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L’incontro di Benedetto XVI con circa 300 artisti appartenenti a diverse discipline (pittura, scultura, architettura, letteratura, poesia, musica, cinema, teatro, danza, fotografia…), promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura, che si è svolto nella Cappella Sistina lo scorso 21 novembre, si collega con due precedenti ai quali lo stesso Pontefice ha fatto riferimento nel corso della sua allocuzione: l’incontro di Paolo VI con gli artisti, avvenuto il 7 maggio 1964 nel medesimo luogo, e la lettera di Giovanni Paolo II agli artisti, datata 4 aprile 1999. I due eventi, dei quali ricorrono rispettivamente il 45° e il 10° anniversario, costituiscono insieme all’incontro attuale tre tappe fondamentali nello sviluppo dei rapporti recenti della Chiesa con il variegato mondo della arti.
Paolo VI
Mentre era arcivescovo di Milano, il card. Giovanni Battista Montini ha dedicato diversi interventi ai problemi della cultura e dell’arte, esprimendo il proprio personale apprezzamento per l’operato degli artisti e invitandoli ad allacciare una rinnovata alleanza con la comunità cristiana. Verso la fine del suo primo anno di pontificato, nell’incontro «storico» con gli artisti nella Cappella Sistina, Paolo VI ribadisce la volontà di «ristabilire l’amicizia tra la Chiesa e gli artisti», amicizia «guastata» da entrambe le parti: sia, da parte degli artisti, col ricorrere a un’arte staccata dalla vita e ancor più dall’esperienza religiosa, e resasi quasi incomprensibile; sia, da parte della Chiesa, con il pretendere l’assuefazione a cliché e modelli «di pochi pregi e di poca spesa». «Noi dobbiamo ritornare alleati», disse il Papa agli artisti in quella occasione con un tono di voce che, nella registrazione dal vivo che ancora si conserva, rivela da parte sua un’intensa partecipazione spirituale ed emotiva. «Noi abbiamo bisogno di voi. Il nostro ministero ha bisogno della vostra collaborazione».
Per rifare la pace e ritornare amici, Paolo VI propone agli artisti due modi di collaborazione: la catechesi, in cui la comunità cristiana rende partecipi gli artisti della sua esperienza di fede, e il laboratorio, in cui l’abilità e la genialità dell’artista si confrontano con la materia e con le esigenze e finalità dell’opera da realizzare.
L’appello di Paolo VI torna a risuonare nel Messaggio finale che il Pontefice, a chiusura del Concilio Vaticano II, rivolge agli artisti l’8 dicembre 1965. Ribadendo i punti fermi del discorso della Sistina, il Papa dice: «Se voi siete gli amici della vera arte, voi siete nostri amici. Oggi come ieri la Chiesa ha bisogno di voi. Non lasciate che si rompa un’alleanza tanto feconda!… Ricordatevi che siete custodi della bellezza del mondo». Nel Messaggio risuonano espressioni divenute celebri, oggi quanto mai attuali: «Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia nel cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione».
Giovani Paolo II
Con Giovanni Paolo II sale sulla cattedra di Pietro non solamente un filosofo e un teologo, ma anche un artista, poeta e drammaturgo, che ha sperimentato e promosso la sintonia tra via veritatis e via pulchritudinis.
Tra i diversi interventi di Papa Wojtiáa sul valore dell’arte per la Chiesa va ricordata la Lettera apostolica Duodecimum saeculum scritta nel 1997, in occasione del 12° centenario del II Concilio di Nicea, dedicato alla controversia sulle immagini. Il credente di oggi, come quello di ieri, scrive il Papa, dev’essere aiutato nella preghiera e nella vita spirituale con la visione di opere d’arte che cercano di esprimere il mistero senza occultarlo.
Avendo a cuore, come il suo predecessore, il dialogo tra la Chiesa e il mondo delle arti, Giovanni Paolo II, rilancia l’alleanza con un documento del tutto originale, unico nel suo genere, la lettera agli artisti, che porta la significativa data della Pasqua di Risurrezione del 1999, alla vigilia del grande Giubileo del 2000.
La lettera propone una visione teologica, basata sul mistero della Trinità, nell’ambito della quale il Papa definisce l’artista «immagine di Dio Creatore», motiva l’essenza dell’arte cristiana a partire dal mistero del Verbo incarnato e incoraggia gli artisti ad accogliere «il dono di quelle ispirazioni creative» che viene elargito dallo Spirito.
