetri della sua casa, l’ha guardata come si guarda un fiore al suo primo sbocciare, l’ha udita intonare canzoni d’amore, ne ha spiato gli appuntamenti segreti con un soldatino… Blanka è, per Sveto, l’immagine stessa della vita. L’anima può morire prima del corpo? Ora che questa immagine non si accende più davanti ai suoi occhi, piombato improvvisamente nel buio, Sveto per il dolore potrebbe perfino impazzire. Da avaro potrebbe farsi prodigo. Se qualcuno non fosse lì a impedirglielo potrebbe distribuire ai poveri tutto quello che ha accumulato in una vita intera da strozzino, per poi trovarsi, definitivamente solo, a gridare: «Se tu sei con me, perché io non sono con te?».