Al percorso teologico si affianca quello antropologico e morale, in cui il Papa riflette sulla vocazione dell’artista, sulla sua missione e sulla sua responsabilità sociale ed ecclesiale.
Il punto nevralgico della lettera è costituito da un passaggio nel quale, riprendendo il magistero di Paolo VI e del Concilio, Giovanni Paolo II propone un rinnovato dialogo, che parte da un’affermazione: «La Chiesa ha bisogno dell’arte», alla quale fa seguito un interrogativo: «L’arte ha bisogno della Chiesa?». La comunità cristiana continua a nutrire «un grande apprezzamento per il valore dell’arte come tale. Questa, infatti, quando è autentica, ha un’intima affinità con il mondo della fede, sicché, persino nelle condizioni di maggior distacco della cultura dalla Chiesa, proprio l’arte continua a costituire una sorta di ponte gettato verso l’esperienza religiosa».
Benedetto XVI
L’attuale Pontefice, Benedetto XVI, mostra una particolare predilezione per il tema della bellezza e ha a cuore il rapporto con le arti, in particolare con la musica. Quando era cardinale aveva espresso questo interesse in diversi interventi, tra i quali spicca il messaggio al meeting di Rimini del 2002, dove affermava: «La bellezza è una forma superiore di conoscenza poiché colpisce l’uomo con tutta la grandezza della verità. La vera conoscenza è essere colpiti dal dardo della bellezza che ferisce l’uomo. L’essere colpiti e conquistati attraverso la bellezza di Cristo è conoscenza più reale e più profonda della mera deduzione razionale».
Diventato Papa, Benedetto XVI ha continuato a nutrire il suo magistero con riflessioni sulla bellezza di Dio, del Verbo incarnato, della fede. Tra i suoi interventi più recenti su questo argomento c’è il messaggio rivolto dal Papa a mons. Ravasi in occasione della XIII seduta pubblica delle Ponteficie Accademie (25 novembre 2008), che aveva come tema: «Universalità della bellezza. Estetica ed etica a confronto». Il Papa parte dall’analisi dell’attualità per poi proporre la visione dell’umanesimo cristiano.
«A diversi livelli — egli dice — emerge drammaticamente la scissione, e talvolta il contrasto, tra due dimensioni, cioè tra la ricerca della bellezza, compresa riduttivamente come forma esteriore, come apparenza da ricercare a tutti i costi, e la serietà e bontà delle azioni che si compiono per realizzare quella stessa finalità. Infatti, una ricerca della bellezza che fosse estranea o avulsa dall’umana ricerca della verità e della bontà si trasformerebbe, come purtroppo accade, in mero estetismo e, soprattutto per i giovani, in un itinerario che sfocia nell’effimero, nell’apparire banale e superficiale o addirittura in una fuga verso paradisi artificiali […]. Ho sottolineato più volte la necessità e l’impegno di un allargamento degli orizzonti della ragione, e in questa prospettiva bisogna tornare a comprendere anche l’intima connessione che lega la ricerca della bellezza con la ricerca della verità e della bontà».
Non si può inoltre dimenticare l’impegno che Benedetto XVI ha profuso nel sottolineare il ruolo della bellezza in ambito liturgico. La bellezza della liturgia è un argomento che torna sovente nelle parole del Pontefice oltre che nelle scelte concernenti le celebrazioni da lui presiedute. La bellezza della liturgia, ha ripetuto più volte il Papa, manifesta sia la bellezza di Dio che si comunica, sia la bellezza della Chiesa, cioè dell’assemblea riunita per vivere e manifestare la propria fede.
Ai piedi del «Giudizio»
Nel discorso rivolto agli artisti «appartenenti a Paesi, culture e religioni diverse, forse anche lontani da esperienze religiose» nella Cappella Sistina lo scorso 21 novembre, Benedetto XVI ha esordito invitando tutti all’amicizia, al dialogo, alla collaborazione. «Il cristianesimo — ha ricordato il Papa —, fin dalle sue origini, ha ben compreso il valore delle arti e ne ha utilizzato sapientemente i multiformi linguaggi per comunicare il suo immutabile messaggio di salvezza».
Richiamandosi al magistero dei suoi Predecessori, al quale abbiamo accennato, Benedetto XVI ha ricordato in modo particolare l’incontro tra Paolo VI e gli artisti avvenuto 45 anni prima in quello stesso luogo e non ha esitato a fare proprie le «espressioni ardite» pronunciate da Papa Montini in quell’occasione, quando, dopo aver detto agli artisti che la Chiesa ha bisogno del loro aiuto, aveva aggiunto: «Se noi mancassimo del vostro ausilio, il nostro ministero diverrebbe balbettante e incerto, e avrebbe bisogno di fare uno sforzo per diventare esso stesso artistico, anzi, di diventare profetico. Per assurgere alla forza di espressione lirica della bellezza intuitiva, avrebbe bisogno di far coincidere il sacerdozio con l’arte». Le parole del Papa sono state accolte con particolare emozione dagli artisti soprattutto quando Benedetto XVI ha fatto riferimento alle caratteristiche del luogo nel quale avveniva l’incontro: la Cappella Sistina, «luogo prezioso per la sua architettura e per le sue simboliche dimensioni, ma ancora di più per gli affreschi che lo rendono inconfondibile». Dopo aver accennato ai capolavori di grandi maestri del Quattrocento (Perugino, Botticelli, Ghirlandaio, Cosimo Rosselli e Luca Signorelli) che lungo le pareti laterali illustrano in parallelo la vita di Mosè e quella di Gesù, il Papa ha concentrato la propria attenzione e quella dei presenti sulla visione michelangiolesca che unisce le Storie della Genesi dipinte nella volta con il Giudizio Universale che si vede nella parete di fondo.
«Cari amici — ha detto il Papa agli artisti —, lasciamo che questi affreschi ci parlino oggi, attirandoci verso la mèta ultima della storia umana. Il Giudizio Universale, che campeggia alle mie spalle, ricorda che la storia dell’umanità è movimento e ascensione, è inesausta tensione verso la pienezza, verso la felicità ultima, verso un orizzonte che sempre eccede il presente mentre lo attraversa. Nella sua drammaticità, però, questo affresco pone davanti ai nostri occhi anche il pericolo della caduta definitiva dell’uomo, minaccia che incombe sull’umanità quando si lascia sedurre dalle forze del male. L’affresco lancia perciò un forte grido profetico contro il male; contro ogni forma di ingiustizia. Ma per i credenti il Cristo risorto è la Via, la Verità e la Vita. Per chi fedelmente lo segue è la Porta che introduce in quel “faccia a faccia”, in quella visione di Dio da cui scaturisce senza più limitazioni la felicità piena e definitiva».
Le immagini poderose che stavano sotto gli occhi degli artisti, commentate dalle parole del Papa, erano l’esempio più eloquente di ciò che può fare l’arte quando è animata dalla fede.
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Il bello, il vero, il bene
Il discorso proseguiva impreziosito da citazioni di autori che il Papa ama, le cui opere ha approfondito nel corso della sua vita di studioso. Da Platone, il quale vede nella bellezza uno stimolo che scuote l’uomo e lo sospinge verso l’alto, a sant’Agostino, cantore innamorato della bellezza, che indica nella visione beatifica la sintesi di ogni bellezza; senza trascurare, tra i moderni, Hans Urs von Balthasar, secondo il quale la bellezza incorona, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene, e il loro indissolubile rapporto.
Tra i letterati, Benedetto XVI ha citato Dostoevskij, il quale dice che «l’umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo»; ed Hermann Hesse, il quale dice che «arte significa: dentro ogni cosa mostrare Dio». Tra gli artisti ha citato Georges Braque, il quale diceva che «l’arte è fatta per turbare, mentre la scienza rassicura».
Avviandosi alla conclusione del discorso, il Papa ha aggiunto: «La bellezza, da quella che si manifesta nel cosmo e nella natura a quella che si esprime attraverso le creazioni artistiche, proprio per la sua caratteristica di aprire e allargare gli orizzonti della coscienza umana, di rimandarla oltre se stessa, di affacciarla sull’abisso dell’Infinito, può diventare una via verso il Trascendente, verso il mistero ultimo, verso Dio. L’arte, in tutte le sue espressioni, nel momento in cui si confronta con i grandi interrogativi dell’esistenza, con i temi fondamentali da cui deriva il senso del vivere, può assumere una valenza religiosa e trasformarsi in un percorso di profonda riflessione interiore e di spiritualità».